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Esterno Notte è Marco Bellocchio al suo meglio

Nel film/miniserie presentato in questi giorni a Cannes il regista racconta una storia notissima in maniera inedita, libera da complottismi e ideologie.

Poco prima che iniziasse la proiezione di Esterno Notte di Marco Bellocchio, c’eravamo io e sei anziani e ho pensato: ecco qui, metti la crisi del cinema, considera che è lunedì e a Roma non escono nemmeno gli zombie, insomma, la vedo male, sarà il classico film che interesserà solo quelli che hanno visto, vissuto, goduto e patito la prima Repubblica e cioè io, che ho 56 anni e all’epoca del caso Moro avevo 12 anni, e i sei anziani che credo andassero per gli 80 anni. Un classico campione rappresentativo, sia dell’ideologia dell’epoca sia della attuale demografia. Poi non appena il film è iniziato, già dalle prime scene, quando appare Moro/Gifuni ho avuto la sensazione che Bellocchio fosse al suo meglio (Gifuni dovrebbe avere un premio speciale, ancora da inventare: lavorando sulla voce e sul testo, un po’ alla Ronconi, è riuscito in questi anni a mettere in atto una vera riscrittura critica di alcune opere, che fosse Camus, Gadda o Pasolini).

Non sempre Bellocchio ha dato il meglio di sé, ci sono stati film bellissimi e altri poco riusciti, a volte confusi. Fra questi, a mio parere, quelli del periodo fagioliano che ricordo però causavano dibattiti accessi. Nel 1991, per esempio, uscì La condanna, la storia di un uomo che, rimasto chiuso a Villa Farnese con una donna, approfitta della situazione e le salta addosso. Lei prima resiste ma poi si accende (diciamo così) perché sente il desiderio di lui e si abbandona al rapporto (ha pure un orgasmo, invece la moglie del violentatore non riesce a raggiungerlo). Lei dopo lo accusa di stupro, c’è un processo e lui vien condannato. Ricordo ancora l’articolo di Carol Beebe Tarantelli sull’Unità, molto bello e chiaro e la risposta di Fagioli, che non sono ancora riuscito a decifrare (vado a memoria: Tarantelli contestava fortemente l’idea del film e cioè che lo stupro abbia origine da un irresistibile e incontenibile desiderio maschile che la donna pur sanguinante e lacera alla fine accetta perché corrisponde a quel desiderio).

Ricordo anche Il sogno della farfalla, pure quello del periodo fagioliano e Diavolo in corpo (il primo film sul post terrorismo, scrisse Morandini). Comunque, in ogni film di Bellocchio c’era sempre almeno una scena indimenticabile. Improvvisa, straniante, straziante, struggente. Una scena dove qualcosa di non ovvio, di non raccontato, di oscuro emergeva potentissima e ti portava a confessare agli amici: guarda, del film non so che dirti ma c’è una scena fantastica, bellissima, solo quella scena vale il film. Le ricordo queste scene e ricordo il cinema in cui le ho viste, la sala pure e ricordo l’effetto su di me, che nonostante gli anni sento ancora. Le ricordo non per cinefilia o altro, ma perché muovevano qualcosa e imparavi qualcosa in nome di quel movimento inaspettato. Tutte queste scene si fondavano su un repentino, inaspettato, brutale e fantastico cambio di punto di vista. Diciamo così, per capirci, si passava dall’esterno all’interno, dalla luce all’ombra, dalla pausa alla velocità, dalla realtà al sogno e, insomma, le dimensioni narrative convenzionali saltavano, con loro anche il senso comune. Si apriva un mondo: tutti pensavano al campo, Bellocchio ti regalava un controcampo inedito.

In Esterno Notte, fin dalle prime scene, ho avuto l’impressione che Bellocchio fosse al suo meglio e potesse dunque, controcampo dopo controcampo, svelare aspetti inediti di una storia notissima, sia per quelli come me che avevano 12 anni, sia per quelli un po’ più anziani. E in ragione di questi aspetti inediti ho pensato con malinconia: certo, sarebbe bello se intercettasse i sentimenti, le curiosità di quelli che nel 1978 non erano ancora nati. Cosa non facile. Uno come mio figlio, una come mia figlia, 24 e 22 anni rispettivamente, cosa potrebbe pensare di un democristiano di vecchio corso, calato nel solito vestito blu scuro, in cravatta col nodo ben fatto, sempre sorvegliati con quelle frasi pompose da professori e retori di lungo corso, lunghissime (non finivano mai) e talvolta assurde e ossimoriche, insomma quelle convergenze parallele?

Secondo me, visto e considerato i fatti odierni, i 5 stelle, i cittadini, il rimborso degli scontrini, le dirette Facebook cazzare e indiscrete, «io nun so’ politica», i talk televisivi dove si grida alla pace e si fa la guerra e cose del genere, quella visione risulterebbe prestorica. Voglio dire, oggi chi si sentirebbe turbato un governo con (ex) comunisti ed ex (democristiani)? C’è già e naviga tranquillo. Quindi, il caso Moro 40 anni e passa dopo che film potrebbe essere, se non un reperto storico? A chi potrebbe interessare? Financo io avevo dubbi, figuratevi i più giovani. Per fortuna lo dirige Bellocchio, appunto, al suo meglio, con un cast non da meno, scritto benissimo e con grande amore per i personaggi (firmano la sceneggiatura Marco Bellocchio, Stefano Bises, Ludovica Rampoldi, Davide Serino). Per fortuna Bellocchio si prende il tempo per costruire una miniserie, che va bene, vanno di moda, ma permettono una maggiore sperimentazione. Non fosse altro che puoi concentrarti su più personaggi, quelli che in genere sono raccontati velocemente o giudicati in fretta.

Cosa che Bellocchio non vuole fare (raccontarli e giudicarli in fretta). Come dire, tutti noi ci siamo concentrati sull’interno, su Moro, sulla prigione, sui brigatisti, sulla storia, sulla cronaca. C’è poi un interno dell’interno, nello specifico il complotto, l’oscurità, il depistaggio (in una scena molto bella il consigliere americano rimprovera noi italiani di avere un debole per le seconde, le terze, le quarte interpretazioni e alla fine si perde di vista la pista iniziale e se ne ricava un grande caos). Meno male che Bellocchio non è attratto (perché finalmente libero da una certa visione dell’inconscio) dal quel tipo di interno che le teorie complottiste comportano (anzi le prende in giro e bisognerebbe capire quanti danni ha fatto una certa interpretazione complottista rispetto a una sana metodologia epistemologica) e si concentra sull’esterno. E cioè? Cioè su noi tutti. Noi italiani, gli esterni, appunto. Quelli poco o per niente raccontati. Qui, nella miniserie, attraverso i rappresentati delle istituzioni che allora governavano: Cossiga, Andreotti, Zaccagnini, Craxi, Berlinguer, Paolo VI, insomma il potentato della prima Repubblica, si arriva a noi. Palando di Cossiga e della sua cerchia, i democristiani colti e potenti e di altri arruffoni e prepotenti, giocando e immaginando il loro privato, cosa pensavano, cosa sognavano, cosa temevano, che ossessioni avevano, dove si nascondevano per paura, chi vomitava, chi scappava in bagno, chi impazziva, chi era cieco, chi stravedeva, arriva dunque a noi. Ma di riflesso. Come dire, da esterno a esterno, in un controcampo delizioso Bellocchio indaga sulla materia collettiva, brutale e meschina, altruista e caciarona con la quale abbiamo impastato una strategia politica: materia che abbiamo lasciato in un campo aperto, sperando che si perda nelle intemperie.

A film finito mi sono girato e nel gruppo di anziani si stava commentando: molto bello, dicevano. Poi, mi sono alzato e dietro agli anziati, sorpresa, c’erano due ragazzi. Non credo si fossero infrattati nel cinema, non si fa più, erano lì per Esterno Notte: il film è piaciuto molto, li ha scossi – mi hanno detto – e ho pensato, lasciando il cinema, che quando cominciai a vedere i film di Bellocchio avevo la loro età e i loro turbamenti: dunque, che Bellocchio ci accompagni ancora all’esterno, in piazzali aperti e poco frequentati in balia di (e)venti diversi.