Attualità | Polemiche

Un meteo diverso è possibile?

È la discussione più importante della nostra epoca, eppure non riusciamo a evitare banalità, isterismi e luoghi comuni: è un riflesso del modo in cui parliamo della crisi climatica in generale.

di Ferdinando Cotugno

«Signora, fa caldo». È paradossale che la conversazione di livello più basso, l’argomento che per riflesso tiriamo fuori al bar quando ne abbiamo esaurito ogni altro, sia diventata la conversazione pubblica più importante che esista, quella da cui dipendono le scelte energetiche, le politiche abitative, le prospettive alimentari, i trasporti. «Dobbiamo parlare di clima, non di meteo» è stato uno dei primi e più longevi slogan dei movimenti ambientalisti contemporanei, da Fridays for Future in poi. Il problema è che la conversazione sul clima non può che passare da quella sul meteo, così come una sul cibo non può che partire da quello che mangiamo noi, e la conversazione sul meteo fa schifo. È progettata per fare schifo, per essere irrilevante e non avere effetti, la lamentela al vento per eccellenza, piove governo ladro. Il meteo è l’oggi, il clima sono le scale trentennali, il meteo è qui e ora, il clima è globale, il meteo è la pressione bassa, cambiare tre magliette al giorno, il cattivo umore conseguente, il clima è avere un’ondata di calore contemporanea su tre continenti. Il meteo sono i passeggeri esasperati sull’autobus, il clima sono gli scienziati terrorizzati per un’oscillazione di temperature sull’Atlantico. Il meteo sono io, il clima è l’umanità. Il clima sono i grafici, i modelli, i rapporti Onu da migliaia di pagine, il meteo è la mia pelle, dove lavoro, se in strada sotto 35°C o in un ufficio con l’aria condizionata. Solo che il meteo di oggi passerà, mentre saranno quei grafici ad avere effetto sulla vita materiale di tutti noi. Ma servirebbe una capacità di concentrazione che la nostra mente non possiede.

L’Italia ha accolto la sua prima intensa ondata di calore dell’anno come il Paese di allegri psicopatici che è: sono arrivati i «terroristi del clima», i colori sulle mappe ci stanno mentendo, Greta Thunberg ti vuole far cambiare la macchina perché non capisce che non è il caldo, è l’umidità, signora mia. E poi Cerbero, Caronte, Scipione, i nomi inventati dai siti privati che fanno clickbait sul meteo e che oggi vengono citati come rigorosi parametri scientifici intorno ai quali orientare le nostre politiche. E ancora, a un certo punto, con un anticipo sospetto e non esattamente scientifico, è apparsa la prospettiva, il mostro finale: 47°C, e quindi la ricerca ossessiva del record (che record per altro non sarebbe), una visione agonistica delle temperature nell’estate senza mondiali, senza europei, senza Olimpiade. Ci interessa la temperatura solo se vince la medaglia d’oro come Marcell Jacobs nel 2021, altrimenti è solo il fiacco Marcell Jacobs del 2023. «L’unico effetto di questa comunicazione è terrorizzare le persone, creare ansia, e poi per un cortocircuito, magari generare anche sollievo se non si arriva al record e seguono tre giorni di fresco. La nostra nave è squarciata, dobbiamo attrezzarci a ripararla e sopravvivere, non giocare a esagerare l’ampiezza dello squarcio per farci un titolo», dice – un po’ esasperato – Giulio Betti. È meteorologo e climatologo del Cnr, temo non vada davvero in vacanza da anni, risponde al telefono da un prato in Alto Adige, credo di essere la ventesima chiamata del giorno. Betti è il meteorologo italiano più seguito su Twitter, è un divulgatore efficace e rigoroso, e quindi è esausto, perché il rigore scientifico, l’aderenza ai fatti, la sobrietà non sono propri di questo Paese, né della conversazione sul meteo, né di quella sul clima.

La scienza del meteo sarebbe stata in difficoltà con questo tipo di dibattito anche senza i cambiamenti climatici. «Una volta c’erano figure come Andrea Baroni o Edmondo Bernacca, le previsioni erano un momento di approfondimento scientifico, una cosa a cui i media si approcciavano in modo serio e rigoroso. Poi da un lato le conoscenze e i dati sono migliorati, dall’altro sono entrati soggetti e piattaforme che le hanno aperte e hanno fatto entrare qualsiasi cosa, oggi si parla di meteo come si parla di cartomanzia o magia nera. Ma le allerte devono essere date solo dagli organismi preposti e hanno un’importanza pubblica enorme, con responsabilità sociali, da cui dipende tutto, la gestione dei trasporti, dell’agricoltura, dell’energia elettrica». Invece questo livello è stato divorato dai titoli ansiogeni e dai meme.

Per generazioni di italiani, il meteo era stato quello di Baroni e Bernacca, il primo approccio al funzionamento della scienza, oggi è tutto un pantheon di figure mitologiche e guerre tra bande, dove conta solo il soggettivo. Questo liberi tutti a cavallo di Caronte ha prodotto un vasto arco costituzionale dove l’anziano editorialista presentabile borbotta dicendo che hey, su, mica il caldo è stato inventato oggi, e quello che ha fatto dell’impresentabilità il suo branding invece si spinge a dire che il caldo è un’arma di manipolazione di massa, il nuovo grande ordine mondiale che va da Papa Francesco a Frans Timmermans e che attenta all’italica virilità della nafta e della caldaia a gas.

«Il catastrofismo sulla singola ondata di calore ha un effetto perverso, ci impedisce di vedere l’anomalia generale, non arrivano 47°C e allora 41°C a Roma ci sembra quasi fresco, o settimane consecutive sopra i 35°C e la quantità di notti tropicali in città diventano accettabili. Se ne va il demone dagli occhi di bragia inventato questa settimana e siamo a posto, e non è così», dice Betti. La soggettività e la spettacolarizzazione della conversazione sul meteo ci convincono di una cosa falsa e pericolosa, che basti tenere duro e sopravvivere alla settimana in questione, e ci impediscono di vedere che sono cambiate, e cambieranno sempre di più, le condizioni base che hanno permesso lo sviluppo della civiltà umana.

È un periodo isterico, ha sbottato anche il pacato meteorologo di La7 Paolo Sottocorona, che si è preso del negazionista (non lo è), la follia dell’ondata di calore ci ha ricordato quanto siamo a disagio con il valore pubblico della conoscenza scientifica, quanto la maneggiamo male. Il rapporto col meteo definisce le nostre identità personali, chi regge meglio il caldo, chi regge meglio il freddo, se preferiamo mare o montagna, ma il clima definirà politiche pubbliche, destino ascesa e declino di ogni economia mondiale, migrazioni di massa, collassi alimentari. Le proiezioni climatiche sono la mappa di questo futuro e solo a quelle dovremmo guardare, però a noi interessa soprattutto parlare di noi, e quindi finiamo a parlare del meteo, signora fa caldo, no è l’umidità, quando ero giovane io eravamo più temprati, le vacanze dell’ottantatré e così via.