Il diritto alla casa è la riforma costituzionale di cui abbiamo bisogno?

Ne abbiamo parlato con Mattia Santarelli, fondatore del comitato "Ma quale casa", che sta raccogliendo le firme per una proposta di legge popolare per inserire il diritto alla casa in Costituzione.

01 Luglio 2025

In Italia oltre 5 milioni di persone vivono in condizioni di disagio abitativo, mentre gli affitti nelle grandi città sono aumentati fino al 20 per cento nell’ultimo anno. Il tema della casa se ne sta ossessivamente al centro del dibattito pubblico ma senza risposte politiche e strutturali. Nel 2023, un gruppo di studenti, dopo aver piantato le tende davanti alla Sapienza, ha fondato “Ma quale casa?”, un comitato under 30 che oggi si è trasformato in una rete nazionale che propone una riforma radicale: inserire il diritto all’abitare nella Costituzione. Dopo mesi di confronto con giuristi e accademici, il gruppo ha depositato in Cassazione una proposta di legge di iniziativa popolare. Obiettivo: raccogliere 50 mila firme entro l’11 settembre 2025. Ne ho parlato con Mattia Santarelli, uno dei fondatori, che mi ha raccontato come è nata l’idea e perché serve una nuova visione dell’abitare, fondata sulla giustizia sociale.

ⓢ Mattia, chi sei, che cosa fai, ma soprattutto perché fai quello che fai?
Sono uno studente di giurisprudenza alla Sapienza di Roma. Quando ero vicecoordinatore di Sinistra Universitaria abbiamo messo le tende davanti all’università, per protestare contro il caro affitti. Inizialmente l’approccio al tema dell’abitare è stato di protesta, servita a risvegliare l’attenzione pubblica. Quell’esperienza però è un po’ morta li. Così abbiamo dato vita al Comitato: “Ma quale casa per mettere insieme tante realtà e persone. Alcuni fanno politica, altri non la fanno. La crisi che viviamo non ha precedenti e avrà bisogno di cure draconiane, non basterà un singolo farmaco per curare l’abitare. Serve una proposta ampia per far capire alle persone che lo Stato deve prendersi le sue responsabilità. Se da un lato il mercato ha adeguato i prezzi, facendo nascere B&B senza regole, lo Stato non ha certo costruito case popolari e non ha regolamentato il social housing chiedendosi quale ruolo potesse avere. Per noi è importante sensibilizzare la società civile rispetto al fatto che l’abitare è la sfida dell’oggi e del domani, attraverso una campagna politica che dica ai partiti “svegliatevi perché qui o se ne esce insieme o non se ne esce affatto”. Negli ultimi anni abbiamo avuto i ministeri anche per l’assaggio delle ostriche ma ancora non esiste un ministero per l’abitare. Questo vale per la destra o per la sinistra, fa poca differenza. Non è possibile continuare a vivere in un Paese che accetta che 100 mila persone vivano per strada. Stiamo quindi portando una proposta di legge di iniziativa popolare per inserire il diritto all’abitare in Costituzione. Servono 50 mila firme entro l’11 settembre.

ⓢ C’è un tema legato alla narrazione. Di casa, oggi, si parla ma in assenza di una visione generale e di prospettiva.  Si cita il Piano casa come soluzione, ma l’ultimo risale all’epoca Fanfani. E quando si accendono i riflettori, come è successo dopo la vostra protesta con le tende in piazza, tutti pensano che l’unica soluzione sia quella di realizzare studentati ma senza entrare nel merito dei numeri, delle complessità. Ma se manca una visione, cosa serve oggi per costruirla?
Adesso va di moda l’abitare, se tu vedi i programmi delle ultime elezioni, però, di abitare non ne parlava nessuno. Quando emerge un’esigenza reale la politica dovrebbe essere felice di rappresentarla. Ma è evidente come il marketing oggi abbia invece vinto sulla politica. Ora si cercano addirittura le candidature tra gli influencer. Gli elettori sono visti come consumatori. Noi continuiamo a parlare di Piano casa senza capire che ormai quel piano non può più funzionare. Oggi ci sono esigenze così contrastanti fra di loro che se lo si farà, finirà per essere un piano vuoto. Calato dall’alto. Del Piano casa terrà solo il nome, che sia la destra o la sinistra a farlo. Nell’elaborazione politica servirebbe invece iniziare a specificare cosa vuol dire abitare e quali tipi di esigenze ci sono a seconda delle situazioni. Servirebbe pensare a un dipartimento che si occupi di abitare pubblico. Servirebbe un piano per la ricostruzione e pensare al tema delle periferie con una precisa voce di spesa e ragionamento politico. Quello che noi cerchiamo di fare è andare nelle periferie e nelle case popolari. Parlando con le persone che ci vivono. Io ad esempio avevo tutta una mia lettura sul Corviale o su Bastoggi, poi ci entri, vedi quello che succede e capisci che la cosa essenziale da fare è aiutare le realtà solidali esistenti che fanno la spesa per chi ne ha bisogno, o la palestra del quartiere che è il vero centro aggregativo. Non basta ricostruire. È impossibile pensare un Piano casa senza elaborazione politica, ed è impossibile fare elaborazione politica senza andare nei luoghi vivendoli con chi li abita. Cosa che nessun partito sta facendo.

ⓢ All’epoca c’erano i corpi intermedi, un dialogo tra politica, lavoratori e borghesia illuminata che, in qualche modo faceva ammenda. Oggi pare ci sia un problema con l’autocritica. Il Pnrr ad esempio: soldi caduti a pioggia sulle periferie per progetti di rigenerazione urbana arrivati ad amministrazioni non preparate più a riceverli.
Secondo me questo risiede nella crisi profonda che vivono tutti i corpi intermedi. Ci sono realtà delle città che fanno e producono buone idee, mancando però l’elaborazione politica interna ai partiti, mancano anche i luoghi in cui queste esperienze si possano mettere a confronto. Pensiamo a Prato, luogo davvero interessante in materia abitativa perché è la città più multietnica d’Italia con un tasso di marginalizzazione tra i più bassi. Ma quel modello non viene osservato perché manca uno spazio di confronto. Con la nostra proposta stiamo cercando di andare in controtendenza perché parlare di diritto all’abitare in Costituzione ha una ricaduta pratica e concreta e ha come obiettivo quello di mettere insieme chi dell’abitare si occupa. Se usiamo tutti come faro comune il diritto all’abitare, riconoscendolo come diritto fondamentale della persona, allora possiamo trovare delle soluzioni e raccontarci quelle che già ci sono. C’è necessità di un dialogo eterogeneo, non a senso unico o escludente.

ⓢ È difficile, però, riuscire a portare ai tavoli che contano le persone che vivono veramente i temi di cui stiamo parlando. Ho come idea che spesso, chi scende in piazza per i diritti, sia alla fine più privilegiato di chi dovrebbe scendere in piazza per davvero e ci sia sempre un filtro. Cosa ne pensi e come vi state muovendo rispetto a questo?
Tocchi un tasto caldissimo, è un tema su cui ci stiamo confrontando molto. L’idea della proposta di legge d’iniziativa popolare serviva anche per coinvolgere in prima persona chi la casa non ce l’ha, chi è colpito più di altri dal problema. Per noi non è mai stato soltanto chiedere una firma ma piuttosto riuscire a portare in prima in prima linea le  persone come promotrici. Invece di farla depositare al parlamentare o al gruppo parlamentare abbiamo voluto un’iniziativa popolare. Ma oggi sono proprio i metodi di coinvolgimento democratico a essere limitati. Entrare in Cassazione per depositare la proposta di legge implica già di per sé un privilegio e per avere visibilità devi stare in ambienti di un certo tipo. Per entrare alla Camera dei Deputati devi avere una giacca. È una cosa molto simbolica. Noi cerchiamo di stare in mezzo alle situazioni di difficoltà. Non è semplice perché ti confronti con la diffidenza. Quando entriamo nelle case popolari c’è resistenza umana che non colpevolizzo, capisco, perché se non vieni coinvolto in nessun tipo di processo non ci credi più. E poi nei casi di perdita del lavoro, di rischio sfratto, è difficile esporsi perché si vive nella fragilità. Da un lato quindi c’è l’ostacolo dell’antidemocraticità, paradossale del nostro sistema, che fa andare avanti soltanto chi ce la fa e dall’altro c’è una solitudine intrinseca. Si è sempre più forti se si è in un gruppo e non esiste a livello istituzionale uno spazio collettivo che incoraggi forme di democrazia partecipativa.

ⓢ Oggi in Italia è una colpa essere poveri, mentre la ricchezza rimane un modello da raggiungere. Inoltre viviamo in una dimensione che porta a non capire più i linguaggi dei più poveri. Che ne pensi?
Se pensiamo al sistema dell’edilizia pubblica, pensiamo a un modello che non sappiamo mettere in discussione. Certo per alcuni aspetti ha funzionato ma per altri no, si tira avanti tra ascensori bloccati, scale rotte, c’è chi sta chiuso dentro in casa perennemente. Spesso in quelle situazioni aleggia un tasso di criminalità altissimo perché diventa l’unico modo che si ha per riuscire a guadagnare qualcosa. Le liste d’attesa sono lunghissime. Ma poi se una persona entra nella casa popolare, da lì come la aiuti a costruirsi una vita, trovarsi un lavoro, avere dei servizi per la sanità psicologica? Questo è totalmente un problema politico. Di fronte a un tasso di scolarizzazione bassissimo bisognerebbe capire come offrire a tutti l’opportunità di andare a scuola a studiare anche solo per imparare a leggere e scrivere. Ma per fare questo serve che ci sia qualcuno che ti ascolti e che capisca qual è la tua esigenza. È ovvio che un modello assoluto non esiste, serve un minimo margine di discrezionalità, serve che lo Stato sia presente, che fisicamente stia lì con quelle persone e non le tratti da numeri.

 ⓢ È come se si fosse persa l’idea che anche la felicità possa essere un diritto. Senti, ma come farete a raggiungere i 50 mila firme senza gli influencer?
Ci vuole un miracolo? Diciamo che stiamo cercando in maniera ripetuta e anche invadente di raccogliere le firme. Ma non abbiamo ancora una risposta sufficiente. Speriamo che una spinta ce la dia la stampa e sì, siamo anche in contatto con gli influencer. E poi comunque noi abbiamo parlato con tutti i partiti.

ⓢ Anche perché la questione casa non ha un colore politico, è un tema che interessa tutti, no?
Ma infatti se fossero intelligenti, tutti quanti capirebbero in che misura possono starci perché il diritto all’abitare in Costituzione è un dibattito che fa bene a tutti, cioè se la politica cominciasse a dare l’impressione che si interessa a questo tema genuinamente iniziando a elaborare proposte sensate, ci guadagnerebbe la politica per prima.

ⓢ Ma se non riuscite a raccogliere tutte le firme? Io mi auguro di sì, ma se non ci riuscite qual è il piano B?
Piano A, è annullare i primi mesi di raccolta firme e continuare a ottobre e novembre quando comunque ci sarà un’attenzione più alta.

ⓢ E i politici saranno tornati dalle vacanze?
Esatto, ci avranno riflettuto e pensato sotto l’ombrellone e si spera che spingeranno la cosa. L’opzione B è capire cosa possa diventare questa campagna e questa proposta. Se ci sarà una spinta forte dal basso potrebbe diventare un movimento più strutturato. La proposta in sé può anche morire lì e magari può essere ripresa dai parlamentari mentre noi diventeremo qualcos’altro, non lo so esattamente cosa, ora. Io vorrei semplicemente che questa proposta arrivasse in Parlamento come legge d’iniziativa popolare e spero di continuare a raccogliere firme.

ⓢ Ultima domanda di rito: ti candiderai? Entrerai in politica?
È una domanda che mi fanno spesso, credo che però per me non sia il tempo. Ho 24 anni, voglio laurearmi e iniziare la mia carriera accademica. La politica per ora la faccio perché mi piace, perché è giusto e perché ci credo. Quindi non credo ci sarà nessuna candidatura per i prossimi 10 anni. E poi è antieconomico. Chi ce li ha i soldi?

Con dei cori pro Palestina e contro l’IDF, i Bob Vylan hanno scatenato una delle peggiori shitstorm della storia di Glastonbury

Accusati di hate speech da Starmer, licenziati dalla loro agenzia, cancellati da Bbc: tre giorni piuttosto intensi, per il duo.

A New York le primarie democratiche le ha vinte a sorpresa un candidato sindaco molto di sinistra 

Zohran Mamdani ha battuto Andrew Cuomo, grazie a una campagna elettorale molto radicale e al sostegno degli elettori più giovani.

Leggi anche ↓
Con dei cori pro Palestina e contro l’IDF, i Bob Vylan hanno scatenato una delle peggiori shitstorm della storia di Glastonbury

Accusati di hate speech da Starmer, licenziati dalla loro agenzia, cancellati da Bbc: tre giorni piuttosto intensi, per il duo.

A New York le primarie democratiche le ha vinte a sorpresa un candidato sindaco molto di sinistra 

Zohran Mamdani ha battuto Andrew Cuomo, grazie a una campagna elettorale molto radicale e al sostegno degli elettori più giovani.

Sally Rooney si è schierata a difesa di Palestine Action, un’organizzazione non violenta accusata di terrorismo dal governo inglese

«Davanti a uno Stato che sostiene un genocidio, cosa dovrebbero fare le persone per bene?», ha scritto sul Guardian, condannando la decisione del governo inglese.

Quello iraniano non è un popolo in attesa che qualcuno venga a salvarlo

Mentre gli Usa entrano in guerra e si parla di regime change, ci si dimentica che la decisione di abbattere il regime degli ayatollah spetta agli iraniani. Ne abbiamo parlato con Sahar Delijani, scrittrice, esule iraniana in Italia.

Il sindaco di Budapest ha detto che il Pride in città si farà nonostante il divieto di Orbán

«Il Municipio di Budapest organizzerà il Budapest Pride il 28 giugno come evento cittadino. Punto», le sue parole.

Una delle analisi più sensate della guerra tra Israele e Iran l’ha fatta Jafar Panahi su Instagram

Il regista ha postato un lungo messaggio, in cui condanna sia il governo israeliano che il regime iraniano.