Attualità

Quello del “feat.”

Pharrell Williams ha dominato il 2013 a suon di duetti (due titoli: "Get Lucky" e "Blurred Lines"). E poi c'è il singolo solista, i profumi, le querele e SpongeBob. Ritratto di un artista ubiquo.

di Vincenzo Marino

ERT è il nome dell’emittente di Stato greca, falcidiata dai tagli del Governo e chiusa in giugno. Dalla fine delle trasmissioni alcuni giornalisti hanno occupato la vecchia sede, decisi a tenerla in vita e a non rassegnarsi a diventare cittadini di un Paese senza più riferimenti culturali e giornalistici di base. Qualche giorno fa la polizia ha sgomberato l’occupazione tra manifestazioni, scontri e disordini. In quelle ore la classifica dei singoli più scaricati su iTunes Grecia dà “Blurred Lines” di Robin Thicke saldamente al quinto posto, unico Paese occidentale – insieme alla Spagna – a ospitare ancora tra le prime dieci in classifica quella che è stata definita la hit dell’estate nel resto del mondo – un brano tutt’altro che rivoluzionario il cui video ha raccolto 218 milioni di visualizzazioni su YouTube e varie accuse di misoginia. “Blurred Lines” detta ancora la sua agenda in una piccola e sofferente filiale dell’egemonia culturale atlantica, e io ho immaginato risuonare i suoi “Eh Eh Eh!” durante l’evacuazione della ERT e gli scontri con le forze del’ordine. Ho sovrapposto queste immagini al suo incedere malizioso e l’effetto è stato più straniante dello stesso video originale.

Che sia il brano pop di un’epoca, la creazione del primo video della durata di 24 ore che in meno di 24 ore supera le 500mila visualizzazioni, il remix per The Weeknd che viene meglio dell’originale, la “guida zen” del personaggio del momento, un prodotto di profumeria, uno show su YouTube finanziato da YouTube, una causa in tribunale contro Will.I.Am, Pharrell Williams c’è

Molto del successo di “Blurred Lines” si deve a Pharrell Williams. Autore, cantante, TUTTO, Pharrell Williams ha quarant’anni e quattro diverse pagine Wikipedia per contenere la sua estesa discografiia fra produzioni, featuring, apparizioni a vario titolo. Una carriera ricca di collaborazioni di primo piano e successi planetari che stavolta si è spinta fino a dominare l’intero anno solare con due singoli in cui interpreta ruoli diversi: arrangiatore che chiacchera e balla con una capra e Robin Thicke e vocalist in “Get Lucky” dei Daft Punk, per la quale ha composto in totale autonomia la parte cantata. Da un lato un brano dal successo inspiegabile cantato da un personaggio inspiegabile e un video inspiegabilmente esplicito, dall’altro il primo singolo volutamente epocale di un disco costruito su milioni di dollari e concepito per settare i controlli dei sistemi hi-fi e bilanciarne i suoni: due estremi che sintetizzano la poliedricità del personaggio che e gli sono valsi – stando a Billboard – il titolo di primo artista a piazzarsi in prima e seconda posizione in classifica con due singoli negli ultimi quattro anni, tra i primi venti nella storia della produzione musicale contemporanea.

Pharrell Williams è un uomo-gadget. Ha collaborato con chiunque, producendo basi musicali o inserendo come graffi distinguibilissimi la sua voce, fa vestiti con le sue Billionaire Boys Club e Ice Cream Footwear, e secondo Forbes è tra i quindici personaggi più ricchi del giro hip hop (9 milioni di dollari solo nel 2013). Che sia il brano pop di un’epoca, la creazione del primo video della durata di 24 ore che in meno di 24 ore supera le 500mila visualizzazioni, la colonna sonora di un film per l’infanzia, il remix per The Weeknd che viene meglio dell’originale, la “guida zen” del personaggio del momento, un prodotto di profumeria, la firma su un modello di occhiali Moncler o Vuitton, uno show su YouTube finanziato da YouTube, una causa in tribunale contro Will.I.Am, una collezione ispirata a Sponge Bob, qualsiasi nuovo videoclip musicale di giovani stelle da patrocinare o vecchie glorie in cerca di brio, Pharrell Williams c’è, mette in tasca e alza le mani a tempo come se dovesse sollevare una scatola invisibile. Oppure addita ossequioso l’artista del brano che lo ospita nei videoclip, indicandolo come a dire “Sentite un po’ qua” ma pensando forte “Sta con me. Gli ho prodotto ogni nota. Mi deve dei soldi” (partono mossette da chi fa finta di suonare strumenti per farti capire che dietro quel suono c’è lui e senza quello sarebbe il nulla).

Musicalmente onnipresente ma senza cavalli di battaglia né inni, Pharrell Williams al 2013 non riempie tutte le copertine che potrebbe né produce dischi suoi da anni (e da solista soltanto uno, per niente sconvolgente), una specie di figura eccentrica nella produzione pop mondiale, se si presume – come si tende a fare – che una collaborazione la si mette solitamente in piedi con artisti inquadrabili all’interno di un’autonoma e riconosciuta storia artistica. E invece no, è il puzzle di collaborazioni e affini. Guardi l’ultimo video di Tyler The Creator, uno dei volti nuovi del giro (è nato il 6 marzo 1991), e lo vedi in un angolo suonare la batteria. C’è Pharrell Williams nei suoni che trascinano Azealia Banks (è nata il 31 maggio 1991) e la sua macchina carica di amiche in una notte colorata che sembra iOS7, com’è anche suo il timbro sulla consacrazione di due degli album più acclamati del 2012, Channel Orange di Frank Ocean e Good kid, M.A.A.D city di Kendrick Lamar. C’è lui in tanto della produzione commerciale del decennio scorso.

Svolta la carriera a Justin Timberlake rendendolo artisticamente credibile, accompagna Usher, Ludacris e un intero nuovo filone party rap, produce Madonna, fa suonare Snoop Dogg come dovrebbe suonare nel nuovo millennio (“Drop it like it’s hot”) fino ad arrivare al corredo urban a noi più vicino, producendo personaggi proto-Ke$ha o altri progetti simili

Nei primi 2000 il suono Rap/R’n’B muta considerevolmente, contamina il pop più classico, si fa più furbo: non passa nulla in radio che non suoni allo stesso tempo becero ma lievemente sofisticato (“Boys” di Britney Spears), un intero timbro da definire. È lui: svolta la carriera a Justin Timberlake rendendolo artisticamente credibile (Justified, 2002), accompagna Usher, Ludacris e un intero nuovo filone party rap, produce Madonna, duetta tranquillamente con Jay Z e Kanye West, fa suonare Snoop Dogg come dovrebbe suonare nel nuovo millennio (“Drop it like it’s hot”, “Beautiful”), ‘inventa’ Nelly (“Hot in herre”) e Kelis fino ad arrivare al corredo urban a noi più vicino, producendo personaggi proto-Ke$ha o altri progetti simili.

Ora è decisamente l’anno di Pharrell, quello in cui il padre di famiglia che dimostra la metà dei suoi anni ha domato “da solo” la bestia del pop, quello in cui il ventenne che sognava Michael Jackson sogna che Michael Jackson non gli abbia mai negato la sua approvazione – al punto che ti viene in mente che forse voglia strafare per riparare al torto di una vita. Compone, canta in falsetto, sospira a ritmo nelle tracce rap, cammina sulle passerelle con mogli più alte di lui coi modi sicuri da festa in giardino in California, abbigliamento ricercatamente trasandato, fra lo skateboy e l’imbucato ai party in piscina pronto a tuffarsi senza la paranoia del costume di ricambio. È quell’essere “chill” scientifico, meccanico, l’impassibile freddezza delle macchine che non temono gli agenti del tempo e del meteo.

È tornato a macinare copie e download nel 2013, a quarant’anni, figli cresciuti e un matrimonio in tartan su una nave con live performance di Busta Rhymes, l’aria di chi si può permettere ancora – sfidando lo zeitgeist – i jeans a vita bassa e un futuro lanciato in qualsiasi campo: produzione di video a sfondo para-politico, la responsabilità della colonna sonora del prossimo Spiderman (appena conquistata), una firma enorme su produzioni patinatissime come Magna Charta Holy Grail di Jay Z, l’amicizia produttiva con designer e addetti di livello di qualsiasi settore creativo. L’occhio sempre socchiuso, la faccia da schiaffo e la pretesa di produrre “cose” a prescindere dall’area di lavoro: dice di lui che gli piace la creatività in generale ed esprimersi come gli pare con (odioso) entusiasmo, e probabilmente anche uscire di scena nei video trascinato dalle trecce di una ballerina. I bambini greci del 2013 un giorno forse assoceranno “Blurred Lines”, la sua goffa promiscuità e Pharrell Williams alla chiusura di un’emittente pubblica, alla crisi economica e culturale di un intero Paese, e leggendo il “Robin Thicke has a big dick” scritto coi palloncini nel video penseranno alla devastante intercessione della troika nei bilanci statali.

 

Immagine: Pharrell Williams alla presentazione della linea d’abbigliamento dedicata a SpongeBob realizzata con Nickelodeon (Eugene Gologursky / Getty Images)