Attualità

Il Taser e la polizia italiana

Le forze dell'ordine italiane potrebbero dotarsi della "pistola elettrica", lo strumento contestato, forse a volte letale, ma già utilizzato in molti altri paesi. Quattro voci parlano dell'argomento: rischi, suggestioni, speculazioni.

di Redazione

“Tema caldo” è una rubrica che si propone di affrontare grandi argomenti di attualità con un taglio originale pescando dall’agenda politica, culturale, sportiva, internazionale del momento.“Tema caldo” vuole darvi  nuove domande a cui cercare nuove risposte, nuovi lati da cui leggere la realtà. Qui trovate la prima puntata, qui la seconda, qui la terza.

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Il 30 settembre 2014 la Commissione Affari Costituzionali della Camera ha approvato un emendamento al decreto stadi che autorizza la sperimentazione del Taser. Cos’è il Taser? Un articolo de La Stampa spiega: «La pistola emette una scarica ad alto voltaggio (circa 50 mila volt) a basso amperaggio, partendo da una normale batteria da 7.2 volt. Quando il Taser viene azionato proietta due dardi, collegati con fili elettrici alla pistola, con traiettorie non parallele perché l’efficacia aumenta quanto più i dardi sono distanti tra loro. Per produrre l’effetto non è necessario che le freccette tocchino la pelle, essendo sufficiente che si piantino negli abiti in qualsiasi punto del corpo. La scarica di corrente emessa dal Taser fa effetto quasi sempre ed è più efficace se si colpiscono i muscoli. La persona colpita cade a terra per le contrazioni e rimane in posizione fetale. La scarica può immobilizzarla nel giro di due secondi e per parecchio tempo».

Le polemiche riguardanti il Taser e i suoi effetti sono molte: le Nazioni Unite nel 2007 l’hanno definito «una vera e propria forma di tortura». Amnesty sostiene che negli Usa, tra il 2001 e il 2008, più di 300 persone sono morte dopo essere state “taserate”. Il problema ha due facce: una medica e una morale. È pericoloso per la salute dei cittadini? E inoltre: nel 2014, dopo anni di dibattiti sull’”alleggerimento” delle norme punitive, è il caso di introdurre uno strumento punitivo “violento” per le forze dell’ordine? Può il Taser essere un sostituto della pistola o soltanto un “contorno”? In ultima analisi: perché potrebbe essere introdotto il Taser come dotazione agli agenti (in tenuta antisommossa) ma continuano a esserci reticenze nell’introduzione delle targhe identificative sugli stessi?
Christian Raimo – Più Cesare Beccaria, meno scariche
Mi ci ha fatto pensare Marino Sinibaldi recentemente che forse ci farà un progetto radiofonico ad hoc: così quest’anno ho deciso di far leggere in classe per intero Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria. Beccaria in genere si salta sia nel programma d’italiano che in quello di filosofia, ma è evidente l’importanza del rigore analitico di questo suo libretto e la profondità dell’influenza che ha avuto nei 250 anni (250 esatti, uscì nel 1764) che l’hanno succeduto. Di fronte ai dibattiti di oggi sulla riforma della nostra giustizia inguaiata, tra garantismo e giustizialismo, la lunghezza dei processi e proporzione delle pene, Dei delitti e delle pene vola altissimo e costruisce in neanche cento pagine un quadro di riferimento per chiunque pensi che la riforma della giustizia sia cardinale per la trasformazione della società.

Detto questo, entusiasta di ogni pagina che leggevo, nei giorni in cui invece le pagine dei giornali lanciavano la notizia dell’adozione dei taser da parte delle forze dell’ordine, mi sono arenato al paragrafo in cui Beccaria si schiera a favore del porto d’armi: «Le leggi che proibiscono di portare armi non disarmano che i non inclinati né determinati ai delitti, mentre coloro che hanno il coraggio di poter violare le leggi più sacre della umanità e le più importanti del codice, come rispetteranno le minori e le puramente arbitrarie, e delle quali tanto facili ed impuni debbon essere le contravvenzioni, e l’esecuzione esatta delle quali toglie la libertà personale, carissima all’uomo, carissima all’illuminato legislatore, e sottopone gl’innocenti a tutte le vessazioni dovute ai rei?». Le armi, sostiene Beccaria, sono un deterrente alla violenza. E fu così convincente che le sue idee filtrarono attraverso Thomas Jefferson nella Costituzione americana. È da lì, da quella storia giuridica e sociale che oggi tornano a noi.

Insomma sono imbarazzato. Sono contrario al taser per ragioni impulsive: avete mai provato la sensazione dell’essere paralizzato? E sono contrario al taser per ragioni ideologiche: un’educazione tra cattolicesimo e libertarismo che mi fa pensare come un caposaldo l’intangibilità del corpo.

Eppure non è con queste ragioni che mi viene da schierarmi contro il taser. Ma con quelle – che traslo, sperando di non strumentalizzarle – di Beccaria. Dei delitti e delle pene è un libro che ebbe una diffusione larghissima, in ambienti sociali e politici molto diversi: piacque ai philosophes, a Jefferson a Caterina di Russia, e trovò applicazione anche immediata non per l’altezza dell’afflato ideale, ma per la sua concretezza. Beccaria precedeva l’elaborazione sistematica di Bentham e Mill su una morale civile basata sul principio di utilità. Evitava le polemiche accese tra principi opposti e ribaltava le questioni ragionando sull’efficacia dei provvedimenti per il benessere comune.

La domanda che Cesare Beccaria oggi si porrebbè è dunque: è utile il taser? Per rispondere, partirebbe da statistiche e dati concreti. Gli stessi che gli facevano condannare la pena di morte. E avrebbe un’immensa mole di esempi su cui impostare le sue conclusioni.

Ce ne sarebbe una per me evidente: il modello statunitense non funziona. Due milioni di carcerati (quasi l’un per cento della popolazione), 400.000 morti per arma da fuoco negli ultimi 50 anni (quasi 10.000 all’anno). È abbastanza palmare per me che la funzione di deterrenza delle armi da fuoco in un paese in cui il porto d’armi è una bazzecola è pressoché nullo. E allora, che si fa? Anche Beccaria se ne rendeva conto, e al paragrafo 45, quasi sul finale, scrive:

«Finalmente il più sicuro ma piú difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l’educazione, oggetto troppo vasto e che eccede i confini che mi sono prescritto, oggetto, oso anche dirlo, che tiene troppo intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai piú remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi». Ecco, piuttosto che il taser, sarebbe forse utile fare più ore di diritto nelle scuole – proprio quelle che l’ultima riforma scolastica ha diminuito drasticamente.

 

Guido Olimpio – Dalla pistola al…?

Il Taser è una risposta parziale alle esigenze degli agenti. E non potrebbe essere diverso: non esiste l’arma “perfetta” e come tutte le armi può provocare conseguenze gravi come i casi americani hanno ampiamente dimostrato. Al tempo stesso è evidente che la dotazione delle polizie deve cambiare. Non si può passare dalla pistola al nulla o viceversa. Tante volte si è detto di uso sproporzionato della forza nei confronti di un criminale o di un sospetto. Concetto complicato: quali sono i parametri che la misurano? Dipende molto dalle situazioni, dai tempi, dalle circostanze. In Italia abbiamo una visione. Negli Stati Uniti un’altra. Gli sceriffi, equipaggiati come soldati, non si fanno troppi problemi.

Scendiamo nel concreto. Se una pattuglia si trova davanti un folle armato non ha molte scelte. Cerca di farlo ragionare, prova a calmarlo. Ma se il tizio continua con l’atteggiamento minaccioso? Gli sparano? O provano a neutralizzarlo senza ricorrere alla pistola? E con quali conseguenze per gli agenti? Situazione ancora più grave quando in scontri violenti di piazza un agente rischia di essere sopraffatto: scene viste più volte in questi anni.  Per questo servono mezzi che consentano una risposta graduata ma non sono convinto che il Taser il rimedio migliore.

Anna Momigliano – Se una scarica elettrica è più accettabile di un pestaggio

Nel 2004 una giovane donna di Seattle, madre di un bambino piccolo e visibilmente incinta del secondo, è stata fermata da due agenti della polizia locale per eccesso di velocità mentre stava portando il figlio a scuola. Quando i due agenti le hanno intimato di firmare la multa, Malaika Brooks si è rifiutata, sosteneva di volere contestare l’infrazione, negava di avere superato il limite di velocità (andava a 50 km/h, però in quella strada il tetto era di 30) e ha tentato di giustificarsi spiegando che era incinta di sette mesi, che doveva andare in bagno. Gli agenti le hanno detto che se si rifiutava di firmare l’avrebbero arrestata. A quel punto la colpiscono con tre scariche di Taser, la trascinano a forza fuori dalla macchina, la buttano faccia a terra e la arrestano.

La donna ha partorito un bimbo sano (fatto non da poco, perché spesso la violenza sulle donne incinte causa aborti spontanei), ma ha riportato cicatrici permanenti. Poco dopo Brooks è stata condannata a una pena pecuniaria aggiuntiva, per essersi rifiutata di firmare la multa. A sua volta ha fatto causa alla polizia locale per uso eccessivo della forza.

Tre scariche di Taser (per non parlare del successivo sbattere a terra) sono un utilizzo della forza eccessiva per assicurare alla giustizia una donna incinta di sette mesi colpevole di andare a 50 km/h? Il caso legale è andato avanti per quasi dieci anni – finendo quasi per raggiungere la Corte Suprema federale, che però ha rifiutato di occuparsene – e si è concluso soltanto qualche settimane fa, quando la città di Seattle e la donna hanno raggiunto un accordo extragiudiziario. La città ha accettato di pagare 45mila dollari (circa 36mila euro) in risarcimento, ma «non ammette che alcuna irregolarità [sia stata commessa] da parte degli agenti».

La storia mi pare inquietante perché da un lato, avendo pagato un “risarcimento”, la città ha ammesso di avere causato un danno fisico alla donna, ma dall’altro sostiene di avere fatto bene. O, se non altro, di non avere fatto male. Mi chiedo – ed è una domanda aperta – se la città di Seattle avrebbe preso la stessa decisione se quei due agenti si fossero limitati a malmenarla senza troppi ausili tecnologici.

Qualcosa – ma, ancora, potrei sbagliarmi – mi porta a volere credere che picchiare una donna incinta sia considerato inaccettabile in qualsiasi caso che non esuli dalla legittima difesa o da un pressante questione di incolumità pubblica. Ma forse un Taser è diverso, è qualcosa di meno letale di una pistola e (apparentemente) meno fisico di un pugno. Il timore, insomma, è che diventi accettabile compiere con un Taser atti di violenza eccessiva che altrimenti considereremmo inaccettabile.


Davide Coppo – Suggestioni elettriche sparse

Sono confuso: non perché io non abbia un’opinione, ma perché mi sembra superfluo avere un’opinione forte in casi come questo. Mi sembra, cioè, superfluo scrivere per poter convincere qualcuno (non che io scriva mai per convincere qualcuno, ma insomma) che l’adozione del Taser è una scelta moralmente, filosoficamente, progressisticamente, socialmente sbagliata.

Ci sono alcune cose che, non entrando nel dettaglio tecnico né statistico, mi fanno temere per l’utilizzo del Taser. La prima è una suggestione immaginifica: la scarica prodotta dalla pistola che dovrebbe diventare dotazione della polizia è ad alto voltaggio (50.000 volt) e basso amperaggio (6 milliampère). Ho incontrato in più siti una similitudine tecnica, e non letteraria, tra le caratteristiche del Taser e quelle di uno strumento meno dibattuto: la frusta elettrica per bestiame. Queste similitudini tecniche richiamano un paragone non troppo assurdo: uno strumento utilizzato per il bestiame viene dato in dotazione alle forze dell’ordine non già di vacche e altri animali da pascolo, ma di esseri umani. Sento puzza, e di cosa? Di vacca, di mandria, di mandrie di vacche o di mandrie di esseri umani, che non sarebbero, con l’introduzione della pistola elettrica, poi così diverse tra loro agli occhi dei “guardiani”.

Poi: l’articolo de La Stampa già citato in apertura (linkato anche qui) scrive, testualmente, che l’obiettivo del Taser è quello di «ridurre al minimo il contatto fisico tra operatori di polizia da un lato e cittadini dall’altro». Ma il contatto non viene ridotto: il Taser non è uno strumento telepatico (forse: grazie al cielo), non è un utilizzo Jedi della “forza” inventata da un regista fantasioso negli anni Settanta. Il Taser comprende eccome il contatto fisico: le scariche elettriche trasmesse arrivano nel corpo del cittadino tramite due aghi, collegati a filo elettrico, che si conficcano nella pelle e nella carne. Ancora una similitudine: come un pesce appeso all’amo. Catch and release, solo che a volte l’amo non ti lascia una cicatrice come alla trota iridea di turno, ma provoca acidosi del sangue che può a sua volta provocare arresto cardiaco (secondo l’Air Force Research Laboratory).

In più, e riguardo questo specifico ultimo punto, c’è in gioco un mancato equilibrio di forze. È giusto che il Taser possa «ridurre al minimo il contatto fisico» tra poliziotti e cittadini? Sì, se si postula che ogni cittadino possa offendere (non in senso verbale) un poliziotto. Ma non è così, lo sappiamo logicamente ed empiricamente. Allora questa eliminazione del contatto fisico mi fa pensare a una smaterializzazione del poliziotto, dell’autorità di guardia, a una giustizia fisica capace di immobilizzarti (farti perdere l’uso dei nervi, dei muscoli, del cervello, sia anche per pochi secondi, farti perdere l’essenza di Homo Sapiens mi verrebbe da dire se volessi esagerare o forse no) da lontano, anche a tua insaputa, senza doversi sporcare le mani (giustificazione morale). Frusta elettrica per cittadini, violenza “silenziosa”, elettricità, uomini in divisa che possono paralizzare con un clic il sistema nervoso di altri uomini: tutto questo mi fa paura? Sì, molta.