Attualità

Cosa c’è dietro?

Fenomenologia e storia della Stock-Photography. Dalla pubblicità dei mutui all'arte contemporanea, il fascino delle immagini pre-confezionate e pronte all'uso.

di Cesare Alemanni

Un viso gradevole, una cravatta qualunque, un completo nero, una camicia abbottonata con cura, un taglio di capelli ineccepibile e un sorriso brillante. Il quadro dell’immagine è un mezzo busto, l’illuminazione omogenea e senza ombre, il fondale è tenue e monocromatico, l’uomo distende una stretta di mano verso l’obiettivo con un angolo di quasi novanta gradi: un gesto esatto che proietta fiducia e rassicurazione insieme. Potrebbe essere la fotografia della persona che ti ha appena convinto a sottoscrivere un mutuo con la sua banca o quella di chi vuole persuaderti che l’auto che hai davanti è pensata su misura per te. E forse lo è davvero, entrambe queste persone e chissà quante altre contemporaneamente, in luoghi diversi del mondo, su svariati volantini, affissioni, brochure, siti o espositori. Una ‘Stock Photo’ ha un solo destino: diventare qualunque cosa chi l’ha acquistata decida di farne dopo averla scucita dall’atmosfera rarefatta e fieristica, lattiginosa e plastica dell’assenza di contesto.

Le Stock Photo sono la perfetta veste estetica dell’habitat in cui siamo immersi, dentro e fuori Internet: un liquido configurato da frammenti sintetici d’informazione standard, nuvole di metadati, tag, referer. Sono gusci vuoti privi di connotazioni accidentali, panorami metafisici che definiscono le modalità dell’epoca per assenza e insieme sovrabbondanza di stile, sono residui d’Idealismo per tempi da Google. Se oggi provate a cercare la parola Spiaggia su G-Images vi apparirà una schermata di (quasi) sole Stock Photo che definiscono in tempo reale l’idea di Spiaggietà che il mondo riflette in data 8 marzo 2012; se lo rifarete tra 5 anni probabilmente scoprirete che quella idea si è impercettibilmente modificata nel frattempo. I colori, il taglio, qualcosa sarà leggermente diverso, più adeguato, più pronto a venire incontro alla medietà del mondo del 2017. Allo stesso modo, se aveste cercato Businessman 5 anni fa, prima del crack di Lehman Brothers probabilmente avreste ricevuto in cambio una veduta di Businessmanità più intensa e self-confident, meno sfumata e dimessa, meno in cerca di consensi e simpatie, di quella attualmente osservabile. Potere dell’archivio.

In sè, una Stock Photo, in attesa di ricevere una connotazione dal suo utilizzatore finale, è un ente puramente pittografico e denotativo, e algido come lo sono tutte le cose che tentano di esprimere degli “universali” senza alcun supporto autoriale. Nonostante si sforzi di proiettare immagini all’avanguardia con il costume, il suo è chiaramente un “modernismo” fuori tempo massimo che in realtà ricade immediatamente nella retroguardia, nel kitsch. Il kitsch, scriveva nel 1933 il critico americano Clemente Greenberg su Partisan Review, in un saggio molto noto e molto discusso dal titolo ‘Avant-garde and kitsch’: «Il Kitsch è meccanico e opera per formule. Il Kitsch è surrogato esperienzale e sensazioni fasulle. Il Kitsch cambia in accordo con lo stile ma rimane sempre identico a sé. Il Kitsch finge di non richiedere nulla ai suoi acquirenti, eccetto i loro soldi – nemmeno il loro tempo». Ora clicca qui.

Non stupisce quindi, che l’impulso decisivo allo sviluppo della Stock Photography sia stato impresso lungo un decennio noto come una delle più impressionanti centrifughe di Kitsch della storia: gli anni ’80. Fino ad allora il termine Stock-Photography indicava semplicemente e soprattutto gli scarti di produzione di progetti editoriali e/o di avdertising: il cosiddetto materiale di agenzia. È stato solo dal 1981 in poi che, nell’ambiente della pubblicità e dell’editoria newyorchese, ha iniziato a prendere piede l’idea che non fosse del tutto insensato produrre immagini senza altro scopo se non quello di finire, direttamente, all’interno di un archivio. “Operando per formule”, si è diffuso così a macchia d’olio lo stoccaggio di foto pronte all’uso: plastici ritratti di famiglie modello, amori modello, impiegati modello, montagne modello, strette di mano modello, fiocchi di neve ideali. Tutti ugualmente polivalenti, anonimi, privi di ambiguità o increspature semantiche. Tutti in attesa di una cornice. Immagini pensate e realizzate per riempire l’espressione “dove lo metti sta”. Un vero e proprio marchio di fabbrica per un prodotto che «cambia in accordo con lo stile ma rimane sempre identico a sé» e che sfama una ragguardevole catena di montaggio popolata di fotografi freelance e di presta-volti, presta-mani, presta-mezzi busti, presta-tramonti, al cui vertice ci sono alcune gigantesche agenzie multinazionali. La maggiore delle quali, Getty Images, nel 2010 ha raggiunto un accordo con Yahoo come licenser ufficiale per il più grande archivio “spontaneo” di foto al mondo: Flickr.

È evidente che, presa nel suo insieme, la Stock-Photography occupa uno spazio enorme del nostro orizzonte visivo e, specialmente da quando Internet è diventata la sua più potente cassa di accumulo e circolazione, ogni giorno facciamo esperienza, anche se spesso inconsapevolmente, di dozzine di immagini di questo tipo. Da qualche tempo, per riflesso, questo fenomeno sta interessando anche il mondo dell’arte. In un articolo apparso sul numero 145 di Frieze, Isobel Orbison ha offerto una panoramica degli artisti più attivi in questo campo. Alcuni di loro, in particolare la londinese Helen Marten, tramite la scultura e l’installazione sembrano operare proprio per rendere tangibili le incongruenze e i detriti del Kitsch digitale in un modo non troppo distante da come l’Hipnagogic Pop – rigurgitandole in un’atmosfera preconscia – cerca di far riaffiorare alle porte della percezione le protuberanze estetiche causate alla nostra sfera cognitiva dalla cultura televisiva anni ’80. A proposito dell’installazione No Juice About It della Marten, la Orbison giustamente scrive: «Il peso e le texture insolite della sue sculture accentuano enormemente la confusione materiale portata dalla modificazione digitale».

Dalla copia della copia della sposa ideale – una figura indefinitamente congelata in un sorriso, un bouquet e un tardo pomeriggio color pastello da passare sotto un gazebo fiorito – all’Ananas di gomma con occhiali Oakley di No Juice About It, dall’industria all’arte, la Stock Photography ha fatto tutto il giro e – ça va sans dire – l’immagine che connota questo pezzo è stata acquistata su Getty Images.

 

Immagine: un esempio di Stock Photography (via)