Stili di vita | Cibo
Contro il pistacchio
Non sembra anche a voi che sia diventato tutto troppo pistacchioso?
Giurerei che, qualche anno fa, il pistacchio fosse in ritirata, che a un certo punto stesse diventando un gusto d’antan, come la crema, persino in gelateria, che resistesse ancora nella mortadella ma il salumiere ne avesse comunque una versione senza sempre pronta a disposizione, e che resistesse, desiderato, giusto nelle cassate e negli altri dolci, ma forse è un ricordo falsato – mi guardo in giro e penso che non può essere, che era una ritirata tattica, prima dello tsunami di pistacchio di questi anni. Pesto di pistacchio, crema di pistacchio, granella di pistacchio, burrata ripiena di pistacchio, pistacchioso e pistacchiosa nomi che vanno bene per qualsiasi cosa al pistacchio, pasta di mandorle al pistacchio (perché non farla di pistacchio direttamente a quel punto?), carbonare al pistacchio, caffè al pistacchio, burger al pistacchio, pane al pistacchio, pizza al pistacchio e così via (nessun prodotto al pistacchio è stato inventato per questa lista), fino agli aperipistacchio o ai vari buffet al pistacchio che chiunque sia stato di recente in Sicilia (o tra i reel di un qualsiasi social) porta a casa tra le immagini più vivide dell’isola.
Ora, qui non abbiamo niente contro il pistacchio, abbiamo tanti amici pistacchio, mangiamo il gelato al pistacchio salato e anche la granella di pistacchio sui cannoli quando capita, ma la domanda è: com’è successo che il pistacchio è diventato l’elemento simbolo del foodporn? Ormai ogni bizzarra reclame di un “aperipistacchio” di qualsiasi bar catanese può ambire a diventare virale. L’algoritmo di Instagram, una volta finiti nel tunnel dei video sul pistacchio, ne ha sempre di nuovi a disposizione. Più dei gol buffi, più delle vacanze, più delle litigate nei talk show, più dei sederi e della ginnastica. Tutto ciò che è legato al pistacchio è così pantagruelico che pare impossibile ripensare alla Grande abbuffata senza immaginare che annaffiassero ogni piatto di crema al pistacchio. Perché spargere crema o granella di pistacchi su tutto è diventato il vero simbolo dell’abbondanza, dello sfascio, del carpe diem – sfondiamoci di pistacchio stasera, al resto ci pensiamo domani.
Sembra ieri che delle regole talmente raffinate da non valere neppure la pena scriverle stabilivano su quali piatti andasse grattato il parmigiano e su quali assolutamente no, mentre oggi il pistacchio pare stare bene su tutto – guarda, ‘mpare, caruso, assaggia cos’è ‘sto pistacchio. (Ovviamente, è superfluo dire, “pistacchio di Bronte”, comune che dobbiamo immaginare esteso come la Groenlandia per essere in grado di riempire l’intero globo terracqueo di pistacchi).
Poche settimane fa, un articolo del New York Times sull’esplosione della mortadella a Bologna ha provocato reazioni molto indispettite, ma quale città d’Italia, ormai anche con una minuscola vocazione turistica, anche dove il turismo è fatto semplicemente di passeggiate post-prandiali della domenica, non si potrebbe riconoscere in quella descrizione di Bologna? Sì, certo, magari con altri prodotti al posto della mortadella, ma sono ormai decine le città in cui i menù paiono essere il risultato della colonizzazione di un franchising, pure in assenza di un reale franchising, tanto sono identici l’uno all’altro. Quanto si dice oggi di Bologna, si diceva già quarant’anni fa di Venezia, e poi di Firenze, ma vale uguale per Napoli che, in quindici anni, ha preso l’odore delle decine di friggitorie che hanno aperto, o di Sorrento dove non c’è più un singolo negozio che non venda qualcosa che abbia a che fare coi limoni, non solo dolci o Limoncello al sapore di Nielsen Piatti, ma anche ceramiche, quadri, piatti, tovaglie, strofinacci, vestiti, anche se poi i veri limoni coltivati in costiera non vengono raccolti perché farlo sarebbe meno conveniente che comprarli all’estero.
È ormai noto che tutti i discorsi sulla tipicità di un prodotto o sulla tradizione culinarie sono in buona parte imposture, quindi il punto non è più neanche svelare la ripetitività di certi schemi o quanto siano ridicoli. Ma può essere curioso comprendere perché un ingrediente ha assunto una valenza simbolica così forte. Forse la ragione del successo è semplicemente il colore, così fotogenico, forse è il gesto dello spargere che si adatta bene sia a trasmettere desiderio sia alle varie consistenze in cui il pistacchio viene sparso, steso, spruzzato – e d’altra parte, con un semplice gesto un cuoco è diventato miliardario semplicemente spargendo un po’ di sale con stile – forse si presta davvero a stare bene con tutto, dolce o salato che sia, come terzo ingrediente o come quarantaseiesimo. Fatto sta che mi pare talmente invadente da riscrivere la storia. Forse anche nel Gattopardo non erano dolci alla mandorla, ma al pistacchio e nel Padrino, dopo aver lasciato la pistola, dicevano di prendere il pistacchio, mica i cannoli.