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Esiste uno stile americano?

La New York Fashion Week e il Met Gala sono per la moda americana l’occasione per riposizionarsi, scavando nella propria identità e scoprendo che oggi è più che mai varia e frammentata, come quella di chi la indossa.

di Federica Salto

Asap Rocky e Rihanna partecipano al Met Gala 2021 Celebrating In America: A Lexicon Of Fashion al Metropolitan Museum of Art il 13 settembre 2021 a New York City (foto di Dimitrios Kambouris/Getty Images per The Met Museum/Vogue)

Proprio come davanti a un aperitivo di fine estate a cui abbiamo partecipato sull’onda di un entusiasmo iniziale per poi ritrovarci smarriti, imbranati nei gesti sociali più immediati, anche l’atteggiamento nei confronti del Met Gala post-pandemia è stato carico di aspettative. Il coro di Instagram nelle ultime settimane ha viaggiato dall’Afghanistan a Venezia, palleggiando tra account di inviati esteri e di critici di cinema, con tanto di incursione veloce sul referendum sulla legalizzazione della cannabis. Ma nella notte del 13 settembre, data di chiusura di una New York Fashion Week finalmente dal vivo e con red carpet di chiusura da far impallidire quello degli Oscar, le Stories erano proprio tutte dedicate alla moda. La caratteristica del Met Gala è quella del tema, che gli invitati hanno il compito di interpretare tramite il loro look. Dunque il social tribunale è chiamato a giudicare non solo la bellezza dell’abito, il fitting, la scelta di un brand piuttosto che un altro, la bravura del team che ci ha lavorato. Qui c’è anche da capire se i beniamini di turno abbiano studiato. Il tema quest’anno, poi, era la moda americana, declinato in due mostre che seguiranno l’una all’altra (In America: A Lexicon Of Fashion e In America: An Anthology Of Fashion).

Il tempismo è perfetto e l’impegno massimo, come sono nel Nuovo Continente sanno fare. Dopo che in molti ritenevano che New York fosse ormai irrilevante, il settore – ovvero i grandi marchi, l’editoria e il CFDA, l’equivalente della nostra Camera della moda – è andato praticamente in letargo, con due edizioni della fashion week in versione digitale praticamente inesistenti. Ma nel frattempo preparava il suo ritorno. Novanta sfilate dal vivo, ingresso riservato ai vaccinati e, appunto, il Met Gala a chiusura, spostato temporaneamente da maggio a settembre. E poi un esercito di facce nuove. A cominciare dai nuovi brand: dal già osannatissimo Peter Do, europeo nel design (ha lavorato per Phoebe Philo da Céline) ma americano nell’approccio inclusivo e collettivo, a Collina Strada, re di un’estetica ambientalista psichedelica e opposta a quella scandinava, fino a Telfar, le cui Brooklyn Bag piacciono tanto da costringerlo a vendere solo tramite il proprio canale tv, per contenere i bot. E nuovi invitati: rottamata gran parte dell’aristocrazia editoriale, ora nelle prime file siedono content creator (il più accreditato è lo youtuber @hautelemode) e giornaliste che provano a fare piccole rivoluzioni, tra cui Lindsay Peoples Wagner, nuova Editor-in-chief di The Cut, e Rachel Tashjian, fashion critic per Gq e autrice di una newsletter su invito, Opulent Tips.

Eppure nel cercare di raccontare gli abiti visti in passerella viene spontaneo guardarsi indietro e chiedersi cosa stia succedendo nella moda da quelle parti. Lo sportswear vola in soffitta almeno per un po’, almeno dopo questi diciotto mesi di tute e felpe. Ma restano la cultura dance da Tom Ford, West Side Story da Michael Kors, il glam-comfort da Tory Burch. Dunque, cos’è la moda americana oggi? Se l’è chiesto anche il New York Times, stabilendo che la definizione debba essere molto più articolata di quanto uno possa pensare, e al tempo stesso non così semplice da trasformare in immagini o parole. O ancora, look. A guardarne 170, quelli pubblicati a poche ore dalla chiusura del Met Gala dall’account Instagram di riferimento (@checkthetag), la confusione non fa altro che crescere. E il giudizio si fa più complicato. «Kendall Jenner è così basic, pensa solo a mettere un abito bello e trasparente», per poi scoprire che è un tributo a Eliza Doolittle, ovvero Audrey Hepburn in My Fair Lady. In effetti molte non resistono alla tentazione dell’estetica da diva, perché si vuole pur essere belle dopo un anno di paparazzate ridotte all’osso: Gigi Hadid in Prada e parrucca rosso fuoco, Hailey Bibier nella sua uniforme firmata Saint Laurent, Kaia Gerber in una riproduzione di un Oscar de la Renta indossato da Bianca Jagger. E chi sceglie questa strada per stupire, come Billie Eilish, passata dal tutone logato di Gucci a un abito di Oscar de la Renta che la trasforma in una Marylin Monroe 2.0.

Poi ci sono quelli rigorosi ma originali: Jennifer Lopez in versione western by Ralph Lauren, Lupita Nyong’o in total denim by Versace, Debbie Harry portatrice di bandiera americana by Zac Posen, Ciara con variazione pailettes della divisa da baseball by Dundas. C’è naturalmente chi segue la propria narrazione e tanti saluti al tema, perché l’America la facciamo noi: Kim Kardashian e Kanye West arrivano insieme, entrambi in Balenciaga Couture e volto mascherato, perché Donda è appena uscito e lo spettacolo deve proseguire, non si può mica uscire dalla narrazione. Alle 22 passate, poi, quando probabilmente gli ospiti stanno probabilmente aspettando il dessert e i fan su Twitter già postano meme di delusione per la sua assenza, arriva Rihanna, accompagnata da ASAP Rocky nella loro prima uscita ufficiale (almeno così sembra) da coppia. Anche lei in Balenciaga Couture, un abito che sembra il piumone in cui ci siamo avvolti durante i lockdown per passare dal letto al divano, abbinato a un beanie con gioiello incorporato, realizzato da Stephen Jones. Alla richiesta dell’intervistatore ha detto: «Io sono un’immigrata, e questo è il mio modo di vedere la moda americana». Su Instagram qualcuno commenta: «L’unica ad aver portato la sua personale visione, per dire che l’America è ancora quello che vogliamo che sia».