Attualità

Facciamo finta di avere un po’ di privacy?

Le nuove app messaggistiche di Facebook, Twitter e Instagram; l'ascesa dell'eterea Snapchat: il backchannel e l'illusione facile della nostra privacy scomparsa.

di Pietro Minto

Facebook è stato il primo social network a cui la maggior parte degli utenti, dopo anni di nickname e identità fittizie, si è iscritta utilizzando il loro vero nome, la loro vera data di nascita, la loro vera residenza e molte altre informazioni più o meno vere. Prima di allora, altri servizi avevano ambito allo stesso risultato senza riuscirci: eravamo utenti malfidenti e maldestri e forse era ancora troppo vicina l’idea di rete come mare magnum in cui tutti erano contemporaneamente utenti e vittime. Con il tempo però ci siamo abituati a vivere online, comprando cose (eBay, Amazon) e chiacchierando (Messenger, Skype). Ci siamo ambientati. Più o meno attorno al 2006 i tempi erano maturi: possiamo fidarci di questo internet! disse il mondo estasiato, finalmente a volto scoperto.

Nella conquista della nostra privacy, l’arma in più di Facebook è stata la sua missione, quel suo aiutare «a connetterti e rimanere in contatto con le persone della tua vita», come recita il claim aziendale; ed ecco la novità: se «le persone della mia vita» vogliono raggiungermi, e io voglio raggiungere loro, devo farmi trovare. Da qui il fiume di nomi, dati, indirizzi, tag, like. Servivano a dire: se mi cercate sono qui.

Persino Https Secure, il protocollo internet con la “s” di “sicuro”, si è rivelato ironicamente poco sicuro

Con il fiorire di social network sempre diversi e più particolareggiati, il concetto di finestra aperta a tutti è cominciato a decadere. Sono nati nuovi ambienti dedicati: Twitter ha invaso il campo, Instagram ha cambiato il nostro rapporto con la fotografia e nuove start up si aggiungono ogni giorno alla lista di disruptor in vena di rottamare il vecchio Zuckerberg. Non ultimo, questa estate, Edward Snowden ha scoperchiato il turpe calderone della Nsa, sollevando un polverone che da mesi occupa il dibattito giornalistico e politico. Il caso Nsa ci ha insegnato che su internet non esistono vie di scampo dal controllo: persino Https Secure, il protocollo internet con la “s” di “sicuro”, si è rivelato ironicamente poco sicuro; le nostre telefonate, le nostre chat, i nostri messaggi: tutto è finito nel calderone dell’Agency americana. Con un effetto: farci sentire scoperti, vulnerabili. Non solo nella nostra cronologia, nella parte più superficiale della nostra vita digitale. Anche nelle conversazioni più private, intime.

E ciò è successo proprio nel 2013, l’anno d’affermazione del backchannel, ovvero la comunicazione privata, continua e in tempo reale tra piccoli gruppi di persone, spesso tra singoli. Non post pubblici su Facebook, non tweet urbi et orbi: foto mandate a un amico che scompaiono pochi istanti dopo la visualizzazione, come nel caso di Snapchat, o chat complesse e ormai ubique come Whatsapp. Dopo gli anni passati a farci parlare con enormi cerchie di pubblico, ora i social media si ripiegano su se stessi: è la deriva “introspettiva” di Facebook, che ha rivisto la sua app Messenger rendendola simile a Whatsapp e scollegandola dalla navicella madre zuckerberghiana, quella di Twitter e dei suoi nuovi messaggi diretti tra utenti, e pure quella di Instagram, che ha fatto lo stesso nel campo fotografico. La trasformazione è soprattutto un ricollocamento nel mercato: la svolta di Instagram, per esempio, è la risposta a Snapchat, che Facebook (proprietario di Instagram) ha tentato invano di acquistare per 3 miliardi di dollari (offerta rifiutata dalla start up). A proposito di Snapchat, che ha fatto l’app negli ultimi tempi? Da leader del backchannel e della comunicazione ultra-personale ed eterea, ha intrapreso il percorso opposto, annunciando “Stories”, un feed di immagini di amici e contatti che non sparisce, rimane lì, manco fosse Facebook.

È la trama di Beautiful? No, è la Silicon Valley nell’anno 2013, una galassia all’isterica ricerca della next big thing, caratterizzata da movimenti e acquisizioni continue, cannibali. C’è l’inseguimento continuo dei teenager, quei giovanissimi millennial per cui Facebook è già cosa da vecchi (per dire: lo usano i loro genitori) e vivono una vita social frammentata in ambienti spesso chiusi – e quindi Whatsapp, le varie chat, SnapChat negli Usa – rimbalzando sui loro smartphone da icona a icona.

SnapChat e Telegram, nuova app che punta a soffiargli utenti nel nome della Sicurezza, hanno problemi con l’oblio, vera grande chimera del mondo digitale

La scorsa settimana Joshua Topolsky, direttore di The Verge, ha ironizzato su questo fiorire di app messaggistiche ricordando che dopotutto sono semplici mail: la mail di Facebook, la mail di Instagram (ASSURDO, TI FA PURE ALLEGARE FOTOGRAFIE!), la mail di Twitter. E così via. È cabotaggio, una lieve modifica per assomigliare un po’ di più ai nuovi arrivati e tentare di soffiare un po’ del loro hype.

Il successo del backchannel è probabilmente dato dalla maggiore privacy percepita. Ed è pura illusione: rintanarsi dietro le quinte del mondo social non vuol dire nascondersi dai grandi commercianti di dati personali o dai governi (può semmai essere utile nei tradimenti). La privacy pre-internet non esiste più, è diventata relativa, trattabile. SnapChat e Telegram, nuova app che punta a soffiargli utenti nel nome della Sicurezza, hanno anch’esse grossi problemi con l’oblio, vera grande chimera del mondo digitale, con il quale però danzano sensuali. Come ha spiegato Kurt Opsahl della società per i diritti civili Electronic Frontier Foundation al New York Times, «anche con tutte le barriere tecniche messe su dal disappearing messaging [la comunicazione eterea, quella che scompare dopo essere stata visualizzata, Nda], qualcuno potrebbe semplicemente fotografare il proprio telefono», rompendo il fragile cerchio della sicurezza. È privacy-placebo che si basa sulla mera esperienza dell’utente e non ha basi reali. Nelle ultimissime ore è sceso in campo anche BitTorrent, il software di condivisione dati via torrent con l’inevitabile “BitTorrent Chat”, che con il sistema Dht fa impallidire Snapchat, eliminando in toto il bisogno di server:

[Nel nuovo servizio] non ci sono “username” in senso proprio. Non si effettua il classico login. La tua identità è un paio di chiavi crittografiche. Per chiunque del network di BitTorrent Chat, tu SEI la tua chiave pubblica. Ciò significa che, volendo, puoi usare la chat senza rivelare a nessuno la tua identità. Per comunicare tra di loro, gli utenti devono solo scambiarsi le loro chiavi pubbliche.

Riuscirà il servizio a conquistarsi una parte di mercato? La chat di BitTorrent sembra piuttosto sicura ma tale protezione ha un costo, un’esperienza meno diretta e più difficile della concorrenza. Sareste pronti ad affrontare qualche scomodo codice per preservare la vostra privacy?

Dove trovare una risposta? Fra i millennial, ovvio. Sono sempre loro a plasmare lo scenario: secondo una ricerca dell’USC Annenberg Center for the Digital Future, il 70% di loro pensa che nessuno dovrebbe mai poter accedere ai loro dati, ma il 25% sarebbe pronto a cambiare idea in cambio di pubblicità migliori e personalizzate, il 56% in cambio di coupon e offerte varie, e il 51% in cambio di qualcosa in genere. Non avendo mai conosciuto la vera privacy, le persone tra i 18 e i 34 anni sembrano accontentarsi della sua variante più immediata e superficiale (ti mando una foto ma non mostrarla a nessuno), che diventa in alcuni oggetto di un atroce baratto (i miei dati per uno sconto al MediaWorld).

 

Teenager e Snapchat, quindi. I primi orfani della privacy, il secondo il social network che ha inaugurato l’era della “privacy percepita”, la piacevole illusione del controllo totale delle informazioni su di noi basata sul teorema “se lo cancello, non esiste”. Il controllo del web ha però un’ombra lunga, che va ben oltre l’effettiva rimozione di un’informazione. Eppure, ora osserviamo il boom dell’app tra i più giovani, e la Snapchat-izzazione di altri colossi: una tendenza che si sposa perfettamente con la mutila idea di sicurezza online diffusa tra gli adolescenti.

Snapchat pare quindi una soluzione accettabile: creare contenuti da condividere che poi si autodistruggono à la James Jond. Si tratta ovviamente un’illusione, è bene ricordarlo. Lo hanno capito bene le ragazze pubblicate a loro insaputa dal tumblr “Snapchat Sluts” (le “puttane di Snapchat”, link NSFW), che si sono fotografate in pose erotiche per poi girare la foto a qualche amico tramite l’applicazione. L’immagine doveva scomparire nel nulla, eccola invece alla portata di tutti. Lo sa anche la 14enne che si è fotografata in vasca da bagno con sua madre per fornire a qualche amico su Snapchat un doppio nudo al prezzo di uno. Uno scherzo beffardo durato poco: il tempo necessario all’immagine di fare il giro della scuola e della nazione, portando infine all’arresto della madre, che si dice innocente.

Vittime del backchannel o vittime di un gioco di cui qualcuno non ha rispettato le regole. O, meglio ancora, vittime di loro stesse, convinte com’erano che quel gioco avere davvero delle regole?

 

Immagine: foto promozionale del MC218 di Ericsson, uscito nel marzo 1999 (Getty Images), elaborazione grafica di Filippo Nicolini; infografica dallo studio di Usc Annenberg.