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Vendere lusso online

Un milione di clienti l'anno, moda, arte, design e la chiave di tutto: la logistica. Intervista a Federico Marchetti, fondatore di Yoox.com.

di Federico Sarica

«Stiamo per passare il muro del milione di clienti in un anno. Nell’anno in cui un marchio prestigioso come Zegna festeggia il centenario, noi celebriamo il milione di clienti. Dopo tredici anni di vita. Mi sembra la risposta migliore ad ogni sorta di scetticismo che possa vagamente circondare le nostre iniziative».
È la prima cosa che ci dice Federico Marchetti – il deus ex machina di yoox. com, «the geek of chic, l’uomo che ha portato l’e-commerce nella moda» come l’ha definito il New Yorker l’anno scorso in un lungo profilo – quando lo incontriamo per un caffè in una matti- nata di giugno. Siamo a Venezia, la cornice è quella della Biennale dell’Arte, più precisamente quella della splendida Ca’ Soranzo, vera residenza per artisti, sede del Padiglione Crepaccio at yoox.com, progetto di cui ci parla la curatrice Caroline Corbetta nel numero di Studio in edicola. L’occasione è ghiotta per scambiare con Marchetti qualche riflessione su yoox.com in generale e sulla nuova sezione arte dell’online store per antonomasia.

FS La sezione arte di yoox.com esiste ormai dall’ottobre del 2012. Abbastanza per provare a trarre un primo bilancio.

FM Positivo direi. Sempre tenendo conto che noi non ci buttiamo mai nelle cose per fare subito il big splash; il nostro approccio è costruire i progetti piano piano, step by step, dandogli il tempo di crescere. Da questa prospettiva, siamo esattamente in linea con quelle che erano le nostre aspettative.

FS Qual è il senso di questa operazione, la sezione arte di yoox.com? Mi pare di capire che lo scopo non sia quello di sostituirsi alle gallerie, giusto?

FM No, anzi. Le gallerie non si lancerebbero mai in una cosa del genere. Questo, se vogliamo, è uno step precedente, quello che nessuno fa. Bene o male c’è un’analogia con quanto abbiamo fatto con la moda, andando dalla joint venture con Pinault, fino ai giovani designer, grazie alla collaborazione del Vogue Talent’s Corner. Lo stesso schema cerchiamo di riproporlo su questo terreno: andiamo da Damien Hirst e Francesco Vezzoli fino ai giovani artisti veneziani, i quali sono letteralmente alla loro prima comparsata ufficiale sul palcoscenico dell’arte. Secondo me è giusto e sano creare opportunità e chance per tutti. A patto di essere chiari: siamo e sa- remo sempre un’azienda, non dei mecenati, o meglio, non solo dei mecenati. Non nascondiamo il fatto che crediamo fortemente che questa sia e sarà un’opportunità di business. Se vogliamo, siamo un po’ la versione contemporanea del Mercante di Venezia.

FS Come si sposano le dinamiche di vendita dell’online con quelle tradizionali dell’arte contemporanea?

FM Io credo che, molto naturalmente, Internet stia cambiando le dinamiche di acquisto in tutti i settori e l’arte non ne sarà esente. Prendi una cosa semplice, come le aste di Christie’s: una volta, se non ti capitava di esserci di persona, compravi
attraverso un catalogo. Oggi molti, compreso il sottoscritto, consultano quel catalogo online, con il vantaggio di poter, con la calma e i mezzi giusti, sviscerare un’opera prima di comperarla. E poi quello che mi fa essere così ottimista è la consapevolezza di essere stati in grado, come yoox.com, di creare una macchina complessissima a livello di processi di commercializzazione: 101 mercati, cinque magazzini e altrettanti centri logistici e customer center, per un totale di undici valute, che fanno di noi un orologio svizzero. Quest’orologio ha funzionato per il sistema moda, per quello del design, e lo farà anche nel mondo dell’arte, ne siamo convinti.

FS Questo apre una finestra su quello che è il vero valore aggiunto di un’impresa come Yoox, il lavoro enorme a monte sulla logistica.

FM Assolutamente. Nel 2012 abbiamo investito 30 milioni solo di ricerca e sviluppo in tecnologia e logistica. È la componente invisibile, fondamentale, che fa in modo che tutto funzioni. Tutto questo cercando di lasciare la magia del momento al cliente, quella che gli fa dire “incredibile, è già arrivato il pacco”.

FS Yoox.com ormai ha delle dimensioni gigantesche. Però, contemporaneamente, ha la necessità di essere sempre più veloce. Come si fa ad essere insieme grandi e veloci?

FM Difficilissimo. Questa è la domanda migliore e più difficile che mi sia stata fatta negli ultimi anni, gira tutto attorno a questo equilibrio. È il mio cruccio quotidiano: io penso che perdere in velocità significhi perdere un incredibile vantaggio competitivo. Questo ha molto a che vedere con le dinamiche delle grandi aziende: diventare troppo corporate e troppo “politici”, rende tutto più farraginoso. La mia battaglia dentro yoox.com adesso è proprio questa, sono fondamentalmente in guerra contro me stesso. Una battaglia per la fluidità, per la semplificazione, contro le politics, contro queste dinamiche che, secondo me, sono l’inizio della fine. Credo che la ricetta sia cercare di annullare il più possibile tutto ciò che sa di politico e burocratico. Come? Ad esempio esponendosi in prima persona nelle dinamiche azienda- li; io comunico direttamente con una settantina di persone su sette- cento che lavorano da noi, circa il dieci percento.

FS I brand e le aziende, in generale, stanno notoriamente lavorando per trasformarsi in delle content company; i media, dall’altro lato, provano a offrire “nuovi servizi”. Qual è il tuo punto di vista su questo magma fluido e in movimento?

FM Mettiamola così: lo storytelling resta fondamentale, oggi è molto difficile vendere prodotti in maniera asettica. Quindi, ovviamente, anche noi proviamo a raccon- tarne qualcuna e credo ci venga pure discretamente bene. Detto questo, non credo che nella nostra missione ci sia il compito di inver- tire i ruoli, e cioè trasformarci in un magazine dal quale andare a comprare. Noi restiamo sempre e comunque il Mercante di Venezia, che si inventa progetti, prodotti e storie che ispirino, divertano e sorprendano i proprio clienti. Quindi se mi chiedi se credo in un’inversione di ruoli fra una realtà come la nostra e i media, la mia risposta è no. Stessa cosa da una prospettiva inversa: non credo che i giornali debbano alterare la propria essenza. Questo non vuol dire che non debbano sperimentare nuove formule, ma, ad esempio, se volessero aprirsi all’e-commerce dovrebbero per forza di cose farlo con un partner del settore per via della complessità di cui parlavamo prima. E poi c’è sempre una questione strategica fondamenta- le che dovrebbero porsi, quella del valore aggiunto. La domanda che troppo poco spesso ci si fa ai piani alti è: perché qualcuno dovrebbe venire a comprare da me e non altrove? Non è affatto una questione secondaria.

 

Foto di Daria Birang