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Hunters è una serie in cui anche i buoni sono cattivi

Prodotta da Jordan Peele, ha per protagonisti Al Pacino e Logan Lerman e spazia dal dramma dei campi di concentramento alle iperboli del fumetto.

Hunters, la nuova serie tv di Amazon Prime prodotta da Jordan Peele con Al Pacino e Logan Lerman, potrebbe essere trasformata senza sforzo in un fumetto. A cominciare dal soggetto, che è già sopra le righe: un gruppo di ebrei, i cacciatori del titolo, si mette sulle tracce di alcuni alti ufficiali nazisti che vivono sotto copertura negli Stati Uniti e cospirano per ricostruire il Reich. Jonah, il co-protagonista, è un fan dei supereroi. Lui e i suoi amici applicano alla realtà categorie interpretative estrapolate dalle avventure di Batman e, pur essendo tipi svegli, cioè tutto l’opposto dello stereotipo di nerd imbranato, parlano il linguaggio in codice degli appassionati di fumetti. Le citazioni esplicite fanno il paio con spunti e situazioni ricalcati sulla mitologia dell’universo Marvel. Ad esempio, il rapporto tra Jonah e la sua safta, il nome ebreo per “nonna”, ricorda la tenerezza di Peter Parker verso sua zia May.

I richiami di Hunters a Spider-Man non finiscono qui. Peter Parker decide di indossare il costume dell’Uomo Ragno per vendicare la morte dello zio Ben, ucciso da un ladro. In una notte come un’altra, Jonah scende in salotto svegliato da strani rumori e assiste all’uccisione di sua nonna da parte di un uomo sconosciuto. Mentre la polizia si disinteressa al caso, Jonah conduce un’indagine parallela e scopre che Ruth è morta per mano di un nazista, uno dei centinaia di nazionalsocialisti mimetizzati nella democrazia più grande del mondo. Mentre le autorità sembrano cieche davanti alla presenza di criminali di guerra sul suolo americano, Jonah si unisce a un gruppo di cacciatori guidato dal personaggio di Al Pacino, che porta avanti una vendetta spietata “per conto di sei milioni di clienti”, le vittime dell’Olocausto.

I punti di contatto tra Hunters e i fumetti quindi sono diversi, ma tra tutti non sembra esserci la consueta tendenza a separare i personaggi della storia in buoni e cattivi. «Tutto quel che fai è una scelta tra luce e oscurità», dice la safta a suo nipote, il cui superpotere è, per inciso, una capacità analitica fuori dall’ordinario, utile a decodificare i messaggi criptati. Non ci sono dubbi su chi rappresenti l’oscurità. D’altra parte, Hunters è una serie sulla caccia al nazista, e sappiamo bene che nel cinema non esiste cattivo più cattivo di una SS o di un dottor Mengele. Il creatore David Weil ha lavorato attentamente alla de-umanizzazione dei nostalgici del Reich, soprattutto attraverso una serie di flashback ambientati ad Auschwitz. In questi frangenti, quando la fotografia perde la saturazione e i detenuti appaiono deperiti e affaticati nelle sbrindellate uniformi del lager, inorridiamo per le atrocità dei carcerieri. Gli ebrei cascano come foglie, giustiziati per il sadico divertimento degli ufficiali. Tra le torture messe in atto, una scena particolarmente cruenta mostra una partita di scacchi umana, in cui gli ebrei, che fanno la parte di cavalli, alfieri e pedoni, sono costretti a uccidersi ogni volta che un pezzo ne mangia un altro.

È una sequenza che, in un tweet, l’Auschwitz Memorial ha definito “irrispettosa e pericolosa” come rappresentazione finzionale dell’Olocausto. Weil ha preso le difese del suo show, parlando dell’esigenza di rispondere ai revisionismi storici, «mettendo in vetrina il sadismo e la violenza più estremi che i nazisti hanno perpetrato nei confronti degli ebrei e delle altre loro vittime». Ma al di là della questione etica, c’è una chiara ragione narrativa, quindi tecnica, per cui gli sceneggiatori hanno deciso di accentuare la raffigurazione della perfidia nazionalsocialista.

I continui paralleli tra gli anni Quaranta e il presente servono a giustificare le azioni del  gruppo dei giustizieri fai-da-te. Al Pacino e compagni operano in modo sadico ed efferato. La miglior vendetta è vivere bene? No, dice Pacino, correggendo la Torah: «La miglior vendetta è la vendetta». In una scena della seconda puntata, i cacciatori torturano un nazista di Auschwitz. Nel lager, questo ex ufficiale aveva l’abitudine di imbastire un crudele teatrino: faceva cantare un gruppo di ebrei, sparando alla testa chi sbagliava l’intonazione, le parole o il ritmo. Per una sorta di contrappasso, i cacciatori si vendicano sfondandogli i timpani con la musica a volume altissimo. Nessuno di loro, tranne Jonah, batte ciglio mente la vittima grida in preda alla sofferenza. Hunters lavora così, de-umanizzando i cattivi e giustificando l’occhio per occhio dei buoni attraverso la rappresentazione della violenza nei lager. Ma i buoni possono davvero definirsi tali? Non proprio. I cacciatori restano presenze minacciose e moralmente compromesse. Di certo migliori dei carnefici di Auschwitz, ma non esattamente la squadra per cui tifare.

Si percepisce una continua tensione tra i partecipanti della caccia al gerarca. «Mi fanno una paura tremenda», dice a Jonah uno degli ebrei parlando degli altri membri della congrega. Johan rappresenta il punto di vista dello spettatore: nei suoi confronti, e quindi nei confronti dello spettatore, i cacciatori hanno un continuo atteggiamento di sfida e ostilità. Quindi le parole di Ruth sulla dover scegliere tra luce e oscurità, che pure sembravano tagliate sulla morale del fumetto, non trovano riscontro in personaggi e situazioni. La scelta piuttosto sembra quella del male minore. Se fossimo costretti a schierarci, staremmo chiaramente dalla parte dei vigilantes sciroccati. Ma si tratta pur sempre di un partito non soddisfacente.

Nella folle carneficina che scateneranno le due fazioni, lo spettatore è a suo agio solo con l’agente dell’FBI Millie Morris. Millie si muove in un contesto sociale ostile al suo essere donna, afroamericana e gay, ma nonostante le difficoltà porta avanti le indagini sugli omicidi dei nazisti con assertività e competenza. È un personaggio arricchito dall’ottima presenza scenica di Jerrika Hinton, sebbene tutte le interpretazioni, Al Pacino innanzitutto, siano buone. Hunters è anche magnificamente girata e alcune scene testimoniano la stessa cura dei grandi registi quando realizzano i propri film. Inoltre è una serie diversa dalle altre. Seppur non al di sopra del livello qualitativo medio-alto della maggior parte dei prodotti seriali degli ultimi anni, resta interessante, fuori dagli standard. Per i toni schizofrenici, cioè per la spregiudicatezza con cui spazia dal dramma dei campi di concentramento alle iperboli del fumetto; per il cinismo di alcune scelte narrative; per una serie di questioni etiche riguardanti il modo di agire dei personaggi e la posizione dello spettatore rispetto ai protagonisti della storia. Per tutte queste ragioni, merita un’opportunità.