Attualità

Rivoluzione per tutti

Il design per "masse elitarie" di Apple, l'iPad come nuovo borsello. E l'uomo che quell'estetica la ispirò: Dieter Rams, capo del disegno della Braun.

di Michele Masneri

La prova del fuoco si è avuta visionando recentemente appartamenti di giovani creativi romani; tra pavimenti di resina e bagni di mattonelle diamantate da latteria, l’occhio inconsapevole vagava cercando come riflesso pavloviano e ultima conferma balzachiana dell’ambiente un computer portatile Apple. Invece, con grande sturbo, si sono rinvenuti più d’un laptop nero e plasticoso Samsung o addirittura Compaq (sotto travi a vista sabbiate). Con piacevole contrasto, e un certo gusto trasgressivo.

Invece: visite di idraulici e riparatori di caldaie molto professionali utilizzatori finali di app Torcia-Pro per visionare vaso e sonde dello scaldabagno. Legioni maggioritarie di agenti immobiliari dotati di telefono Apple – i più evoluti a controllare anche l’orientamento dell’immobile con la funzione bussola – in accostamento peraltro obbligato ad agende Moleskine (per fissare appuntamenti).

E il sollievo carbonaro di molti, intanto, nell’apprendere che una terza via è possibile: ritorni di Windows decenti; nuovi Blackberry  con tastiere diversamente normali per falangi occidentali e polpastrelli non asiatici (dita magari anni Ottanta di gente che ha cominciato a digitare su Motorola 8900 e Commodore 64). E contro timori di prossime ondate di sindromi del tunnel carpale, causa innaturali ripieghi di anulari e mignoli con conseguente microstirature di nervi di polso e avambraccio (e conseguenze svelate in futuro dai soliti New England Journal of Medicine e Science).

Altri cicli e ricicli storici: il feeling preciso dell’iPad come nuovo borsello di massa, con identica diffusione capillare. O tenuto sotto braccio con le sue foderine con lo stesso sussiegoso orgoglio con cui i nostri padri (non tutti, per fortuna) brandivano autoradio estraibili negli anni Settanta. Insomma massificazione famigliare, con costi anche ormai standardizzati: uno studio molto citato della Reuters avvisava settimane fa che ogni nucleo americano spende 444 dollari all’anno in media in prodotti Apple; quindi circa lo 0,8% del reddito. In Italia il modesto cronista calcola a spanne una aliquota superiore, circa il 3%, presunta su un reddito di 24.444 euro annui (media Istat) e un iPhone 5 a famiglia (729 euro). Comunque maggiore dll’Imu prima casa, e senza detrazioni per figli a carico (che invece alzano l’aliquota, pretendendo altri manufatti Apple).

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Dall’altra parte, a sancire la trasformazione definitiva del gruppo di Cupertino da rivoluzionario agente provocatore di nicchia (con tutte le retoriche collegate) in produttore d’elettrodomestici bianchi sarà presto il lancio della sua televisione: lo sanno già tutti, secondo il consueto schema della casa (indiscrezioni, poi false foto, poi conferme e smentite, in casi di particolare rilevanza anche raid in abitazioni di dipendenti sbadati con armi d’assalto forse d’ora in poi vietate dopo le recenti stragi). Si stanno sondando infatti i soliti produttori asiatici impresentabili con cui poi produrrà la tv a schermo piatto che si immagina già  imprescindibile in case come quella, per esempio, del Pupone Totti nel nuovo grattacielo Sky Tower di Roma-Eur. (E l’anno prossimo, magari, una lavatrice per masse esclusivissime, e poi rasoi e phon della Mela).

Niente di male, e anche qui ritorno al passato: il paragone – scontato – è con la Braun delle origini. È risaputo infatti che il designer di Apple, Jony Ive, si ispira a Dieter Rams, padre del minimalismo tedesco e capo del disegno Braun per trent’anni, dal 1961 al 1995. Quest’anno ricorre peraltro l’ottantesimo compleanno di Rams, tranquillo signore di Wiesbaden, e quanto la Germania abbia prodotto di più simile a Achille Castiglioni. Inventore di prodotti ormai entrati a far parte del design inconscio collettivo, come gli spremiagrumi Citromatic ancora in produzione, a cui lo stesso Ive ha dedicato parole commosse nel documentario Objectified di Gary Hustwit. O delle sveglie indistruttibili, con quadrante fondo nero e lancette aeronautiche, o ancora le impastatrici semi professionali (Rams ha disegnato anche la più bella libreria industriale prodotta in serie, peraltro). Il debito a Braun di Apple è evidente, fino a vere e proprie citazioni come per la calcolatrice di iPod /iPhone, coi tasti tondi, grafici, uguale alla Et4 o nel caso della radio tascabile t3 e al primo iPod. Teorico del good design, un design buono e mimetico che si ispira naturalmente al Bauhaus ma che ha un debito con la scuola milanese, Rams aveva distillato i suoi celebri 10 principi: 1) Un buon design deve essere innovativo. 2) Un buon design deve rendere il prodotto utile. 3) Un buon design deve essere dotato di estetica. 4) Un buon design deve aiutare a capire il prodotto. 5) Un buon design non deve essere invasivo, mancare di riservatezza. 6) Un buon design deve essere onesto. 7) Un buon design deve essere durevole. 8) Un buon design è la conseguenza dell’ultimo dettaglio. 9) Un buon design si deve preoccupare dell’ambiente. 10) Un buon design deve contenere il minor design possibile. “Weniger, aber besser”, ovvero “Meno, ma meglio”, questo il suo motto. Decisamente più sobrio di “affamati e folli”, e con la consapevolezza profonda di produrre buoni elettrodomestici, non rivoluzioni.

 

Nella foto in evidenza, lo stereo Braun Sk55; nel testo, lo spremiagrumi Citromatic