Susan Minot, Scimmie (Playground) Trad. di Bernardo Anselmi
Playground ha rifatto Scimmie di Susan Minot, libro pubblicato a fine anni Ottanta da Mondadori in un momento in cui la parola magica era “minimalismo” e tutto era minimalista e Susan Minot veniva considerata una esponente del cerchio magico di questa corrente; era quella scrittrice che nell’87 veniva celebrata da un ritratto bellissimo uscito su Repubblica a firma di Irene Bignardi che la immortalava in promozione nella stanza di un albergo di Parigi, trentenne, bella, di successo.
La storiografia, per sua natura, per utilità e brevità, trasforma la storia in date, traccia confini, decide i prima e i dopo. La storia, spesso, è invece fatta di nebbie di incertezza, attese infinite, liberazioni distillate. La Seconda guerra mondiale, in Germania, non finì con la morte di Hitler: continuò per una settimana, condotta da Karl Dönitz, il successore del Führer come Presidente del Reich. Dönitz, ancora testardamente accecato dal “o tutto o niente” nazionalsocialista, portò avanti la guerra soprattutto a Est, nel tentativo di spaccare il fronte alleato, mentre tentava difficili manovre diplomatiche antibolsceviche con inglesi e americani. Ma la morte di Hitler fu soprattutto una nuova presa di coscienza di un popolo che, fino a pochi giorni prima, aveva creduto ciecamente nei deliri del suo Führer: Volker Ullrich, uno dei principali storici tedeschi, in un diario di otto giorni racconta cosa succede quando le ideologie si sgonfiano all’improvviso, e prima di ricostruire e di essere salvi rimangono soltanto le macerie, le paure dell’invasore, il fiato trattenuto. Il libro non funziona soltanto come saggio storico, ma intrattiene come un patchwork multimediale: unisce le strategie belliche disperate di Dönitz, i diari speranzosi dei primi cittadini liberati, le testimonianze delle violenze sovietiche, i carteggi tra nazisti minori improvvisamente consapevoli della sconfitta. Una settimana decisiva che poteva segnare, decisione per decisione, l’Europa in molti modi diversi dall’esito che abbiamo conosciuto. (Davide Coppo)