Vi volevo consigliare un bel libro per l’estate, il classico volumetto da portare nel borsone in spiaggia. Un libro divertente, non troppo grosso per non rubare spazio alla crema solare e al telo da mare. Un libro simpatico solare, insomma. Ecco quindi un libro sull’Olocausto.
Piano, posso spiegare. Lo ha scritto Shalom Auslander, scrittore statunitense cresciuto nel quartiere ebraico ortodosso di Monsey, a New York, autore de Il lamento del prepuzio e A Dio spiacendo, due gioielli assoluti nel genere “ebrei che litigano follemente con il loro Dio e smettono di mangiare kosher per farlo impazzire”. L’ultima fatica di Auslander è un imperdibile romanzo il cui titolo originale è Hope: A Tragedy (Speranza. Una tragedia) è stato discutibilmente scartato da Guanda, qui in Italia, in favore del banalotto Prove per un incendio. È la storia di Solomon Kugel, un ebreo davvero molto ottimista che, a causa del suo incredibile ottimismo, pensa continuamente alla morte. Kugel si trasferisce in un piccolo sobborgo americano, compra una casa un po’ vecchiotta ma “sincera” e ci si trasferisce insieme a sua moglie, suo figlio e sua mamma (che ha due settimane di vita da ormai parecchio tempo).
E qui il romanzo diventa perfetto per le vostre ore sotto l’ombrellone, o all’ombra, o in montagna. O a casa. Perché Kugel comincia a sentire strani rumori provenire dalla soffitta e dopo molte notti insonni durante le quali pensa che ci sia un qualche piromane pronto a uccidere lui e la sua famiglia (è un vero ottimista) o qualche ratto, oppure che sia l’inizio di un nuovo repulisti anti-ebraico e che arriverà qualcuno a sterminare i suoi simili, dopo aver pensato a tutto questo, dicevamo, si decide a salire in soffitta. E lì scopre che a fare quei rumori è una vecchietta gobba, bruttissima ed emaciata, che si presenta come Anne Frank.
Auslander è una delle penne più terribilmente divertenti che possiate leggere e la sua ultima fatica è un gioiello grottesco-satirico in cui si l’autore fa a botte con Dio, come al solito, le sue origini ebraiche e finisce per prendersela con La Vittima Dell’Olocausto per eccellenza, la piccola Anna, che nel suo Diario raccontò la barbarie nazista, fino al suo imprigionamento. L’abbiamo sempre ricordata così: una foto in bianco e nero dove lei sfoggia un sorriso triste, caduco. Qui invece Anne Frank è una vecchia megera sopravvissuta all’Olocausto, che si è nascosta negli States per concludere il suo Diario – che nel frattempo non ha concluso, anzi – rovinando la vita agli inquilini della casa che infesta come uno spettro. È tipico Auslander humour, che va dal Candido di Voltaire a Kafka, preferendo tutti quegli autori che «guardano al lato peggiore della vita e ci sorridono», come ha spiegato al Guardian.
Vi ho detto abbastanza e non voglio aggiungere altro, non tanto per evitare spoiler ma per non anticiparvi lo sviluppo narrativo, che riesce a far ridere in modo selvaggio sull’argomento con la A maiuscola, il tabù del nostro secolo: lo sterminio di nove milioni di persone (tra cui sei milioni di ebrei) da parte dei nazisti. E non lo fa nello stile de La vita è bella o di Train de Vie, perché è ambientato nei nostri giorni, in un tranquillo paesino degli Usa. L’Olocausto è lo sfondo, il folle pretesto per raccontare la sopravvivenza di un uomo davanti ai drammi della vita; e la piccola Anna è una figura grottesca, trasportata in una situazione estrema, che arriva a trasformarla nell’antagonista “cattivo”, il piccolo ciclone che distrugge certezze.
Kugel, protagonista di Prove per un incendio, è un personaggio tragico che già dalla prima pagina si presenta come problematico, segnato. Come se non gli bastasse, in pochi giorni gliene succedono di tutti i tipi:
– si trasferisce;
– è costretto a portare con sé sua madre, e ad affittare una parte della casa a un estraneo insopportabile;
– sua moglie lo accusa di essere un mammone, di non badare a loro figlio, ovvero «di sacrificare abramicamente l’Isacco del loro futuro sull’altare del suo infelice passato»;
– nella zona in cui si è appena si trasferisce dei misteriosi piromani danno fuoco a case e fattorie;
– è un ottimista, quindi – come spiega il professore Jove, consigliere del protagonista e personaggio-chiave del romanzo – non riesce a smettere di pensare al peggio, alla morte e alla fine;
– ha un mutuo da pagare, un bambino e un lavoro da mantenere a tutti i costi;
– sua mamma ha cominciato a sragionare e continua a credersi una reduce della Shoah e della guerra, anche se non ha mai visto nulla di così tragico, «a meno che si voglia tenere conto dei saldi da Bamberger dopo il Ringraziamento»;
– e poi un giorno sale in soffitta e scopre che lì ci vive una vecchia grottesca che batte al computer il suo libro e dice di chiamarsi Anne Frank.
Non è una situazione facile da affrontare. Possiamo dire con certezza che è inedita, impossibile, e inspiegabile. E che porta a sfoghi come il seguente, che sono tra le cose più belle del libro:
«Anne Frank» borbottò tra sé Kugel, mentre si dirigeva a recuperare mamma dall’orto.
«Ci mancava solo lei, cazzo.»
Avete trovato il libro per l’estate.