C’era una volta Susanna Agnelli, regina indiscussa del settimanale Oggi grazie alla sua rubrica Risposte private. Le veniva chiesto di intervenire sui problemi più diversi, dalla scelta di un centro-tavola alla suocera impicciona. E Agnelli interveniva, dall’alto del suo essere una donna pubblicamente ricca, di mondo, la signora più borghese d’Italia: soltanto lei poteva spiegare il buon gusto alle lettrici di un settimanale popolare. Se non altro, ogni tanto, le sue risposte erano taglienti: alle coppie che non si mettevano d’accordo sul nome dei futuri figli, Agnelli diceva «compratevi un cane».
Le rubriche dei consigli donna-a-donna non sono mai passate di moda e non sono mai state sostituite da nulla. Al limite hanno esteso il loro dominio, passando dai suggerimenti pratici e specifici a una generica predicazione sul “mondo femminile”. Abbiamo tutte, più o meno, preso atto del mansplaining, l’arte della spiegazione virile, per cui un uomo vuole istruire una donna su come funziona, ad esempio, l’utero; abbiamo sottovalutato lo womansplaining, per cui un’altra donna deve sempre dirci cosa è meglio per noi, dato che con noi condivide il sesso di nascita. Basta e avanza. La radice di ogni male, per le womansplainers, va individuata nell’autonomia; la loro risposta universale, sposatevi e moltiplicatevi. E bisogna farlo in fretta, perché là fuori è un massacro.
La portavoce più frequente di questa visione, l’ex donna indipendente.
Accettare la maschera dell’ex donna indipendente offre un ruolo preciso, un posto a tavola, una collocazione esistenziale prima che professionale.
A volte ci viene presentata come “una femminista pentita”, che ha bruciato i suoi vecchi libri; a volte è l’erede di una figura cara alle narrazioni anni Ottanta, l’ex donna in carriera, quella che si ritirava in campagna con i suoi cappelli di paglia e i suoi Golden Retriever e riscopriva il piacere della vita semplice. Ora, se per alcune di queste persone il cambio di rotta è legato a laceranti riflessioni sulla Vera Vocazione Femminile, per altre è una scelta di comodo, almeno in parte. Accettare la maschera dell’ex donna indipendente offre un ruolo preciso, un posto a tavola, una collocazione esistenziale prima che professionale. Ma spesso finisce per diventare un secondo lavoro: quante femministe storiche vanno in Tv a criticare «gli eccessi delle ragazze di oggi», sempre con la stessa foga, si parli di chirurgia plastica o di contraccezione.
In generale, però, l’ex donna indipendente trova modo di farsi sentire, anche se non può contare su un pulpito da opinionista neo-conservatrice. Questa primavera c’è stata Susan Patton, una manager di successo laureata a Princeton nel 1977, che si rivolgeva – tramite lettera aperta – alle giovani signore iscritte allo stesso college, e le invitava a sposare i compagni di corso. Se possibile, il giorno dopo aver ricevuto il diploma. «Non troverete mai uomini migliori di loro», scriveva: poi imputava il fallimento del proprio matrimonio all’essersi sposata tardi – a trent’anni – e con un tizio che non era andato a Princeton. Se la sua lettera è stata ripresa dai giornali di tutto il mondo (magari accompagnata da commenti alla «c’è sempre chi sta peggio di te… pensa avere Susan Patton come suocera»), questo è dipeso da un dato di realtà editoriale: gli approfondimenti sulle donne, anche in contesti chic e rispettabili, tendono a gravitare su un solo argomento. Marito vs. Tutto il Resto. E vince il marito, specialmente se in absentia. «Non si può avere tutto», ripetono le ex donne indipendenti. «Credevo di poter essere l’eccezione, io, invece sono rimasta sola». E in sottofondo, il mantra: Non commettete i miei stessi errori.
Se gli errori del caso fossero «farsi il tatuaggio del proprio nome in cinese», oppure «affittare un appartamento senza averne prima visto mezza foto sfuocata», queste post-Susanne Agnelli sotto peggiori spoglie potrebbero almeno appoggiarsi sull’aneddotica spicciola, e risulterebbero un po’ meno prescrittive, un pochino più reali. Invece, purtroppo, una ex donna indipendente mitizza i fantasmi nel suo specchietto retrovisore: i matrimoni e i figli delle altre, le famiglie di una volta e le vite non vissute. E quindi lei gioca al ribasso. E torna tanto comoda ai fautori dei valori tradizionali, che lei ci creda davvero o meno, al verbo che predica.
Dal numero 14 di Studio
Nell’immagine: una trasposizione fotografica del quadro American Gothic
(JOEL SARTORE/National Geographic Creative Royalty Free)