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Le classifiche della qualità della vita, una cosa divertente che non dovremmo fare più

Bergamo è davvero la migliore città italiana? E Reggio Calabria è proprio la peggiore? Ma, soprattutto, che senso hanno ormai le numerosissime e variegatissime classifiche della qualità della vita?

di Arnaldo Greco

C’è un certo giorno dell’anno in cui, aprendo i social, trovo condivise queste parole di Erri De Luca: «Considero qualità della vita l’eccellenza del caffè napoletano e della pizza. Considero qualità di vita la cortesia e il sorriso entrando in un negozio, la musica per strada. Considero qualità della vita l’ironia diffusa che permette di accogliere queste graduatorie con un “Ma faciteme ‘o piacere”. Per consiglio, nelle prossime statistiche eliminate Napoli, è troppo fuori scala, esagerata, per poterla misurare».

E allora capisco che, anche quest’anno sono uscite le classifiche della qualità della vita del Sole 24 Ore e che Napoli è stabilmente agli ultimi posti. Come, tra l’altro, facevano notare già i bambini di Io speriamo che me la cavo con meno trasporto e diversa declamazione da Erri De Luca. In realtà non sono ormai neanche più le uniche classifiche sulla qualità della vita che vengono stilate, perché si sa che il gioco delle classifiche di fine anno è di tale successo che tutti si sentono capaci – anzi, in dovere – di fare le proprie e, quindi, come nel pugilato esistono decine di campioni mondiali, anche tra le province esistono numerosi campioni di qualità della vita, a seconda di chi ha redatto la classifica. È evidente perché faccia comodo a molti, perché così chiunque può insignirsi di un titolo onorifico, non proprio il cinturone di oro finto dei pugili, ma qualche titolo sui quotidiani locali che è la cosa più simile ai cinturoni che siamo riusciti a inventare. Per esempio Gorizia “crolla” secondo la classifica del Sole, ma solo cinque mesi fa era al primo posto secondo un’altra classifica e, dunque, cercando su Google per “qualità della vita” e “Gorizia” dominano ancora gli articoli con le rivendicazioni orgogliosi del primato su Il Goriziano.

Anche se la moda delle classifiche di fine anno si è un po’ appannata rispetto a qualche anno fa e visto che ormai sappiamo bene che chi linka una qualsiasi classifica di fine anno è solo perché ne fa parte, lunedì 16 è uscita la consueta classifica del Sole 24 Ore e, per le successive 24 ore, ogni provincia ha avuto il suo dibattito. Ci sono ovviamente tutte la narrazioni e le sfumature possibili, da i grandi classici come “i numeri che non rispecchiano la realtà” di Reggio Calabria “fanalino di coda” o “maglia nera” della classifica – immagini che non mancano mai – o come “Milano penalizzata dalla criminalità, ma imbattibile nel lavoro”, imbattibile anche come luogo comune.

Si va dal campanilismo che indora pillole amare – “Avellino 73esima, ma prima in Campania” o “Rovigo risale di 15 posizioni” ma “ultima in Veneto”, ai paragoni col calcio, Modena al settimo posto ma che “si avvicina alla zona Champions” o ancora “Arezzo in zona retrocessione della Toscana”. Ci sono i capoluoghi di provincia che accusano il territorio della provincia di aver peggiorato la performance e le opposizioni che accusano le maggioranze di un peggioramento in classifica. Ci sono, viceversa, politici che – come nelle top ten di Top of the Pops – promettono che un buon risultato è solo un “trampolino di lancio” per lavorare “ventre a terra” e mantenere o addirittura migliorare la posizione l’anno prossimo.

Ma visto che la classifica tiene poi conto di tanti aspetti diversi, ci sono pure le rivendicazioni su vittorie e sconfitte in classifiche secondarie. Forlì guadagna posizioni, ma si rammarica perché indietreggia per “bar, cinema e ristoranti”. Parma si rivela essere una “città più per anziani che per giovani”. “Il nuorese primeggia in discoteche”. Naturalmente per chi si classifica indietro nei servizi agli anziani non può mancare la stra-abusata citazione dei Coen: “Non è un Paese per vecchi”. O, nelle numerose varianti, Macerata che scopre di “non essere a misura per giovani”.

Il dubbio è che, però, questo buffo excursus che si genera a latere della notizia sia, in realtà, ormai l’anima più profonda di queste classifiche. Che abbiano cioè smesso da un po’ di essere una possibile foto dello stato attuale delle cose, utile alle amministrazioni o agli uomini di buona volontà per provare a cambiare “la qualità della vita” – come, immagino, continuino a essere nella volontà di chi le stila – e che siano ormai giusto un generatore di chiacchiericcio. Che non si sia più in grado di prenderle seriamente, che siano parte della disillusione generale per cui le cose migliorano o peggiorano quasi per caso. Prova potrebbe esserne anche il fatto che la pur 107esima Napoli non è stata mai popolare e visitata come oggi.

Resiste, semmai, giusto la convinzione che la posizione in classifica gratifichi ex post chi scopre di vivere in una delle migliori province d’Italia. Come se chi oggi prenota una visita di controllo o paga la tassa per la spazzatura in provincia di Bergamo lo farà col cuore più leggero perché sa di essere fortunato. Mentre chi deve fare le stesse operazioni a Reggio Calabria – in fondo alla classifica – lo farà con ancora più malanimo del solito sapendo che non è più solo la sua impressione, ma quella è davvero la provincia in cui le cose funzionano peggio.

Foto in copertina di Miguel Medina (AFP via Getty Images)