Cultura | Dal numero
La wishlist di chi può comprare tutto
Dalle borse (sì, soprattutto le Birkin di Hermès) ai diamanti, quali sono gli oggetti e i marchi più desiderati dagli ultraricchi.
A volersi districare tra yacht, seconde case, auto di lusso, jet privati e tutte quelle cose che nel nostro immaginario comprano i ricchi, c’è un oggetto iconico e mitologico che in qualche modo li interessa tutti, che si tratti di ereditiere dedite alla filantropia, celebrity, teenager improvvisamente miliardarie grazie al drop shipping, uomini d’affari e wannabe: è una borsa, anzi no, non è una borsa, è una Birkin, a voler citare una famosissima scena di Sex and the City. È il modello che Hermès produce dal 1984 ed è dedicato all’attrice francese Jane Birkin, morta il 16 luglio scorso. La Birkin sarebbe nata dopo un incontro su un aereo diretto da Parigi a Londra tra l’attrice e Jean-Louis Dumas, allora presidente di Hermès: a lei cadde la borsa con cui viaggiava, lui raccolse il contenuto sparso a terra, iniziarono a chiacchierare, lei si lamentò che non riusciva a trovare un modello bello e abbastanza grande per tutto quello che le serviva – di solito girava con una cesta di vimini dove infilava anche la figlia Charlotte – e lui le promise una soluzione. Dopo un po’ di tempo le inviò il prototipo della Birkin: capiente, rettangolare, simile alla già celebre Kelly (sempre di Hermès: nata negli anni Trenta come Sac à Dépêches e poi rinominata nel 1956 in onore di Grace Kelly che nel 1956 l’aveva resa popolare, è composta da 36 pezzi di pelle e 680 punti) ma con due manici e uno spazio dedicato ai biberon. Ancora oggi, ogni Birkin è cucita a mano da un artigiano con almeno cinque anni di esperienza ed è molto personalizzabile: si può scegliere tra diversi colori, dimensioni (25, 30, 35 e 40 centimetri) e tipi di pellame (vitello, lucertola, struzzo, coccodrillo) mentre le finiture possono essere in oro o in palladio con incrostazioni di diamanti.
Alla fine degli anni Ottanta, la Birkin si era già imposta come simbolo tangibile della ricchezza e dell’esclusività e ancora adesso la si desidera non solo perché è un oggetto bello e prezioso, ma soprattutto per l’aura che investe chi la possiede: non c’è niente che dica lusso come una Birkin. Questo risultato è ottenuto anche grazie a una strategia di marketing fondata su una certa sprezzatura nei confronti del cliente, sull’idea che sia l’azienda a fargli un favore concedendogli di acquistare una sua borsa. Per comprare una Birkin, infatti, non basta avere i soldi per farlo (si parte dagli 8.000 euro circa per un modello base in pelle Togo): bisogna desiderarlo ed essere disposti a dimostrarlo, sostenendo i sacrifici arbitrariamente inflitti dal venditore con cui si ha a che fare. Non si entra in un negozio di Hermès uscendo con la Birkin che si desidera ma bisogna essere già clienti e affrontare famigerate liste di attesa che possono durare anni. «Ottenere una Birkin è molto difficile», conferma Charles Gross, che ha 28 anni e 1,3 milioni di follower su TikTok, dove spiega dettagli e retroscena del mondo del lusso. Gross, che ovviamente è un grande esperto di Birkin e Kelly, precisa che «dipende sempre molto dal luogo e dalla persona che hai davanti. C’è chi entra nel negozio non avendo mai comprato niente prima, parla con il venditore e riesce a comprarne una senza aver fatto altro. Altre persone raccontano di aver dovuto comprare orologi, vestiti, scarpe, coperte o cuscini per poter acquistare, magari dopo un anno, una Birkin», che spesso non è quella desiderata ma la prima disponibile. Per questo, spesso, gli appassionati di Birkin comprano nel mercato del second-hand, tra cui lo stesso Gross, che ne possiede una decina – «ne indosso poche, ne ho una manciata che colleziono come investimento, non le tengo neanche a casa ma in un deposito. Amo Hermès ma non il modo in cui vende le sue borse: il modo migliore è comprarle di seconda mano. Io consiglio Fanshionphile, dove se ne trovano anche di nuove, praticamente appena uscite dal negozio: costano di più ma puoi comprare esattamente la borsa che vuoi e non devi pagare altre cose per averla».
La rigidità di Hermès ha fatto nascere un mercato di acquisto in boutique e di rivendita sul mercato secondario e tutta una serie di servizi che scovano per i loro clienti il modello che desiderano. Uno tra questi è Otis On Park, un sourcing concierge service che ha sede a New York, fondato dall’italiana Michela Gombacci: funge come «diamond dealer internazionale – spiega – e come agente di sourcing per alcune delle borse più rare al mondo, principalmente Birkin e Kelly». Gombacci racconta che il progetto era nato come esperimento: mentre si occupava di «consulenze digitali per aziende, dopo aver lavorato per più di dieci anni nel campo moda» aveva iniziato a «ricercare gioielli, borse, oggetti vintage sia nei negozi che attraverso aste online per riproporli al mio pubblico», ma sono bastati pochi mesi trasformarlo nel suo lavoro. I clienti chiedono soprattutto «diamanti sciolti con cui creiamo anelli di fidanzamento e alcuni pezzi di gioielleria “timeless” come i tennis», mentre i modelli di borse più richiesti sono le Birkin e le Kelly. «Troviamo diamanti che arrivano da tutto il mondo, da Hong Kong a Ginevra all’India e la stessa cosa vale per le borse. Contattiamo la nostra rete internazionale di rivenditori, sia privati che boutique, e andiamo alla ricerca dello stile richiesto; molto spesso rappresentiamo i nostri clienti ad aste online». I suoi aneddoti rendono l’idea dei desideri di chi le si rivolge: una volta, per esempio, aveva trovato il modello «estremamente raro» richiesto da una sua cliente in Svizzera ma c’era in ballo anche un altro servizio rivale e il rivenditore aveva detto che l’avrebbe data a chi per primo sarebbe andato a ritirarla. Gombacci racconta quindi di essersi imbarcata su un volo last minute per arrivare in Svizzera la mattina dopo: «durante il volo il wifi non funzionava e fino all’ultimo non eravamo sicuri di riuscirci. Arrivati, la borsa ci stava aspettando, abbiamo battuto la competizione e siamo rientrati con il primo volo per New York».
Oltre che indiscusso oggetto di desiderio, le Birkin sono uno dei modelli di borsa più sicuri in cui investire, dato che il loro valore aumenta nel tempo. Uno strumento utile per capire su quali altri modelli e marchi investire è stato messo a punto da Rebag, il rivenditore punto di riferimento nel second-hand di lusso. Si chiama Clair (Comprehensive Luxury Appraisal Index for Resale) ed è un software che raccoglie dati ogni volta che un oggetto è venduto, comprato o scambiato nei negozi fisici o su Rebag.com; in questo modo riesce a dare un’idea del suo valore in tempo reale. Servendosi dei dati raccolti da Clair, Rebag pubblica ogni anno un rapporto con le principali tendenze nel second-hand, consigliando dove investire. Nel 2022, per esempio, i marchi più redditizi sono stati Hermès, Louis Vuitton e Chanel, i cui prodotti sono rivenduti con una media del 103,92 e 87 per cento rispetto al prezzo in negozio; a seguire quattro marchi italiani – Prada, Gucci, Bottega Veneta e Fendi – il cui valore è aumentato dell’11 (per Prada) e del 10 percento (per gli altri) rispetto al 2021.
Elizabeth Layne, Chief Marketing Officer di Rebag, racconta che la Birkin è il modello più cercato su Rebag.com, seguita da classici come la Neverfull MM Tote e la Speedy di Louis Vuitton, la Saddle disegnata da John Galliano per Christian Dior (rilanciata poi da Maria Grazia Chiuri) e la Baguette di Fendi, che nel 2022 ha compiuto venticinque anni; aggiunge anche che «nel mercato del resale le borse che valgono di più sono le Hermès rare, in edizione limitata e con pelli esotiche». L’ultimo rapporto di Rebag evidenzia anche un caso eccezionale: la Shopping Bag di Telfar, nota non casualmente anche come “Bushwick Birkin”, che su Rebag si trova al 195 per cento del valore in negozio. Questo successo è stato raggiunto attraverso drop (cioè rilasci di prodotti in edizione limitata e in momenti slegati al tradizionale calendario della moda), collaborazioni e la visibilità offerta da celebrity come Oprah Winfrey, Madonna, Zoë Kravitz e Dua Lipa. Non potendo contare sull’heritage di Hermès, il lusso e l’esclusività per Telfar significano condividere valori ed estetica: nel caso di Telfar Clemens, fondatore del brand, è fondamentale l’appartenenza alla comunità afroamericana. Meglio di tutti ha fatto però il collettivo MSCHF, nato nel 2016 a New York e fortemente legato allo streetwear, di cui riprende il modello del drop con trovate provocatorie, apprezzatissime dalle celebrity e diventate subito virali sui social. Nel 2021, per esempio, MSCHF aveva lanciato sui social le “Birkinstock”, ispirate al classico modello Arizona del popolare marchio tedesco e realizzate con la suola originale in sughero e in gomma ma con la tomaia creata cucendo insieme pezzi provenienti da quattro Birkin, comprate apposta per essere distrutte. Il giochetto di fare a pezzi il prodotto di lusso per eccellenza per trasformarlo nelle più popolari “ugly shoes” ha sia scandalizzato sia deliziato e le uniche quattro paia di sandali sono state vendute a un prezzo tra i 34 mila e i 76 mila dollari, in base al numero di piede dell’acquirente. MSCHF ha infatti una lista di clienti segreta, di cui fanno parte persone famose, galleristi e selezionati clienti abbienti che per ogni drop vengono allertati, come avevano raccontato loro stessi nell’unica intervista concessa al New York Times nel febbraio del 2021, tramite sms.
Un’altra strategia vincente è quella delle collaborazioni, racconta ancora Layne, a partire dal rapporto di Rebag: «Quelle più desiderate hanno un alto ritorno negli investimenti e la maggior parte ha un valore che raggiunge o supera il 100 per cento». Per esempio la Hacker Project Duffle Bag e la Tote – nate dalla collaborazione tra Gucci e Balenciaga – hanno un valore di resale del 98 e del 121 per cento mentre «le collaborazioni di Telfar con Ugg, Eastpak e Moose Knuckles si vendono mediamente tra il 148 e il 211 per cento del loro prezzo originale». Se si vuole un investimento sicuro e a lungo termine, però, i modelli più sicuri, precisa Gombacci, «sono pochissimi, in pochissimi colori, pellami e misure e un range di diamanti molto specifico». E qui si ritorna alle Birkin e alle Kelly e ai tantissimi video su TikTok che spiegano, in modo un po’ ironico e un po’ no, che comprarle è soprattutto una saggia mossa in previsione del futuro. Nel 2021, per esempio, la casa d’aste Christie’s ha venduto una Kelly Himalaya 28 in coccodrillo del Nilo (la pelle più rara e preziosa di tutte), con finiture in oro e diamanti per 513 mila dollari mentre nel 2017 aveva battuto una Birkin 30, sempre in pelle di coccodrillo e con diamanti da 9 a 10 carati, a 388 mila dollari. Lo scorso febbraio, Sotheby’s ha invece tenuto la più grande asta di borse di Hermès di sempre per un valore di 3,2 milioni di dollari: ne ha vendute 76, tutte appartenute al miliardario di Hong Kong Joseph Lau, la cui famiglia ne possiede ancora più di mille.
Oggi, lo status di oggetto di lusso è sancito anche dai social media. TikTok per esempio trabocca di video in cui la ricchezza viene sfacciatamente esibita: hashtag come #thingsrichpeoplebuy e #handbagcollection aprono le porte di armadi da cui si affacciano Classic Flap di Chanel, Prada re-edition 2000 con cristalli, LouLou di Saint Laurent, Luggage di Céline e Cassette di Bottega Veneta, mentre teenager figlie di papà, imprenditrici fattesi-da-sé e mogli-di raccontano le proprie vite da milionarie esibendo trattamenti di bellezza da migliaia di dollari e auto luccicanti dove si accatastano i pacchetti arancioni di Hermès e quelli in bianco e nero di Chanel. Alcuni account sembrano così esagerati da sembrare falsi e magari lo sono, d’altra parte su TikTok è anche pieno di parodie della gente ricca che parla in modo affettato, si lamenta di disagi inesistenti ed esibisce (false) Birkin. E quello dei falsi è l’altra faccia della medaglia della questione: il mercato delle borse di lusso contraffatte è infatti diventato sempre più raffinato e si rivolge non più a chi palesemente non se le può permettere ma anche a chi ambisce o finge di far parte del cerchio magico degli ultraricchi. Gross, che ha raccontato ampiamente il fenomeno su TikTok, spiega che una Birkin contraffatta può costare anche più di cinquemila dollari e risultare davvero simile all’«alcuni produttori quasi replicano il modello di business del brand» e in alcuni casi hanno coinvolto dipendenti di Hermès che trafugavano le pelli. «La ragione è che molte celebrity hanno queste borse, che danno un’idea di ricchezza e di successo: sfoggiarle agli eventi e sui social è un modo per attirare l’attenzione e dare l’idea di avere i soldi», aggiunge Gross. Inoltre in molti circoli, non basta avere una Birkin o una Kelly: è necessario esibire un’intera collezione e per questo c’è chi ripiega su soluzioni un filo più economiche.
I social, però, stanno cambiando il modo di considerare il lusso anche in un’altra direzione: «aiutano a educare e a normalizzare», dice Gross. «Sempre più persone sono interessate al lusso anche se non se lo possono permettere, anzi direi che la maggior parte delle persone interessate al lusso non sono quelle che lo comprano ma quelle che lo discutono e lo apprezzano, come si vede anche durante le sfilate di moda. Un brand non è più considerato come un insieme di cose da possedere ma come uno stile di vita. Vorrei far passare il concetto che se non puoi comprare qualcosa, la puoi conoscere e apprezzare». L’idea è che una borsa realizzata con cura da un artigiano e con materiali preziosi non sia poi così diversa da un’opera d’arte, che meriti di essere studiata, conservata e pagata a cifre inarrivabili ai più: che non sia, insomma, soltanto una borsa.
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