Attualità

Colpa delle Stelle

John Green, autore del successo dell'anno, l'icona giovanile più improbabile della Storia che voleva essere un cappellano. Ritratto di un nerd diventato supereroe.

di Pietro Minto

Il numero 21 di Studio è in edicola e su iPad. Nella sezione Altre Storie trovate anche questo ritratto di John Green, l’autore del libro Colpa delle Stelle, da cui è tratto il film in questi giorni in sala.

*

Nel 2000 John Green era un giovane miope e mingherlino con il sogno di diventare uno scrittore. Si era appena laureato in letteratura inglese al Kenyon College, nell’Ohio, e sognava un contratto editoriale – una vita passata a scrivere, ma ci pensate? – senza nemmeno immaginare di riuscire a vendere, un giorno, 10,7 milioni di copie con un solo libro o di scucire un contratto milionario con Hollywood per i diritti di una sua opera. Forse per questo, poco dopo gli studi, ha deciso di abbandonare la strada della scrittura e indagare il suo lato mistico – nascosto nemmeno tanto bene sotto il suo aspetto da prete di provincia – per diventare un cappellano. Un’esperienza durata appena sei mesi poiché «troppo triste», dopo la quale è tornato nelle tiepide acque della scrittura: prima collaborando con qualche magazine (mental_floss, Booklist), poi entrando nella vituperata ma milionaria categoria editoriale chiamata “young adults” (giovani adulti, da qui in poi YA).

Ma un cappellano di provincia non ha bisogno di voti o abiti per misurare l’abisso della malinconia umana, tentare di colmarlo con pazienza liturgica per poi ricominciare tutto daccapo, giorno dopo giorno, conscio del proprio fallimento. Infatti Green è oggi una firma seguitissima, l’autore del libro The Fault In Our Stars a cui è ispirato l’omonimo film campione di incassi, un’icona per milioni di giovanissimi per i quali è una voce amica, intima. E ciò che è più importante, non ha mai smesso del tutto i panni da prelato e anzi continua a prendersi cura della sua gente, raccontando storie piene di speranza, amore e sofferenza. E la sua comunità è più grande solida che mai. I suoi sermoni, poi, sono tra i più seguiti del mondo: non bisogna nemmeno alzarsi presto la domenica per sentirli, li trovate su Youtube.

Forse il titolo Colpa delle stelle (Rizzoli) vi suonerà familiare. Lo avrete visto nelle classifiche dei libri più venduti oppure ne avrete comprato una copia per vostra sorella, figlia o cuginetta. È la versione italiana di The Fault In Our Stars, successone editoriale la cui versione cinematografica è arrivata nei cinema italiani a inizio settembre. Nel momento in cui scriviamo non possiamo prevedere la reazione del pubblico nostrano al film ma quanto avvenuto alla prima newyorchese del 2 giugno può aiutarci in questo esercizio di immaginazione: pubblico in preda a un delirio belieberiano, biglietti sold-out in pochi istanti, commozione, lacrime, collettivi inside joke e, in mezzo a tutto, lui: John Green, la più improbabile icona giovanile della Storia.

Se Il Giovane Holden uscisse oggi, andrebbe a finire proprio nel famigerato scaffale Young Adult

Colpa delle stelle, quarto romanzo dello scrittore, narra le devastanti vicende di Hazel, sedicenne affetta da cancro alla tiroide, spinta dai genitori a frequentare un gruppo di supporto dove incontra il diciassettenne Augustus, giocatore di basket a cui è stata amputata una gamba. I due vivono una storia d’amore giovanile sotto l’ombra di una terribile clessidra. Sono giovani, certo, ma a differenza dei loro coetanei non hanno tempo perché il male di Hazel è una condanna certa. Nonostante la premessa, il libro riesce a non risultare così ricattatorio nei confronti dei nostri fragili sentimenti, soprattutto grazie allo stile del trentasettenne Green: ironico e disperato, esemplare di una nuova leva di autori YA capace di comunicare anche agli adulti non più giovani. Introducendo l’opera e il suo autore ai lettori del New Yorker, la scrittrice Margaret Talbot ha tirato in ballo un titolo che è un’incudine, Il Giovane Holden, a ricordare che il capolavoro di Salinger, uscisse oggi, andrebbe a finire proprio nel famigerato scaffale YA – scaffale che non include solo storie di giovani vampiri emozionalmente scossi ma anzi osa sondare assenze, distanze e condanne: il repertorio-base della tragedia umana.

john

Seguendo il copione di ogni Grande Storia Americana, la parabola di Padre John Green nasce dal basso di un canale YouTube. Nel 2006 lui e suo fratello Hank, di tre anni più giovane, vivevano lontani l’uno dall’altro: il primo a New York, dove aveva pubblicato un buon esordio, Cercando Alaska, ed era pronto a rifugiarsi nella placida Indianapolis; il secondo a Missoula (Montana) dove gestiva un sito specializzato in tecnologia e sostenibilità ambientale. Riuscivano a vedersi appena una volta all’anno ed erano ormai rassegnati a una vita fatta di sms e chiamate estemporanee. Il 2006 era però un periodo strano per le comunicazioni a distanza, un limbo tecnologico tra il recente passato e il Domani: Internet era ormai diffuso globalmente, YouTube aveva appena un anno e una schiera di goffi pionieri stava cercando di capire a cosa diavolo servisse tutto quel bendidìo. Tra questi, Hosea Jan Frank detto “Ze Frank”, che nel 2006 diede vita a the show with zefrank, una videorubrica destinata a ispirare una nuova specie di intrattenitori che oggi chiamiamo “vlogger”. Con la sua parlantina torrenziale, gli occhi fissi sull’obiettivo e il montaggio serrato Frank ha dettato le prime leggi sull’intrattenimento casalingo da Internet, creando un linguaggio unico e nuovo. Un precedente storico che ha spinto John e Hank a inaugurare “Brotherhood 2.0”, progetto in cui i due dovevano comunicare esclusivamente tramite YouTube per un anno intero. È il primo gennaio 2007, è l’inizio di tutto, della carriera dei Green e di “vlogbros”, il canale che continuano tuttora a curare con interventi settimanali: «Good morning John, it’s Wednesday, «Good morning Hank, it’s Friday».

La partenza è stata lenta e il primo “successo” casuale (“Accio Deathly Hallows”, una canzone di Hank sull’attesa per il settimo e ultimo capitolo di Harry Potter), seguito da altre prime hit come un video sulla riproduzione delle giraffe che ancora oggi continua misteriosamente a macinare milioni di visualizzazioni. I due fratelli iniziano ad accumulare seguito e successo online, discutono di chimica, di Dio, di problemi quotidiani; John si fa notare per il suo puff level (capelli che si gonfiano e sgonfiano a seconda dell’ansia del momento); battezza sua moglie Sarah “The Yeti” perché tutti ne parlano ma nessuno la vede; trova un vecchio videogame, Aerofighters, che scambia per Nerdfighters, incomprensione diventata presto il nome della comunità cresciuta attorno ai vlog brother: Nerd Fighters, i guerriglieri nerd; tiene una videochat con Barack Obama a cui chiede consiglio sul nome da dare a sua figlia sentendosi rispondere che qualunque sia il suo nome è essenziale che gli venga sempre detto: «Don’t forget to be awesome», il motto dei nerd fighters; diventa azionista di una squadra della terza divisione calcistica inglese, il Milton Keynes Dons Football Club, dopo averci giocato per anni con un giochetto sulla Playstation chiamandoli scherzosamente “Swoodilypoopers”, e aver caricato online decine di partite condite di astute trame sui giocatori fittizi del team (tra cui figuravano ben due omosessuali di nome John Green). Oggi, dopo decenni di crisi e retrocessioni, il club è una modesta squadra che appartiene legalmente ai suoi tifosi ed è in prima fila contro l’omofobia sui campi di gioco. John ne è il testimonial d’eccezione.

«Come si fa a diventare nerd fighter?» chiedono spesso gli utenti ai Green. «Se ti senti un nerd fighter, allora sei un nerd fighter» rispondono sempre i due.

È proprio la Nerdfighteria la chiave del successo dei fratelli Green – che col tempo hanno creato altri canali come “Crash Course”, didattico, e “Hank Games”, videoludico – un universo parallelo fatto di tormentoni, tradizioni e simboli incomprensibili agli “esterni”. La Nerdfighteria in quanto scatolone culturale e faro nel buio per milioni di ragazzini spesso in difficoltà e non particolarmente “cool”. Quasi un culto laico fatto di riti, appuntamenti fissi e festività, come per esempio Esther’s Day (il giorno di Esther) dedicato al ricordo di Esther Earl, nerd fighter morta di cancro alla tiroide (lo stesso della protagonista di Colpa delle stelle) nel 2010. Quello di Esther è una presenza fissa nella vita dei fratelli: John l’ha conosciuta durante la malattia, sono diventati amici e tuttora sembra non riuscire a pronunciarne il nome senza commuoversi; a lei è dedicato il suo capolavoro letterario ma, ancor di più, il suo compleanno si è trasformato in una giornata in cui si è tenuti a dire “ti voglio bene” ai propri cari. Un altro giorno speciale per i nerd fighters – più che una festività, una chiamata alle armi nel nome del Bene – è “The Project for Awesome”, iniziativa benefica in cui gli utenti propongono cause, associazioni ed enti a cui vale la pena donare denaro. L’anno scorso il progetto ha raccolto quasi 900 mila dollari trasformandosi in una vera propria associazione benefica.

L’incredibile seguito dei due, a detta di molti, è alla base del successo di The Fault In Our Stars. Non a caso il libro è finito in cima alla classifica delle opere più vendute di Amazon sei mesi prima della sua uscita, quando John ne annunciò il titolo in un suo video. Ma c’è chi non è d’accordo con questa lettura e quel qualcuno è John Green, che nel suo Tumblr ha ricordato come «i nerdfighter sembrano amare Colpa delle stelle esattamente quanto quelle persone che chiamerò per mancanza di termini migliori “le persone normali”», ricordando inoltre che «per quanto l’entusiasmo dei primi lettori, perlopiù nerdfighters, abbia dato al libro un’incredibile energia, essa si sarebbe dovuto dissipare com’è successo con Paper Town e Will Grayson [due titoli precedenti dell’autore, Nda], libri che hanno venduto bene e trovato lettori meravigliosi ma che sono presto usciti dalla lista dei più venduti. Invece, dopo 72 settimane dall’uscita, [Colpa delle stelle] è ancora al numero 1». Il post citato è di circa un anno fa e nel frattempo, grazie al traino del grande schermo, il libro Colpa delle stelle è tornato tra i più venduti in tutto il mondo trascinando con sé altri titoli di Green, Paper Town e Cercando Alaska tra tutti.

Il volume di vendite in Italia è incredibile. Ho un amico che lavora in una libreria che recentemente mi ha chiesto a cosa stessi lavorando. «Sto scrivendo una cosa su John Green… Hai presente… lo scrittore?» ho risposto io, inesorabilmente naïf. L’ho visto assumere una smorfia in bilico tra l’estasi e la disperazione, e gridare: «MI STAI CHIEDENDO SE CONOSCO JOHN GREEN?!?».

Alla fine è stato proprio lui, il cappellano Green, a quadrare il cerchio di questo grande caso culturale. Lo ha fatto sempre nel citato post di Tumblr, stando sulla difensiva ma ammettendo la scomoda verità: «I miei lettori sono evangelisti». Ed è lecito immaginare pattuglie sorridenti di nerdfighter accorrere – proprio mentre il loro idolo batteva quelle parole sulla tastiera – su siti come Goodreads, Amazon e qualsiasi forum a tessere le lodi del signor Green, fondendo critica letteraria a spam, e creando quel che potremmo definire buzz se solo quella parolina non sembrasse un eufemismo di fronte a un’opera certosina e continua di conversione.

Perché John Green è grande, Hank è grande, e non dimenticatevi di essere fantastici, evviva l’amore vero, su Amazon ci sono anche gli sconti, accorrete che magari vi beccate una copia autografata. Evangelizzazione pare essere il termine giusto: il cappellano John è ossessionato dal male del mondo e dai piccoli inferi che albergano in ognuno di noi, ed è sinceramente devoto alla causa. Non è un caso che quest’estate si sia recato in Etiopia con la Bill & Melinda Gates Association, l’ente con il quale il fondatore di Microsoft e sua moglie vogliono debellare la malaria dal continente. John Green, come Bill Gates, è un nerd trasformato in supereroe: messianico, insicuro, ex vittima di bullismo divenuto potentissimo nel nome del bene, pardon, dell’AWESOME.

La Nerdfighteria è un organismo complesso e troppo vasto per essere definito con certezza ma ha alla base questa spinta verso il bene pura e ingenua, insopportabile per i più disillusi – per i rassegnati, verrebbe da dire. Come ogni religione si basa su un’ideale di bene, si occupa dei bisognosi, dei malati e degli oppressi augurandosi di non incappare mai in una mela marcia capace di rovinare tutto, di portare le tenebre anche nell’ultima oasi di sorriso rimasta. A stupire però è la sorpresa con cui John Green arriva a scrivere «I miei lettori sono evangelisti». Lo accenna come fosse un incidente di percorso, un effetto distante di una causa aliena. Come se non fosse lui ad esserne il cappellano.

Dal numero 21 di Studio
Illustrazione di Sarah Mazzetti (dettaglio)