Stili di vita | Dal numero

Mental Athletic, fare cultura con il running

Un media per celebrare lo stile di vita dei runner, con uno sguardo diverso da quello al quale ci hanno abituato le riviste di settore.

di Alessandro Mitola

C’è chi è a caccia di endorfine per raggiungere la cosiddetta runner’s high, chi di record personali sui cinque chilometri o sui fatidici 42,195 della maratona, chi di entrambe le cose. Qualcun altro lo fa semplicemente per tenersi in forma oppure per condividere una passione e creare senso di appartenenza, di “community”, per utilizzare una parola abusata ma efficace. Si dice che correre sia uno sport individuale, cosa indubbiamente vera, ma oltre a questo è un modo per connettere le persone: in una disciplina che premia la velocità, correre in gruppo è soprattutto riscoprire il piacere di rallentare e riconquistare gli spazi delle alienanti città moderne. Il running come forma alternativa di vivere gli spazi urbani, se vogliamo come atto politico, è in estrema sintesi anche il concept del progetto “The Infamous Loop”, una corsa nelle strade della città di Milano che segue il formato della staffetta. Le regole: un circuito chiuso, due squadre, svariati giri su strade aperte al traffico. TIL per certi versi si può intendere come una forma di resistenza che a oggi si è svolta in due edizioni, una nel loop di Corso Sempione e l’altra nell’ampio segmento che taglia in perpendicolare la Stazione Centrale rappresentato da via Vittor Pisani. Il progetto è curato da Mental Athletic, media fondato dall’art director Gabriele Casaccia e dedicato alla cultura del running nel senso più ampio del termine, che oggi è anche una rivista indipendente fuori dal circuito delle pubblicazioni sportive tradizionali. Dentro c’è la cultura e lo stile di quello che è il running, c’è il tentativo di raccontare la disciplina da una prospettiva inedita e diversa, attraverso un linguaggio contemporaneo e uno sguardo estetico curato. Perché, come recita il claim: «There’s a runner in all of us».

Come mai proprio il running? È una disciplina che hai scoperto da ragazzo oppure in età adulta?
La passione per il running è scattata all’età di trent’anni e ha rappresentato un cambio di rotta rispetto al mio background, al mio passato culturale degli anni Novanta e Duemila, quindi graffiti, musica, clubbing. È stato un cambio radicale, e non mi imbarazza dirlo: in qualche modo ha rappresentato la fine di quello che era un percorso legato anche al consumo di sostanze. Un percorso anche positivo se vogliamo, fatto di genuina curiosità. Questo cambio di vita ha coinciso con l’anno in cui il running ha iniziato ad avvicinarsi al mondo della moda, l’ambito da cui provengo professionalmente. Per intenderci, progetti come Nike Gyakusou erano proprio agli inizi.

Oggi che aspetto ha la corsa nella tua routine? E che fascino esercitano le lunghe distanze?
Detesto andare di sera, sono un runner mattiniero che non segue allenamenti specifici, ma che punta, si spera, a correre per tutta la vita. Ho il ricordo di una maratona a Venezia dove ero nel gruppo delle tre ore. Uno dei pacer stava per compiere 62 anni, mi raccontò che a differenza dei suoi amici runner non aveva mai portato il suo corpo allo sfinimento, quindi senza mai subire infortuni. Fu una lezione preziosa. Oggi la daily routine si lega al desiderio continuo di fare sport, più ne fai e meno riesci a farne a meno. Per me la corsa è quell’ora in cui il cervello viaggia in modo libero. Oppure è un momento in cui ascoltare musica, soprattutto nelle giornate piene di call o appuntamenti, dove altrimenti non sarebbe possibile. Ho corso per tanti anni senza musica, credo che il bello sia anche ascoltarsi: sentire il corpo, percepire il respiro, scoprire il movimento. Le lunghe distanze sono arrivate poi. L’endurance è un’esperienza personale slegata dal desiderio di battere un tempo, ma dalla volontà di completare l’impossibile.

Come si è evoluta la disciplina, circondata negli ultimi anni da tutto questo grande interesse?
La disciplina è uscita dal track and field per arrivare in città. Si è sviluppata dando alla luce diverse crew che provengono da ambiti sociali e culturali diversi. Ricordo che parecchi anni fa a Parigi, durante la Settimana della moda, nascevano quelle che oggi vengono definite “social run”, e con Satisfy eravamo in cinque: quelli che la sera prima erano a una festa e la mattina dopo si incontravano per correre insieme. Da lì il movimento si è evoluto, e oggi c’è una certa promiscuità, un’intersezione tra quelli che sono i club intesi come la parte più atletica, legata anche ai negozi di settore, e quelle che sono le running crew, composte da persone svincolate dai marchi e dall’ambito retail sportivo. La scena milanese, ad esempio, vede all’attivo diverse realtà come Sonic Step Society, Coffee Run Club o Mind the Gap. Il running è diventato una sottocultura, un po’ come lo skateboarding. Le crew che stanno emergendo sono composte da persone che promuovono un movimento fuori dalle piste e che si diffonde nelle strade della città tra runner con un approccio evoluto, con coscienza di una società che sta drasticamente cambiando, attenta ai temi ambientali e più consapevole nei consumi. La corsa stessa è un messaggio di cambiamento, un invito a spostarsi per esempio senza usare l’automobile e ad avere rispetto della natura.

Mental Athletic è un media che celebra il mondo del running in ogni sua forma, che da poco si è trasformato anche in una rivista. Mi racconti qual è l’idea dietro al progetto?
Mental Athletic è un approccio al movimento con armonia. Partiamo dalla corsa ma vogliamo approcciare nuove frontiere del dinamismo. Il progetto si basa su tre main pillar, che sono l’atletica, l’etica e l’estetica. La rivista [di cui è uscito da poco il primo numero, già sold out, ndr] è a cadenza semestrale e si rivolgerà a una audience che non è composta necessariamente da sportivi, ma a chi proviene da ambiti culturali. Uno sportivo che probabilmente si è avvicinato al mondo sportivo tardi. Per questo abbiamo scelto di esplorare diversi mondi, dalla cucina alla scienza e alla tecnologia, fino all’arte e alla fotografia. Una curiosità sul nome: inizialmente avevo pensato a Kid’s on Drugs, un po’ perché rappresentava una rottura rispetto alla mia vita precedente, ma con elementi di continuità legati alla street culture.

Come si racconta oggi questa disciplina?
La nostra idea è quella di approcciare lo sport in modo inedito rispetto al taglio dei classici media di settore: parliamo di cibo e mai di diete mirate alla performance. Esploriamo gli ambiti con uno sguardo curioso, con la voglia di comunicare qualcosa di nuovo. Atletica non intesa come senso di competizione e performance, a muoverci è il desiderio di svelare la bellezza che c’è dietro al movimento, al dinamismo. «There’s a runner in all of us» è un invito a muoversi, anche semplicemente camminando per andare in ufficio.

Poi c’è The Infamous Loop: una staffetta dove i runner si prendono il loro spazio tra le strade della città.
Staffetta è sinonimo di competizione, ma il progetto nasce più che altro dalla volontà di trovare quel binomio tra corsa e spazio fisico. Corso Sempione è lo spot di tutti i runner milanesi, ed è uno dei parchi più tracciati con il Gps. Il progetto è itinerante, si è spostato poi a Milano Centrale, lo spot europeo degli skater: il rettilineo è stato perfetto per realizzare una staffetta all’alba, alle quattro di mattina, con vista sull’architettura della Stazione. Una cosa divertente è il premio in palio, un souvenir personalizzato Mental Athletic: un piatto acquistato nella metro in Stazione Centrale.

“Se non è su Strava, allora non è successo”. L’app più famosa tra runner e ciclisti è un po’ come una religione. Ma se da un lato i dati possono fornire motivazione, dall’altro il continuo confronto con altri utenti può portare a forme di ansia e competizione meno sane. Che idea ti sei fatto in questi anni?
Tutti i runner aspettano il 31 dicembre per pubblicare quello che è stato il loro anno in altitudine e distanza percorsa. Rispetto alle criticità, io credo che dipenda molto dal proprio approccio ai social network. Instagram è nato per condividere la propria vita, poi è diventato uno strumento di business, oggi uno strumento di divulgazione politica dello scenario mondiale. Personalmente non monitoro Strava compulsivamente.

Correre è anche un modo di riappropriarsi delle strade e degli spazi urbani. Qual è la città in cui ti piace di più correre?
New York è la mecca del running. Non a caso la maratona nella grande Mela è la corsa che tutti vogliono correre, con lunghe liste d’attesa. Si corre in lungo e in largo: è una metropoli che sembra disegnata per correre, da Brooklyn all’High Line.

Tutte le fotografie sono di Alessandro Mitola