Attualità

L’uomo sbagliato

"Trolliamo a fin di bene." Come uno scambio di email si è trasformato in una gogna digitale

di Violetta Bellocchio

In data 28 dicembre 2011, un uomo disperato andava in giro dicendo «I want to clear my name» – voglio mettere le cose in chiaro, sono innocente. L’ha ripetuto per giorni, a chiunque lo stesse a sentire. A volte ha aggiunto, «voglio che quella gente smetta di darmi fastidio».

Il suo problema era la macchia: il processo per cui un singolo episodio che ti ha visto protagonista o spettatore involontario diventa la cosa fondamentale da sapere su di te. Forse l’unica. La tua identità ne esce gravemente compromessa, anche quando la riduzione al minimo termine venga giustificata con un generico “bene comune” su cui vigilare. Del Presunto Comico Stupratore vi avevo parlato in settembre; sono passati quattro mesi e su Google il suo nome – Eric D. Angell – è ancora e soltanto sinonimo di “il comico stupratore”. (Vi ricordo che la scintilla iniziale era una barzelletta raccontata da un idiota e/o una mossa suicida tipica di chi cerca la catarsi senza ammettere alcuna colpa.) Questo è il terreno su cui prosperano imprese: se desiderate una nuova reputazione, e potete pagare, ci sono professionisti che lo fanno per voi con alterno successo. In alcuni casi, la chiave è il tempo che passa. Prendete Jessica Pilot, autrice nel 2008 di un reportage sulla prostituzione occasionale (Secrets of a Hipster Hooker) dove si era esposta in prima persona. Gli scherzi più feroci le sono stati fatti offline, da uomini con cui usciva o da potenziali datori di lavoro; gli internets non furono gentili, ma oggi il nome “Jessica Pilot” non è più associato da Google a parole o allusioni offensive. Al massimo vi viene suggerito di proseguire la ricerca con “Twitter”, o “hipster”. E i primi dieci risultati vi rimandano a pagine che Pilot può gestire direttamente, articoli “puliti” scritti negli ultimi anni. Un caso di limitata felicità.

Oppure potete trovarvi in una situazione alla Ocean Marketing. Mettetevi comodi, oggi si piange.

La versione più breve: la ditta Ocean Marketing viene coinvolta nel lancio della PS3 Avenger Controller, un’estensione che facilita l’uso della Playstation ai video-giocatori disabili; quelli della Ocean Marketing dovrebbero occuparsi di pubbliche relazioni, ma le loro mansioni effettive vanno dal servizio clienti al controllare le ordinazioni; un cliente si lamenta perché ha ordinato e pagato il controller ma non l’ha ancora ricevuto; gli risponde qualcuno che prima offre vaghe rassicurazioni, poi lancia una contro-offensiva via mail dove manca solo la minaccia di stuprargli la madre. La mail diventa virale, il cattivo – che ora ha un nome, Paul Christoforo – perde il lavoro, la folla lo vuole vedere decapitato.

Online, la storia aveva tutti i connotati giusti per fare il botto (incompetenza + aggressività + millantare amici potenti + tendenza a rispondere con frasi quali «I wwebsite as on the Internet»); offline, sta funzionando e piacendo per altri motivi (fattore Davide vs. Golia, il cattivo maltratta sotto Natale chi ha pre-acquistato un prodotto per disabili). I nomi “Paul Christoforo” e “Ocean Marketing” vengono comunque accolti con la stessa rabbia. (Numerosi dettagli della vita personale di Christoforo sono ora di pubblico dominio.) Ma se la storia è arrivata sulla vostra tavola lo dovete a una terza persona, il fumettista Mike Krahulik di Penny Arcade, prima coinvolto nello scambio di mail tra buono e cattivo, poi responsabile di aver messo in rete tutto il malloppo con nome e numero di telefono del cattivo, aizzando i suoi lettori a fare del proprio peggio. Non ho simpatia per questo tipo di gogna digitale, né per chi si mette a dirigere il traffico – in passato Krahulik ha giocato spesso al giustiziere, lasciando che fosse il suo entourage a tormentare persone con cui lui aveva litigato; detto ciò, stavolta l’argomento vincente è stato ragazzi, trolliamo a fin di bene, la macchia era la punizione per un lavoro mal fatto, e il nome della Ocean Marketing è stato compromesso in modo irreparabile. Parentesi: come si è scoperto, “la ditta” era mandata avanti da un singolo uomo. Mr. Paul Christoforo. Gli basterebbe chiudere la baracca per ricominciare da capo, costruirsi una nuova reputazione. (Ci mettiamo un forse? Che dite?) Ma dato che questa persona lavora grazie a Internet, la morale che molti hanno voluto trarne è stata non lavorerai mai più in questa Internet. I giusti ridono, gli ingiusti piangono.

Però.

Nonostante l’ondata di bile, che non è ancora finita, cercando “Paul Christoforo” su Google vi viene suggerita la parola “Boston”, la sua città. E basta. 880 mila pagine rimandano al suo nome e nessun altro termine-chiave viene ritenuto necessario a proseguire o migliorare la ricerca: il primo risultato è il suo curriculum su LinkedIn. Non che Christoforo ne stia uscendo bene, se il secondo risultato è la voce che gli ha dedicato Know Your Meme, ricca di informazioni, e se mentre lui chiedeva perdono tramite Forbes pare fosse impegnato in un tentativo di estorsione ai danni degli ex datori di lavoro. Ma la sua rovina personale ha colpito anche il prodotto che lui doveva vendere (guardate la pagina su Amazon, inondata di recensioni una stella su cinque), l’azienda responsabile di aver puntato sull’uomo sbagliato. Qui la macchia può solo continuare ad allargarsi, tocca tutto e tutti, azzera le distinzioni tra buoni e cattivi.

Al limite, una tale assenza di dettagli, di “forse cercavi…”, può significare una cosa: che Paul Christoforo è diventato un marchio a sé – un sinonimo di arrogante bottegaio indegno della roba che vende, per dire, o di colui che rovina tutto. Un nuovo disastro umano di cui aspettare la prossima mossa col dito sospeso sul pulsante continua.