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Puerto Rico!

"You've shown us how to party!" Il racconto del surreale comizio di Romney in Portorico

di Andrea Marinelli

San Juan – Il municipio di San Juan è assediato da migliaia di persone che camminano in tutte le direzioni e circondato da un traffico impazzito. Sembra di essere all’uscita di uno stadio sudamericano, ma si tratta invece del primo comizio di Mitt Romney nell’isola di Portorico, diventata improvvisamente terreno di conquista nella guerra interna al partito repubblicano.

Portorico è stretta fra la Repubblica Dominicana e le Isole Vergini ed è territorio americano dal 1898 quando, al termine della guerra ispanoamericana, gli spagnoli cedettero l’isola caraibica agli Stati Uniti, insieme a Guam e alle Filippine. L’isola mantenne però la sua indipendenza e nonostante nel 1917 i portoricani divennero cittadini americani a tutti gli effetti, non hanno tuttora diritto di voto in Congresso o alle elezioni presidenziali. Ma alle primarie sì. E’ per questo motivo che dopo la doppia dolorosa sconfitta subita in Mississippi e Alabama martedì scorso, Romney si è precipitato ai Caraibi all’inseguimento di Rick Santorum per dare la caccia al voto dei portoricani, un popolo profondamente scisso fra l’attrazione per l’America e la difesa della propria identità e indipendenza.
Se il partido popular democrático de Puerto Rico si batte infatti per la totale indipendenza, il partido republicano de Puerto Rico, affiliato al Gop, punta forte sul referendum per l’annessione agli Stati Uniti che si terrà a novembre, il quarto in quarantacinque anni, ma anche sulla salvaguardia della lingua spagnola.

Il comizio di Romney di fronte al municipio di San Juan è organizzato proprio dal partido republicano e dal presidente del Senato locale, Thomas Rivera Schatz. Oltre all’ex governatore del Massachusetts ci saranno anche tutti i candidati locali, celebrati in un tripudio di bandiere, margarita, birra Medalla e musica a tutto volume. Sulle tshirt e sui cartelli elettorali si leggono decine di nomi diversi: Larry, Margarita, Jennifer, Norma, Eddie, Lourdes, Rivera. E in mezzo a loro spunta anche il nome di Mitt Romney, stampato in blu sui cartelli e sugli adesivi tutti uguali in ogni Stato e territorio d’America. Un complesso sta suonando musica latinoamericana sul palco, mentre in pista si scatenano i balli di gruppo fra i sostenitori, che avanzano e arretrano tutti insieme, passo avanti e passo indietro, sulle note di una tastiera, una chitarra elettrica e un sax, oltre al suono continuo e regolare delle percussioni.
Chi non danza in compagnia balla comunque, magari da solo o con gli amici. Ondeggiano e ancheggiano tutti, anche mentre ci spiegano, urlando per sovrastare la musica, che voteranno Romney soprattutto perché aiuterà Porto Rico a diventare uno Stato, difendendone l’identità e soprattutto la lingua spagnola. Sembra una festa dell’unità di paese, ma con molta più energia e con un ritmo veloce e costante. Tendoni che vendono cibo o margarita a cinque dollari spuntano fra la folla ai lati della piazza, stretta a sua volta fra il maestoso municipio di San Juan e l’oceano che si apre dietro al palco. Il cantante continua a urlare nel microfono cori politici a favore dei candidati, soprattutto Jennifer, una donna enorme che malignamente accusano di aver speso 2.000 dollari in un Dunkin’ Donuts, e Rivera Schatz, continuamente incitati dal pubblico. E’ una festa instancabile.
Dopo un’ora di concerto, i candidati locali iniziano a salire sul palco. Urlano nel microfono e ballano al ritmo di Danza Kuduro fino all’arrivo di Rivera Schatz. Lo speaker entra in scena come una stella della Nba, inseguito dalle telecamere fra due file di persone che formano un lungo cordone dal municipio fino al palco. Durante gli inni i politici si girano tutti verso la bandiera con le mani sul cuore. I sostenitori se ne fregano. Quello del partito invece lo cantano tutti, e sembra la sigla di un cartone animato giapponese. Accompagnati da una versione remixata lunga almeno un’ora di Danza Kuduro e inframezzati da un presentatore incredibilmente grasso che urla e li presenta come fossero gli undici titolari della nazionale messicana ai mondiali di calcio, tutti i candidati parlano almeno venti minuti. Ogni cinque frasi parte la musica a tutto volume, i politici si alzano e battono le mani a tempo. Il sole nel frattempo comincia a tramontare e le persone sotto il palco, ognuno con la maglietta del proprio candidato, non smettono di urlare e ballare. In mezzo continuano a sventolare le bandierine, scosse dal vento caldo che arriva dall’oceano.

Il comizio è totalmente in spagnolo, tanto per chiarire quali sono le condizioni per diventare uno Stato e per mandare un messaggio a Santorum, che qualche giorno fa si era inventato una legge federale che obbligherebbe gli stati a parlare inglese. Solo quando la festa comincia a perdere contatto con la realtà, arrivano il governatore di Portorico Luis Fortuño e il grande ospite della serata, il favorito in queste primarie repubblicane Mitt Romney. Danza Kuduro è a tutto volume. Una fila di circa dieci politici locali batte le mani e si muove a tempo.
Romney si sistema al lato del palco, imbarazzato, sventolando una mano come fosse un fazzoletto per salutare il pubblico di Porto Rico. Si siede poi vicino a Fortuño, che cerca di fargli da interprete. “Vorrei votare per te, ma non posso”, urla in spagnolo il presentatore, “perchè noi siamo una colonia, ma vogliamo diventare uno Stato”. Romney ha l’espressione di chi finge di capire. In realtà non ha idea, e si guarda intorno come se fosse appena sbarcato su Plutone. Sui due proiettori di fianco al palco nel frattempo scorrono immagini a bassa risoluzione delle campagne elettorali dei vari candidati. Sembrano le foto di un matrimonio o di un bar mitzvah mostrate agli ospiti durante il pranzo. Dopo due ore e mezzo di comizio, Fortuño finalmente inizia a parlare. Sembra il protagonista di una telenovela, con pantaloni tagliati un po’ retrò e la riga a dividergli i capelli neri e lucenti da un lato. Parla in spagnolo, poi conclude brevemente in inglese spiegando i motivi del suo endorsement. Parte di nuovo la musica a tutto volume, stavolta però è Ai se eu te pego. I politici locali schizzano in piedi e con loro si alza lentamente Romney, che non se la sente di rimanere seduto da solo e comincia a battere le mani il più a tempo possibile, visibilmente a disagio. Il suo sorriso è ancora più tirato e imbarazzato del solito. Jennifer si avvicina al microfono, comincia a introdurre “el proximo presidente de Estados Unidos”.

Dietro di lei Romney ha la stessa faccia stupita di un turista tedesco capitato per caso in un campeggio italiano durante un corso di balli di gruppo latinoamericani. In più è circondato da portoricani sorridenti, vestiti con colori sgargianti. Prende il microfono, e tutti hanno aspettato questo momento per tre ore. Qualcuno intona il coro “Romney, Romney”, ma brevemente e in modo piuttosto debole, tipo tifoseria ospite nel terzo anello di San Siro. Poi parte in inglese il coro “Stato subito, Stato subito”. Romney ringrazia per la splendida accoglienza. E poi con lo stesso identico tono che aveva in Iowa o Nevada, inizia a raccontare la solita vecchia storia del suo amore del liceo, dei suoi cinque figli e dei sedici nipoti. Introduce Ann, vestita con un completo bianco, che sentendosi vagamente fuori luogo in mezzo ai fiumi d’alcol che scorrono fra il pubblico prende il microfono e strepita “Porto Rico, you’ve shown us how to party”. Ci avete fatto vedere come si festeggia. Non aggiunge altro. Romney parla sei minuti in totale, prima di cominciare a stringere mani impaziente di scendere dal palco. Partono i fuochi d’artificio. Due giorni dopo Romney vincerà le primarie di Portorico con oltre il 50% dei voti, assicurandosi tutti e 20 i delegati in palio.

Foto: Christopher Gregory / Getty Images