Attualità | Cronaca

La foresta proibita

Ieri uno dei due uomini sospettati di aver ucciso il giornalista Dom Philips e la sua guida Bruno Araújo Pereira mentre lavoravano a un libro-inchiesta sulla foresta amazzonica ha confessato, ponendo così fine a una ricerca diventata caso internazionale e questione diplomatica.

di Studio

Dom Philips assieme alla popolazione indigena di Aldeia Maloca Papiú, Stato del Roraima, Brasile (Foto di Joao Laet/AFP via Getty Images)

Nella prima settimana di giugno, Dom Philips – giornalista inglese, collaboratore fisso del Guardian e in passato anche del New York Times – è arrivato nella valle del Javari, in Brasile. Aveva in programma di intervistare i membri delle “guardie indigene” che da mesi pattugliano la foresta nel tentativo di scacciare pescatori, bracconieri e minatori che approfittano dell’isolamento della zona per portare avanti attività illegali. Nella valle, infatti, praticamente non ci sono strade e per spostarsi da un punto all’altro della foresta il mezzo più veloce sono le barche che fanno su e giù per il fiume, impiegandoci anche nove giorni per arrivare a destinazione. Il governo di Jair Bolsonaro ha mostrato negli anni scarsissimo interesse per i problemi degli indigeni (ha anzi preso diverse decisioni contro le organizzazioni e i movimenti che proteggono la foresta), ed è per questo che membri delle 19 tribù della valle a un certo punto hanno deciso di formare delle ronde per sorvegliare e proteggere il loro territorio. Philips era arrivato in Brasile proprio per intervistare i membri di una di queste ronde per un libro al quale stava lavorando, e nel suo viaggio nella foresta aveva deciso di farsi accompagnare da Bruno Araújo Pereira, un esperto dei gruppi indigeni brasiliani che fino a poco tempo fa lavorava per il governo. Recentemente, Pereira aveva deciso di lasciare il lavoro e di dare una mano nell’organizzazione delle ronde.

Alle sei del mattino di sabato 4 giugno, Philips e Pereira erano assieme a una pattuglia indigena, a bordo di una barca che risaliva il fiume che dà il nome alla valle, il Javari. A un certo punto, davanti a loro è passata una piccola imbarcazione con tre uomini a bordo. I tre uomini si sono poi rivelati pescatori di frodo. Incrociando Philips, Pereira e la pattuglia, hanno mostrato le loro pistole. Il giorno dopo questo incontro, Philips e Pereira sarebbero dovuti tornare a casa. Secondo il loro programma, avrebbero dovuto risalire il fiume Itaquí e arrivare ad Atalaia do Norte, città del Perù, domenica alle otto del mattino. Non sono mai arrivati a destinazione. Da quel giorno e fino a ieri, in Brasile non si è parlato d’altro che della sparizione dei due uomini. Alla loro ricerca si sono dedicati tutti, dalle pattuglie indigene alla Marina brasiliana. Mentre politici e celebrity del Paese chiedevano alle autorità di fare di più per trovare il giornalista e la sua guida, i media nazionali hanno parlato praticamente solo di questa notizia per i successivi dieci giorni. Durante il nono Summit of the Americas tenutosi a Los Angeles dal 6 al 10 giugno, Bolsonaro si è dovuto difendere dall’accusa di non stare facendo abbastanza per risolvere il caso.

Nessuna delle dichiarazioni di Bolsonaro ha però convinto la comunità internazionale. Il caso, ovviamente, è stato molto discusso in Inghilterra, dove è diventato oggetto anche di un’interrogazione parlamentare. L’ex premier Theresa May, infatti, ieri aveva chiesto all’attuale Primo Ministro Boris Johnson di fare della scomparsa di Philips e Pereira una «priorità diplomatica», ribadendo i profondi dubbi sull’impegno che il governo brasiliano stava mettendo nella risoluzione del caso. Johnson aveva risposto confermando che il Ministero degli Esteri inglese stava facendo tutto il possibile e dicendosi anche lui «profondamente preoccupato». In effetti, era piuttosto difficile sentirsi rassicurati da dichiarazioni come «non era molto amato nella zona», «è stato imprudente», «avrebbe dovuto fare molta più attenzione nel momento in cui ha deciso di cominciare la sua gita». Tutte dichiarazioni di Bolsonaro riferite alla scomparsa di Philips.

È stata proprio una delle dichiarazioni del Presidente brasiliano a far capire definitivamente che quella in corso non era più la ricerca di due uomini scomparsi/dispersi nella foresta ma un’indagine vera e propria. Un’indagine su un duplice omicidio. «Prego Dio che riescano a trovarli vivi, ma le prove fin qui raccolte fanno pensare altro», ha detto il Presidente brasiliano ai media locali lo scorso lunedì. Il giorno dopo, una dichiarazione simile l’ha fatta anche Manuel Chorimpa Marubo, leader indigeno della valle. «Le possibilità di ritrovarli vivi, ormai, sono prossime allo zero. La speranza, ora, è quella di ritrovare i corpi». Nel momento in cui Bolsonaro e Marubo hanno fatto le rispettive dichiarazioni, le indagini di polizia erano andate ormai molto avanti, accumulando sempre più prove, indizi e sospetti. Già mercoledì 8 giugno, infatti, le autorità avevano preso in custodia un uomo, Amarildo da Costa de Oliveira, per interrogarlo. De Oliveira era uno dei tre uomini che Philips e Pereira avevano incrociato il giorno prima della loro scomparsa. Secondo le testimonianze – tra gli altri – di Soraya Zaiden, attivista tra i leader dell’organizzazione indigena Univaja (che stava aiutando Philips nel suo lavoro di reportage e che dopo la scomparsa ha collaborato con le autorità impegnate nell’indagine), domenica de Oliveira era stato visto a bordo della sua barca verde assieme ad altri uomini, impegnato in quello che sembrava a tutti gli effetti un pedinamento/inseguimento di Philips e Pereira. Zaiden ha riconosciuto la barca di de Oliveira grazie al grosso simbolo Nike dipinto sul fianco del mezzo e l’uomo da un precedente incontro avuto con lui: negli scorsi mesi, infatti, de Oliveira aveva sparato a una pattuglia di Univaja. Tra sabato 11 e domenica 12 giugno, le autorità brasiliane avevano ritrovato, nella zona in cui erano scomparsi Philips e Pereira, oggetti appartenenti ai due uomini: dei vestiti, un sandalo, uno zaino e una tessera sanitaria. Sulla barca di de Oliveira la polizia aveva ritrovato tracce di sangue, subito prelevato per essere testato in laboratorio. Martedì 14 giugno, i poliziotti hanno condotto un altro arresto, quello di Oseney da Costa de Oliveira, fratello di Amarildo, l’altro uomo che era con lui sulla barca che inseguiva/pedinava Philips e Pereira. «Continueremo le ricerche, ma a questo punto sappiamo che la situazione è grave, molto grave», ha dichiarato Zaiden. Ieri, Amarildo da Costa de Oliveira ha confessato l’omicidio di Philips e Pereira e ha guidato la polizia al luogo in cui i corpi dei due uomini erano stati occultati. «Questa tragica scoperta pone fine all’angoscia di non sapere che fine avessero fatto Dom e Bruno. Oggi comincia la nostra missione, otterremo giustizia», ha dichiarato Alessandra Sampaio, la moglie di Dom Philips.