Attualità

Fenomenologia dell’ardaturanismo

È il protagonista di Trecento in versione calcistica; è un musulmano praticante; non ha ancora imparato lo spagnolo; ha una barba iconica; è un lottatore, più di chiunque, e questo ha fatto sì che sia l'unico giocatore per cui è nato un culto. Che cos'è l'Ardaturanismo, religione laica colchonera e non soltanto, e come è nata.

di Cristoforo Spinella

Il giorno che a Londra Arda Turan ha steso il Chelsea, trascinando l’Atletico Madrid a una finale di Champions League dopo 40 anni, a Istanbul il suo amico e produttore cinematografico Zafer Çika è stato trasportato d’urgenza all’Ospedale Americano per un infarto. Non il suo primo, ma pochi in Turchia ci hanno visto una coincidenza. È così l’epica che avvolge il più amato figlio d’Istanbul degli ultimi anni, calcisticamente parlando: fascino e gol, sudore e batticuore. A volte, pure troppo.

La storia di Arda Turan comincia con un pallone di pezza calciato tra i vicoli polverosi del quartiere popolare di Bayrampaşa e arriva sul tetto d’Europa. È la storia di un predestinato, a vent’anni già capitano del Galatasaray e padrone della folla nel suo stadio rimasto caldissimo malgrado il trasferimento in periferia e l’abbandono del catino infernale dell’Ali Sami Yen, che quasi si affacciava dentro case e uffici nel centro della megalopoli turca. Ma anche la storia di un dieci modernissimo, giunto nei campi di erba vera sognando Hagi ma che per stare al top ha saputo ibridarsi, mettendo corsa e grinta accanto – quando non davanti – ai dribbling. Eppure, non è solo per questo che in Spagna i suoi gol, come i recuperi sulla linea laterale, vengono celebrati dai seguaci dell’ardaturanismo. Non un’esagerazione, a guardare le tempeste di tweet che ne hanno fatto uno degli hashtag dell’anno. Né un “ismo” di comodo, di quelli che si inventano i giornalisti per celebrare una doppietta qualsiasi. Piuttosto, una religione pop di cui Arda è il profeta per nulla involontario; un modello antimoderno, ma per questo ancora più d’avanguardia, di slow foot; al limite, un’idea della vita.«L’ardaturanismo è una corrente estetico-ideologica la cui importanza aumenta di giorno in giorno. È qualcosa che trascende il calcio, compreso Arda Turan. Come tutto ciò che c’è di bello, non si definisce facilmente. «O ci si sente o non ci si sente», suggerisce Juan Esteban Rodríguez Garrido (@JuanesPREMIER), il giornalista che al turco ha dedicato il libro Arda Turan. El genio de Bayrampasa, uscito in Spagna alla fine della scorsa stagione per le edizioni Al Poste. «A me piace dire che l’ardaturanismo è camminare sorridendo quando gli altri corrono in modo teso. E in più, arrivare prima».

«L’ardaturanismo è camminare sorridendo quando gli altri corrono in modo teso. E in più, arrivare prima»

Provando a spiegarlo a partire dal campo, Arda è il vero simbolo dell’Atletico di Diego Simeone, se ce n’è uno nel modello di calcio collettivo del cholismo – questo sì, un “ismo” forse più di moda che di concetto. «È un giocatore che alla sua naturale genialità, alla sua enorme qualità, ha saputo sommare la capacità di sacrificio senza cui non si può giocare in questa squadra» analizza Rodríguez Garrido. «In questo senso è un simbolo perché i compagni lo vedono correre e pensano: “Se lo fa questo che ha tanta classe, come posso non farlo io?”». Così, non era difficile diventare un idolo del Calderón. E infatti c’è di più. Oltre la grinta, e oltre pure le dichiarazioni d’amore e magari di circostanza per i colchoneros (da nuovo contratto fino al 2017, malgrado le avances giunte da mezza Europa), c’è l’immaginario che Arda ha saputo costruire. A partire dall’immagine. Sulle magliette e nei profili stilizzati dei social network, ci finisce preceduto dalla sua barba: come pochi orpelli estetici nella storia recente del calcio, uno spartiacque della carriera. Da quando, all’incirca all’inizio della sua seconda stagione all’Atletico (quest’anno è alla quarta), si è definitivamente convertito al nuovo look, è diventato per tutti ancor più visibile e identificabile, lontano dai profili azzimati dei Ronaldo e dalle creste sempre più diffuse e quindi più anonime: insomma, un’icona. Il suo barbone nerissimo, a metà tra asceta e turco medio, ne ha definito irreversibilmente i contorni: il ragazzo scapigliato e ribelle è diventato grande prima coprendosi il volto di peli e poi facendosi azzerare il ciuffo in diretta tv dal compagno Mario Suarez dopo la vittoria della Copa del Rey nella finale contro il Real del maggio 2013. Una promessa onorata che ne ha sancito la definitiva simbiosi con l’esperienza colchonera.

A cascata, ci sono poi le altre immagini spot: Arda in ginocchio che bacia l’erba del Calderón come fosse in moschea, Arda che quasi si strappa il petto per mostrare alla curva lo scudetto sulla maglia dell’Atletico, Arda che urla la sua furia agonistica scatenando i fotomontaggi da guerriero di epoca classica. Un personaggio talmente riconoscibile da recitare negli spot promozionali del mondiale brasiliano a cui pure la sua Turchia non ha partecipato. Ormai, si direbbe un brand. In Spagna però il suo fascino ha fatto breccia in tempi non sospetti, conquistando le copertine ben prima – e comunque a prescindere – dall’apoteosi colchonera della scorsa stagione. Perché in fondo l’ardaturanismo significa anche questo: vincere è importante, ma non è l’unica cosa che conta.

Oppure, l’ardaturanismo si può ancora raccontare guardandolo dalla sua Turchia, dove è il bravo ragazzo che ha fatto fortuna senza dimenticare le radici e i precetti islamici come la zekat, la carità che purifica: «Una persona molto umile e sensibile, legata alla famiglia, che non ha mai dimenticato le sue radici né da dove proviene» racconta ancora Rodríguez Garrido. «Ancora oggi, paga le bollette di tutto il palazzo povero in cui è cresciuto». Certo, Arda è anche l’invidiatofidanzato dell’attrice Sinem Kobal e la star che fa da testimonial a una marca di abbigliamento accanto a Paris Hilton, lui che pure ama portare bretelle e scarpe lucide senza calze. O magari, proprio per questo. Non c’è da stupirsi, insomma, nel vederlo occupare le copertine delle riviste di stile maschile o i tappeti rossi degli eventi mondani con la stessa disinvoltura – anche se magari non eleganza – con cui calpesta quelli verdi.

Patriottico e musulmano praticante («non ha mai nascosto la sua fede e ama il suo Paese», dice semplicemente Rodríguez Garrido), nella Turchia che oggi vive di erdoğanisti e non, riesce a mettere d’accordo quasi tutti. A Madrid, dove vive certo più tranquillo che a Istanbul, pensano che di spagnolo non abbia imparato nulla, ma è una posa pure quella, a renderlo più misterioso nelle interviste: così il suo amico di sempre e traduttore Ata può restargli al fianco, insieme al “Fronte Kebab”, il gruppo inseparabile delle sue scorribande oggi ben più soft di quando, sbarcato da poco, fu colto in discoteca durante un’assenza per infortunio da una foto finita proprio su quel Twitter che oggi lo osanna.

Quanto poi Arda resti efficace in campo, coi piedi sempre ben piantati per terra, è storia di quasi ogni partita. Il primo gol di quest’anno, che è valso all’Atletico il secondo derby di campionato consecutivo al Bernabeu (mai successo prima ai colchoneros), lo ha segnato entrando dalla panchina, dopo un’estate di lusinghe sul mercato e di presunti contrasti con Simeone che lo avrebbe toccato proprio sul vivo: la capacità di soffrire. Eppure, la sua risposta non ha tardato, confermandone il talento e forse ancor più il carisma.

L’ardaturanismo resta però devozione senza presunzione: è, cioè, l’importanza di non prenderlo (e prendersi) troppo sul serio. Così, i forum rojiblancos riservano spazi tra i più seguiti a descrizioni che sorridendo sconfinano nella blasfemia, come la preghiera madre – anzi, padre – “Arda nostro, che sei nei campi”. I fedeli, insomma, non si fanno mancare nulla. E i comandamenti di questa religione pop sono già ben più di dieci: da “porterai la barba come segno di grandezza (tranne donne e bambini)” a “lotterai sempre con due coglioni”: tutti ispirati alle lezioni di vita del turco. E, in qualche caso, citazioni esplicite: “Sii generoso con gli altri, ricorda che «fare un assist è meglio che segnare»”. Sulla soglia dell’agiografia, però, ci si ferma sempre, perché il sorriso resta anche guardandosi allo specchio. Fino a citare, decisamente apocrifo, Chuck Norris: “Arda Turan è l’unico uomo che sarebbe capace di sconfiggermi in un combattimento a morte”.

Dire che sia una corrente culturale, forse è troppo. Un movimento di massa, incrociando calcio e social network, un fatto. A decifrarne l’incanto, in El genio de Bayrampasa ci provano alcune delle penne più ispirate del giornalismo sportivo spagnolo, da Quique Peinado a José Miguélez, perché una voce sola non può bastare. Dell’ardaturanismo manca però ancora un’interpretazione autentica, forse perché ognuno si senta libero di dare la propria. Lui, l’ispiratore, dice solo che è nato «per giocare a tutto campo, e non da un lato soltanto». Chiaramente, sorridendo.