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Sapper, artista dell’elettrodomestico

Morto il primo gennaio, è stato l’inventore degli oggetti più drammatici e poetici delle nostre case e il padre di uno status symbol degli '80.

di Michele Masneri

IMAGES_697_5159d7498c964«Di designer ne nascono solo tre o quattro in un secolo!». Non ci sarà un Moravia del Compasso d’oro al funerale di Richard Sapper (1932-2015), sublime disegnatore bavarese-milanese che se n’è andato la notte di Capodanno, anche con un piccolo giallo: la morte, annunciata dalle edizioni Phaidon, per sostenere forse una imminente monografia, poi rilanciata dal magazine Dezeen, infine confermata solo dopo 24 ore dalla famiglia.

È stato l’inventore degli oggetti domestici più drammatici e poetici delle nostre case: prima negli anni Sessanta per Brionvega la radio Ts502, detta Cubo, poi sempre per l’azienda italiana il televisore Algol, schermo stondato e arrotondato e linee inclinate (Zanuso lo paragonava a un cagnolino che guarda in alto verso il proprio padrone); poi soprattutto la lampada-simbolo degli anni Ottanta, la Tizio di Artemide. Tutti finiti nella collezione permanente del Moma, e per la sua curatrice, Paola Antonelli, «lo status symbol definitivo degli anni Ottanta», la Tizio che «era in ogni loft yuppie e nei film di Gordon Gekko», ed effettivamente è nella casa aspirazionale di Bud Fox in Wall Street del 1987 insieme alla Pastamatic. Nera e geometrica e aggressiva, la Tizio sta agli anni Ottanta come poi la Tolomeo di alluminio e morbida ai Novanta. Oltre ad essere una delle prime lampade alogene – che all’epoca faceva assai fino – la Tizio aveva come tutti gli oggetti di Sapper una trovata umanizzante, un funzionalismo temperato dal romanticismo che forse derivava dalla sua germanicità del sud.

IMAGES_631_5159d34c0ae91Lampada da scrivanie di cumenda che non devono chiedere mai, aveva, oltre a un equilibrio e una postura da mantide religiosa coi suoi bilancieri in bilico, il meccanismo geniale d’essere smontabile su perni rossi, ma soprattutto la corrente non passava per fili ma abbattuta da un pesante trasformatore saliva poi direttamente verso le aste. L’elettricità a bassa tensione era un’idea che veniva dall’industria automobilistica e dal lavoro di Sapper alla Mercedes, dove aveva iniziato, al centro stile di Stoccarda (poi venne a Milano, prima la collaborazione con Gio Ponti, poi con la Rinascente, e ancora con Marco Zanuso).

A segnare un’epoca e le sue scrivanie, anche il computer portatile Ibm Thinkpad, scatola squadrata «come una scatola di sigari» con un piccolo punto di colore, rosso (anche lì, l’umanizzazione: aneddoto raccontato a Domus, il rosso non era previsto dagli americani di Ibm, lui si impunta e sceglie per il trackpoint lo stesso rosso dei giunti della Tizio, ma è un colore che in Germania viene usato solo per comunicazioni legate all’emergenza, lui se ne fotte, alla fiera di Hannover, dove il computer viene presentato, la polizia lo sequestra).

Poi, come nei cursus honorum di tutte le divinità da Abitare, diverse teiere e caffettiere fondamentali per Alessi (non azzeccando però il bollitore-bestseller, che fu invece quello di Michael Graves con l’uccellino, e quello sapperiano con fischietto barocco d’ottone rimase di nicchia), e una macchina per espresso esageratamente monumentale con cupole e cilindri tipo museo di Mario Botta.

Funzionalista macho, maschio alfa dei designer sull’asse del Brennero, Sapper era nato nel 1932 come l’altro campione tedesco dell’elettrodomestico artistico, però bianco e minimalista, Dieter Rams. Anche lui tedesco, ma di Wiesbaden, molto più a nord, Rams preferiva candori virginali, al massimo l’alluminio, fondando dinastie di oggetti lattiginosi a partire da uno stereo celebre Braun Sk55, detto anche “la cassa da morto di Biancaneve”, sintesi di candore etereo e scuola di Ulm, e poi una serie di elettrodomestici per il gruppo di cui è stato per decenni capo del design. Rasoi e calcolatrici e radiosveglie da manuale, Bauhaus da camera con uso di cucina, però Sapper era più poliedrico avendo disegnato anche poltrone e auto e telefoni.

«Rams ha lavorato cinquant’anni per la stessa azienda, io mi sarei annoiato»

IMAGES_572_5159d12ff225bCi fu anche un momento di guerriglia tra i due; nel 1971, con le sveglie espressioniste Sandwich disegnate per Ritz-Italora da Sapper e la lunga serie di svegliette Braun iniziate nello stesso anno da Rams (per Sapper, la solita trovata, la sveglia si spegneva pigiandola, come un sandwich, appunto. Per Rams, innovazione e rigore, si poteva far cessare l’allarme con un comando vocale).

«Rams ha lavorato cinquant’anni per la stessa azienda, la Braun», ha detto del collega in un’intervista, «io mi sarei annoiato». Rams è stato più un teorico, ha sintetizzato la sua filosofia nei suoi 10 punti celebri, e il suo minimalismo a 220 volt è stato plagiato o omaggiato lattiginosamente dalla Apple (Jonathan Ive, seguace, ha scritto anche la prefazione a una monografia sul gran capo del disegno Braun). Però Steve Jobs aveva proposto a Sapper e non a Rams di andare a dirigergli il design. Ma il prescelto ebbe a dire: «Che ci vengo a fare in California, con tutto quello che ho da fare qui a Milano?» (forse inopinatamente, prima degli effetti-Expo e delle Darsene, pentendosi una volta saputi gli ingaggi).

 

Tutte le immagini sono tratte da richardsapperdesign.com