Attualità

Blade Runner Vaticano

Roma senza Papa di Guido Morselli, che raccontò di un papa modernizzatore in un’Italia futuribile di prostituzione e governi diretti dall’Europa.

di Michele Masneri

Tra tutti gli scritti naturalmente “profetici” sulle dimissioni papali, qualcuno si è scordato di un libretto in realtà sommo, che compie quasi quarant’anni. Quando uscì, postumo, come tutte le sue opere, Roma Senza Papa (1974) di Guido Morselli fu salutato come un “Gattopardo del Nord”, come scrisse Giulio Nascimbeni sul Corriere della Sera; a intendere un’opera-mondo d’un autore marginale; ma piuttosto il libro di Morselli sembra più un Blade Runner ante litteram, in una Roma non solo senza pontefice ma sgangheratamente post moderna. «Questo a noi ci ha piantati, non è più er papa de noantri» dice un personaggio a proposito di papa Giovanni XXIV, pontefice molto innovativo degli anni Novanta del ventesimo secolo, che ha scelto di risiedere a Zagarolo, lasciando il soglio di Pietro, smantellando l’apparato vaticano e portando avanti riforme inusitate.

Gli italiani, «questa popolazione meridionale col suo candore superstizioso» non l’hanno accettato tanto volentieri, questo addio al celibato dei preti, e i primi matrimoni ecclesiastici devono essere scortati «dai Carabinieri»

Intanto, una Chiesa che ha fatto molti passi avanti: il matrimonio per i religiosi, con il narratore, chierico svizzero con un incarico alla Pontificia università gregoriana – alla cui mensa robot preparano cibi che si mangiano con sottofondo «di musica elettronica dell’abate Le Jeune» – che si lamenta dello scarso rendimento sessuale con la moglie Lotte; che sul trenino per Ostia viene apostrofato da dei popolani («embé reverendo, dove l’ha messa la signora?»), perché gli italiani, «questa popolazione meridionale col suo candore superstizioso» non l’hanno accettato tanto volentieri, questo addio al celibato dei preti, e i primi matrimoni ecclesiastici devono essere scortati «dai Carabinieri». Intanto si affaccia prepotente il tema della contraccezione nelle coppie talari («sul muro dell’arcivescovado di Milano è apparsa la scritta: avete voluto la moglie, adesso pure la pillola»). La Chiesa, protestantizzata e modernizzata, è andata avanti anche su altri temi: ha appoggiato la legalizzazione delle droghe e anzi fa un uso molto moderno di un ritrovato, il GR6, allucinogeno simile all’Lsd, sul cui utilizzo si dibatte su Civiltà Cattolica e sull’Osservatore Romano, e pragmaticamente Morselli nota che «sarà un caso ma in Inghilterra, con un 60 per cento della popolazione che ha sostituito il GR6 nelle sigarette alla nicotina, c’è un diffuso revival della fede. Il cattolicesimo ne è il primo ». Del resto la Chiesa «di volta in volta si è messa contro l’uso del tabacco, la vaccinazione, il parto indolore, gli anticoncettivi, l’eutanasia, e alla fine ha dovuto approvare tutto».

L’autore, che tra le altre cose usa il dettaglio maniacale (con studi che si immaginano poderosi) per raccontare regalità da vicino – come il ritratto di Umberto I in settimana bianca, subito prima dell’assassinio di Monza, e sempre in Svizzera, in Divertimento 1889, racconta qui non solo una Roma senza papa ma una capitale surreale in un’Italia diversa, che abbandonata la siderurgia e la chimica si è dati finalmente a un business anticiclico: per fermare il declino, si direbbe oggi; con la prostituzione come “unica industria congeniale”, con la conseguenza che il turismo «si è ingigantito e le permette un tenore di vita pressoché europeo»; con le ragazze italiane che invertendo un famoso topos millenario (il playboy latino che non lascia indenne neanche una turista straniera) diventate celebri per professare l’arte delle “mignottelle” e la città eterna invasa da “love hotel”, alberghi a ore, in cui il maschio straniero trova il suo beneficio.

Le “mignottelle” sono anche parecchio aggressive e circuiscono i passanti, che talvolta devono essere salvati dalla polizia. Questa vigila con mezzi postmoderni, con «microcotteri della questura» che atterrano tra via della Pilotta (sotto il Quirinale) e il Corso pilotati da esperte questurine; c’è un episodio magnifico, tra Gadda e Sordi, con una di queste pattuglie che atterrano per soccorrere turisti molestati dalle mignottelle. Ma poi dei regazzini (in romanesco nel testo) si infilano nel velivolo – «cinque, sei, si infilano nel cottero, manovrano le leve, accennano a decollare». Ma la vigilessa volante non si inasprisce, e si limita a un «Ve fate male, bambini» (perché l’Italia degli anni Novanta è dominata dalla «bambinocrazia: chi anima  e domina l’Italia , e la ossessiona, sono immutabilmente i bambini»).

Zagarolo, sede della nuova residenza papale, è raggiungibile in realtà in un minuto e mezzo tramite bus-cotteri e una “pneumatica”, progenitrice di una metropolitana tav, che però sono sempre in sciopero

Una città piena di bambini ma orfana del Santo Padre, con la chiesa che «finendo di essere una corte per essere una burocrazia, ha perso in splendore senza guadagnare in precisione». Zagarolo, sede della nuova residenza papale, è raggiungibile in realtà in un minuto e mezzo tramite bus-cotteri e una “pneumatica”, progenitrice di una metropolitana tav, che però sono sempre in sciopero. In seguito al sacro trasloco, il traffico a Roma è drasticamente calato, la città è svuotata, come il morale dei romani. Giovanni XXIV, ex monaco benedettino, irlandese, «rimanda le udienze, si fa sostituire alle cerimonie. Lo dicono agorafobo, scarso di oratoria, timido. È un pontefice ombroso. Forse, misterioso». La mancanza di pompa deprime i romani e non solo: la Chiesa anglicana ormai fusa con quella romana è molto indispettita per l’esotismo e i riti araldici cattolici che in realtà piacevano moltissimo; e si danna per essere stata scavalcata a sinistra. A Montecitorio c’è un «sub-parlamento europeo» e l’Italia «non conta più nulla nel Mec». Un prete ha sedato una rivolta nazionale dopo che il campionato di calcio era stato inopinatamente soppresso; arriva alla gloria, ma rifiuta una sceneggiatura di un’importante produzione americana, e torna alla preghiera. «Una Roma senza papa è una rovina, Monsignore. Una femmina senza marito» dice un popolano. A Zagarolo, che il governo subito dichiara zona extraterritoriale, il Papa beve moderatamente, fuma, gioca a tennis; abita in un conglomerato di palazzine, non viaggia, gli svizzeri, così come tutta la corte pontificia, sono stati sollevati dall’incarico. Nessuno ha capito bene la ragione di questo trasloco. Si dice per tagliare i costi della Chiesa che erano divenuti insostenibili. Giovanni XXIV è un papa di preghiera ma anche manager. «Dio non è prete» dirà enigmaticamente nell’udienza che conclude il libro. L’idea è forse quella di smaterializzare la Chiesa togliendole il peso della corte e dei residui poteri temporali. Ha rinunciato anche all’anello del Pescatore. Tutti sperano in un ritorno a Roma e alla grandiosità.

Intorno, infatti, molto rimpianto per l’ultimo vero principe della Chiesa: controluce, attraversa il romanzo il Duodecimo, Papa Pacelli. Il cui funerale nel 1958 conclude una certa storia della chiesa, feudale e sovrana; e lo racconta un altro svizzero romanzesco frutto di un lombardo a Roma, Alberto Arbasino in Fratelli d’Italia, con le vicende supergotiche dell’archiatra pontificio, Riccardo Galeazzi Lisi, che prima sbaglia tutte le cure, poi sbaglia l’imbalsamazione del papa e ne causa lo scoppio della salma in San Pietro (estate del ’58, molto calda) tra gli svenimenti delle guardie svizzere causa miasmi; poi tenta di vendere le foto del papa agonizzante a un giornale francese. La figura di Pio XII mette molta nostalgia ai romani; il famoso gesto teatrale-araldico con indice e medio alzati e anulare piegato (pare a significare la Trinità), che utilizzerà in tutta la carriera con grande successo era poi dovuto, si è scoperto recentemente in una mostra al Palazzo delle Esposizioni, alla sapienza di un fotografo che aveva inventato un po’ di star system romano, Arturo Ghergo. In Roma Senza Papa il narratore incontra anche Suor Pasqualina, storica assistente del cardinale Pacelli (poi Pio XII), che «vegeta dimenticata in una cameretta piena di fiori, di statuine d’alabastro e di cardellini, come il salotto di una cantante a riposo«, depositaria di un fasto malinconico, mentre fuori i romani grugniscono contro il «papa del trasloco» che ha offeso la città. «Che ce voleva, proprio pijà a schiaffi?», si legge su un muro vaticano.