Attualità

Sina Weibo

Alla scoperta del social network cinese, tra problemi di traduzione e il fantasma del regime

di Vincenzo Marino

Dalla scomparsa dei numerosi simil-Twitter che animavano la rete cinese, indotta dalla censura di Pechino in occasione di eventi e ricorrenze “sensibili”, Sina Weibo si è imposto come gigante del social networking locale, con cifre che hanno largamente superato le 300 milioni di registrazioni. Ibrido fra Twitter, Facebook e Google+, la piattaforma ha puntato in questi mesi sulla partecipazione di celebrità e volti noti di vario genere, capaci di spingere milioni di persone a iscriversi. Utenti la cui attività, per concessione della stessa Sina Corp., è monitorata e controllata dalle autorità governative.

Proprio in questi giorni, Weibo ha pubblicato le nuove condizioni d’utilizzo del sistema, un “contratto con gli utenti” che entrerà in vigore il 28 maggio prossimo: norme più stringenti nei confronti dei rumor – spauracchio contro il quale sono nati in passato gruppi di controllo – e che vincolano «all’ordine e alla stabilità sociale». Una trentina di articoli che il social network invita a leggere e condividere sulla propria bacheca, e la cui trasgressione arriva a implicare il blocco o la chiusura definitiva dell’account. Nessun “paradiso perduto”, comunque, considerate le continue pressioni del governo per moderare i contenuti degli utenti – quando non a proibirne la pubblicazione – e l’elenco delle parole “vietate” raccolto dal Tumblr Blocked on Weibo, tra le quali figurano riferimenti alla pornografia – con termini che vanno da breast-sex artificial vagina, da swallow cum shot – e, ovviamente, alla politica.

Primi passi
Mi iscrivo a Weibo l’8 maggio, il giorno stesso della pubblicazione del nuovo contratto, inconsapevole. Non sapevo neppure che “Weibo” stesse per un più generico “microblogging”, che avesse quei numeri – da concorrenza a Twitter e senza necessità espansionistiche -, che il mio nome (Vincenzo) su Google Translate venisse tradotto come “Montella”. E non c’è nulla di scientifico in questa gita disorganizzata nella socialità online cinese: le parole chiave dell’escursione erano Cercare Di Capirci Qualcosa. Utilizzando mezzi alla portata. Google Translate, appunto.

Indirizzo di posta ad hoc e attesa della mail di conferma, che il filtro antispam evidentemente giudica, data la lingua, come dannosa. Opto per il nick “Gian Antonio Sberla”, cambio di profile pic ed esplorazione. Differenze sostanziali: colori e colori fino alla nausea, vasta gamma di template grafici, servizio di trattamento immagini con filtri alla Instagram, gli stati d’animo, gli hashtag: sembra che il cancelletto debba essere inserito a inizio e fine etichetta. E scopro che trending, al momento, è la dichiarazione di gravidanza di qualcuno. Weibo mi suggerisce di rendere la mia «benedizione». Corro a darla, e per due volte: con apposita etichetta, con menzione diretta. «Felicitazioni, Stephanie». Mi vale un follower: una ragazza scosciata in posa street, appoggiata ad una muscle car.

Entrare in Weibo e non capire nulla di cinese è come seguire amici che stanno bevendo con te e ti accompagnano a casa d’altri, ad una festa privata di persone che ridono di battute e riferimenti che solo loro sono in grado di comprendere. E allora ti tocca eclissarti, o intrometterti in qualunque discussione – tipo menzionare tutti e farsi milioni di following. Cosa che cerco di fare, sentendomi comunque solo. Pubblico un immagine: forever alone – se condividi una foto, Weibo la firma: in basso a destra, nome utente-ora-data. Puoi fartela piacere, come cosa, quando pensi di dover rivendicare contenuti tuoi e originali. O pensarla come una “schedatura preventiva”.

Censura e Twilight
Rispondo alla nuova “fan” – «Benvenuta [faccina]» – e continuo a cercare utenti da seguire. Mi imbatto nei primifanboy di regime, ragazzi che parlano di «Glorioso Partito» e della contrapposizione con il nemico americano. Mi accorgo che Translate traduce il tasto “commenta” con “critica”. Le emoticon, tante, aiutano nell’interazione. Il numero dei follower cresce sensibilmente e io, come da sana e rispettosa tradizione cinese, rispondo e ringrazio lusingato. C’è spazio per contenuti di vario genere: le hot news sono spesso notizie di politica interna e gossip, ragazze che commentano foto di gatti e Twilight, autoscatti da bagno, video musicali dalle sonorità ipno-melodiche, concerti nei quali adolescenti agitano smartphone per aria al ritmo dei loro Al Bano emocore. In quelle ore alla giornalista di Al Jazeera Melissa Chan non viene rinnovato il visto, espulsa. Col motore di ricerca interno cerco di farmi un’idea: qualcuno, nello stream, si dice deluso. È il primo disappunto politico che intercetto.

In quegli stessi minuti arriva un messaggio privato da quello che il traduttore mi segnala essere tale “Segretario Microblogging”. È tipo un “servizio clienti”, ma “segretario” fa tutto più indigeno e mi piace. Il messaggio (oggetto: «Convenzione su Sina Weibo rilasciata ufficialmente») mi dice che, «cari amici», per mantenere la comunità «in ordine e stabilire un aperto e trasparente meccanismo di gestione delle violazioni», è stato pubblicato proprio oggi un codice che entrerà in vigore il 28 maggio, appunto: dei «regolamenti comunitari» nei quali l’utilizzatore viene «incoraggiato» a specificare la propria identità, ma non obbligato come precedentemente richiesto dal governo. Quanto ai contenuti, sono soprattutto gli articoli 13 e 14 dello user contract a normarne la condivisione: viene ammonito l’utente intenzionato a pubblicare informazioni che si oppongano ai principi della costituzione, o che danneggino l’unità, la sovranità o l’integrità territoriale, che violino le abitudini o promuova il culto della «superstizione», che siano basate su voci diffuse, che disturbino l’ordine minando la stabilità sociale, e così anche la divulgazione di segreti di Stato, l’organizzazione di proteste di piazza, l’incitamento al reato e all’odio etnico. Soprattutto, vietata è la pubblicazione di informazioni “false” – e qui il problema si fa filosofico. Il contratto, comunque, ha la soluzione per il dilemma etico: a decidere sulla verità delle cose, un “community committee” diviso in due parti: «regular», con addetti reclutati dall’utenza, che si occuperà di dispute e denunce fra user con decisioni a maggioranza e inviti più o meno espliciti alla delazione, e un “comitato esperti” che determinerà se un’informazione è falsa o meno. Esattamente.

Rush finale
Ce n’è abbastanza: cerco di provocare il regime mettendola sul calcio. Pubblico il video dell’invasione di campo di Mario Adinolfi al Nereo Rocco di Trieste, a scudetto ormai juventino. Incontro il disinteresse della comunità, che decido poi di recuperare coinvolgendola in questioni in grado di accomunare genti d’ogni meridiano: l’arrivo del polline e conseguenti scompensi allergici. Inascoltato, saluto «Il Grande Partito Comunista Cinese», non senza problemi: Google traduce “Piangono il grande Partito Comunista”. Lascio così, allego foto di Sasha Grey in posa lacrimale.

Passa poco. Notifica – me ne arrivano poche, le traduce come “ventole”: commento a un mio post, le “menzioni” ora contano finalmente un “uno”. Capisco che qualcuno, foto di bambina, ha risposto al mio «buongiorno!». Traduco, “Stato di meno uno”, il profilo si chiama “Less Money” o qualcosa del genere. Pochi minuti, un messaggio privato dall’Amministratore di Sistema. È il momento più esaltante: un logo di Weibo conciato da poliziotto, taccuino in mano, che sa di avatar da psicopolizia se questa avesse potuto viaggiare in rete al tempo di Orwell. La minibio di “Amministratore” spiega che «Weibo è la comunità di tutti, spero che la manteniamo tale». Mi si dice che la foto di Sasha Grey e il riferimento al Partito Comunista non sono piaciuti: il post è stato «codificato come non adatto al pubblico». Vengo raggiunto in chat: è Semplice Single, il cui profilo scompare poco dopo. «Irraggiungibile».

Comincio a farmi irrequieto: esulto con un’emoticon-pupazzetto che danza per l’avvicinamento delle navi da guerra cinesi alle coste delle Filippine, provoco il regolamento con parole proibite – ogni riferimento a piazza Tienanmen non viene visualizzato «in conformità a leggi, regolamenti e politiche» – chatto con un ragazza che dice di rispondere con grosso ritardo perché sta cercando un dizionario inglese – lavora e studia giapponese, giura di non sapere cosa sia un bot -, raggiungo via posta privata una pagina dell’amministrazione per chiedere il perché della censura su un numero così elevato di termini e contenuti. Non risponde, rilancio con faccina imbavagliata. È la mia fatwa. Pubblico del porno, chiedo il Tibet libero: nulla. Mi sento insignificante, e forse è questo che mi rende libero. Chiudo con quattro giorni e otto follower all’attivo. Ragazze, foto ammiccanti. Ripenso a quando, iscrivendomi, Weibo m’aveva avvertito: «Attenzione, la tua password è poco sicura».

 

Immagine di Vincenzo Marino