Attualità

Una (storia) milanese a Roma

Se l'Esselunga sbarca nella Capitale (anzi, precisamente ad Aprilia), dopo grande ostracismo anche politico capitolino. Storia, fortuna e piccola dichiarazione d'amore alla creatura di Caprotti.

di Michele Masneri

L’Esselunga sbarca a Roma. L’asse del male del fresco arriva nel Lazio e finisce chiaramente un’epoca, col gruppo dei Caprotti bloccato finora fuori dagli Stati della Chiesa in base a un compromesso storico bipartisan, e gettando così nel panico oggi buonismi e attendismi alimentari e ridisegnando equilibri e direttrici gastronomiche in una città dove, si sa, supermercati e palestre son difficilissimi da trovare, e tra lombardi fuorisede si soffre sempre moltissimo (mentre il distretto pizza e camorra, come dimostra il caso PizzaRito, va sempre fortissimo, a chilometri quasi zero). Ma porterà milanesismi e nuove estetiche, anche?

L’avamposto del gruppo di Bernardino Caprotti per ora si colloca con certezza ad Aprilia, a sud della capitale, e gli viene precluso il Centro, e dunque non tremeranno Eataly e Coop per la concorrenza del Capitale Disumano lombardo, molto vituperato e impresentabile a sinistra tanto che Giuseppe Tornatore, regista di un film promozionale targato Esselunga che due anni fa fu distribuito in cinquemila esemplari porta a porta nel Lazio tipo “Storia italiana” illustrata di Berlusconi, fu costretto a giustificarsi dicendo di aver fatto il film all’insaputa di questa “catena commerciale”. Nel film, un bambino sgranava gli occhi non davanti a baci rubati in pellicole d’antan ma a quarti di bue, mele renette, surgelati e spigole, e la pellicola promozionale doveva servire a spianare la strada a un megastore all’Infernetto, sud della città, che però non vide mai la luce. Caprotti a Roma aveva trovato infatti opposizione come si dice bipartisan: prima nella lotta al complotto pluto-giudo-massonico della grande distribuzione organizzata voluta da Alemanno; e addirittura poi una interrogazione parlamentare dell’Italia dei Valori (partito politico) per «stabilire l’impatto che la struttura provocherebbe al delicato equilibrio idrogeologico della zona». Dunque non se ne fece più niente, con molte seccature per l’imprenditore che nel frattempo era stato pure insignito della laurea honoris causa in architettura alla Sapienza, incongruamente ai rischi di dissesti.

L’arrivo dei Caprotti potrebbe risvegliare nei romani un orgoglio sopìto, anche, essendo da sempre rassegnati: alla corsia angusta, al carrello sgarrupato, al volantino triste: non conosce la douceur de vivre chi non ha mai usato una cassa automatica Esselunga.

Se mai l’impero del male arriverà al centro (un altro superstore bloccato doveva sorgere sull’asse Prenestino-Casilino) si vedrà dunque se le borghesie romane smetteranno finalmente di andare a via Tevere alla Dop, segmento di fascia alta della Coop (e quartiere Pinciano-Parioli) per le olive verdi giganti e le bresaole di chianina, e si affideranno invece finalmente alle raccolte punte Fidaty, ai punti Fragola, alle gastronomie allettanti milanesi. Alle profumerie e alle edicole interne, come ora solo alla Sma di via dei Laterani, tra la casa d’Alberto Sordi e la via Merulana, e addirittura tecnicamente in territorio Vaticano, e che però presto sarà chiusa e convertita in fermata della metro C (qui, tabacchi e non solo giornali, e vasto reparto surgelati, però niente biologico).

L’arrivo dei Caprotti potrebbe risvegliare nei romani un orgoglio sopìto, anche, essendo da sempre rassegnati: alla corsia angusta, al carrello sgarrupato, al volantino triste: non conosce la douceur de vivre chi non ha mai usato una cassa automatica Esselunga. A Roma si era subìta anche la calata francese sui locali Gs, trasformati in Carrefour senza indignazioni e polemiche come su campioni nazionali invece della moda, e cambi di insegne in punti vendita anche simbolici come quello del Galoppatoio, proprio accanto alla palestra un tempo aspirazionale Roman Sport Center, con leggende mai verificate di primari attori nazionali allontanati da bagni turchi per malcostumi; e sottopassaggio per via Veneto e piazza di Spagna, e uscite preferenziali per gai acchiappi all’aria aperta nelle foreste di Villa Borghese.

Invece, a Milano, e al Nord, garbati speed date con carrello davanti a surgelati rincarati a viale Papiniano, e gastronomie non plasticose e private labels migliori di quelli Coop, almeno secondo puristi insospettabili anche cuperliani e civatiani che disprezzano molto Caprotti ma amano in particolare certe marmellate Esselunga, soprattutto quella di lamponi. E réclame spiritose d’Armando Testa, con John Lemon e Piero della Franpesca e Cappelletto Rosso (mentre la cartellonistica pubblica capitale, più grevemente: «Cocaina? Ma de che. Meglio lo zucchero a velo»).

Del resto Bernardino Caprotti viene da quel mondo lì, ha sposato in prime nozze Giorgina Venosta  figlia di Guido, allievo di John Maynard Keynes a Cambridge e poi moglie di Aldo Bassetti, della famiglia dei kennedy milanesi del tovagliato fondato nel 1835, oggi presidente degli Amici di Brera.

Storie familiari di generoni però molto internazionali e istruttive, anche: l’avventura dei Caprotti nasce epicamente origliando una conversazione all’Hotel Palace di St. Moritz, dove Guido, rampollo di una dinastia già ottocentesca di imprenditori tessili, si trovava in vacanza. In un tavolo vicino, i due fratelli imprenditori meno liquidi Brustio discutevano di come tirarsi fuori dalla fusione avventata coi Rockefeller in una joint venture di supermarket (mentre la Coop di Saint Moritz, stessa insegna e prodotti ancora più sopraffini, tra cui mieli alla lavanda, non c’entra niente). Caprotti prenderà il posto dei baluba Brustio, e subito sinergie molto milanesi anche estetiche: a partire dalla Esse poi eponima, fuoriscala di Supermarkets, disegnata dal talento Max Huber già ideatore dei Coralli Einaudi, del marchio Borsalino e di quello Rinascente, grande magazzino dei fratelli Bocconi, e molto celebrato due anni fa da una mostra epica in Triennale e da una mostrina al palazzo Reale insieme ai cavalieri del design anni Cinquanta milanesi-mitteleuropei: sopra tutti Bob Noorda che disegna la metropolitana, il logo della regione Lombardia, e il cane a sei zampe dell’Eni, la Popolare di Milano, e un disco di Fausto Papetti (mentre altri puristi al nord ci vanno, all’Esselunga, anche solo per lo stracchino Papetti, introvabile altrove).

Anche milanesità epistolari: nella saga generazionale nota, la lettera al Corriere della Sera di Bernardino Caprotti di novembre scorso sembra scritta da Franca Valeri: in quel «scusa mi fermo» c’è tutto un mondo; e una metrica; dal «lavoro guadagno pago pretendo» a certi dialoghi del Vedovo di Dino Risi, «cos’hai, cretinetti, ridi nel sonno?», detto proprio dalla Valeri. E la rivendicazione old style del Corriere della Sera come “Times del nostro paese”, come Istituzione Milanese al pari della Edison, della Comit e dellla Montedison, tutto un mondo, lo stesso delle dediche a Eugenio Cefis di Carlo Emilio Gadda. Del resto Bernardino Caprotti viene da quel mondo lì, ha sposato in prime nozze Giorgina Venosta  figlia di Guido, allievo di John Maynard Keynes a Cambridge e poi moglie di Aldo Bassetti, della famiglia dei kennedy milanesi del tovagliato fondato nel 1835, oggi presidente degli Amici di Brera.

Per adesso il Male milanese sbarca ad Aprilia, luogo di bonifiche pontine, dove Le Corbusier voleva tanto edificare ma anche lui fu tenuto sempre alla porta nonostante le molte lettere inviate a Mussolini. Mentre oggi ad Aprilia, proprio a viale Le Corbusier, c’è un discount Eurospin. E non lontano, un altro pericoloso precedente. Sempre nella città pontina nel 1951 arrivarono i milanesi fratelli Sada, già macellai in Milano inventori di un celebre lesso, e vi impiantarono la Simmenthal. E non se ne andarono più.

 

Nell’immagine, la prima Esselunga aperta a Milano, in viale Regina Giovanna (elaborazione)