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Perché Putin si ritira dalla Siria

Lunedì Vladimir Putin ha annunciato che avvierà in tempi rapidi un ritiro parziale delle truppe russe dalla Siria, dove sono impegnate in una complessa guerra civile al fianco del regime di Bashar al-Assad (le altre forze in campo sono i ribelli, i curdi, l’Isis, Iran, Turchia, Arabia saudita e una coalizione internazionale anti-Isis: qui si spiega chi sta combattendo contro chi). L’annuncio del Cremlino è arrivato mentre a Ginevra stava iniziando un nuovo round di colloqui di pace per porre fine alla guerra civile.

Perché Putin si ritira dalla Siria? Perché proprio adesso? È importante? Sulle testate internazionali sono apparse molte analisi. Quella di Max Fisher, ex commentatore di esteri per il Washington Post, su Vox si distingue però per chiarezza e profondità. Potete leggerla in inglese qui, noi vi proponiamo un breve riassunto punto per punto.

Sul perché il ritiro sia stato annunciato adesso, Max Fisher concorda con la stragrande maggioranza degli analisti: banalmente, l’inizio dei negoziati a Ginevra rappresenta un buon momento. Sulle implicazioni del ritiro, però, fa un’analisi interessante. Ritirandosi adesso, Putin sta mandando un messaggio al suo “protetto” Assad (che peraltro pare sia stato informato quasi all’ultimo): gli sta dicendo che la Russia sta dalla sua parte ma non è disposta a dissanguarsi per lui.

Lo status quo va bene al Cremlino, mentre Assad e l’Iran puntano (probabilmente illudendosi) alla vittoria. «La Russia ha un ascendente limitato sul regime Assad, che si è dimostrato imprudente e che ha incrementato i combattimenti anche quando non c’era una necessità strategica», scrive Fisher. «Se Mosca davvero vuole congelare lo status quo in Siria, deve convincere Assad a negoziare sul serio». Il modo più efficace per incentivarlo è ritirare le truppe.

Nell’immagine: gadget propagandistici ad Aleppo (JOSEPH EID/AFP/Getty Images)