“Il calciatore misterioso”, forse, suona un po’ male in italiano. Sembra uno scherzo, un gioco, un finto-format per prendere in giro una qualche strampalata vecchia storia del mistero. Eppure è la traduzione letterale di “the secret footballer”, titolo originale del libro inglese. Non conoscevo nessun calciatore misterioso fino a pochi giorni fa, prima di scoprire il libro appena pubblicato (il 28 marzo) da Isbn Edizioni, fresco di uscita inglese per Guardian Books (segnalazione importante: il ricavato dalle vendite e-book verrà devoluto alla Fondazione Vialli e Mauro). Il calciatore misterioso è, dunque, un calciatore. Da un anno e mezzo tiene una rubrica sul Guardian in cui alterna aneddoti, sfoghi, retroscena, opinioni e lezioni di tattica. Tutto sul calcio, e sul gigantesco carrozzone che gira intorno al calcio. Perché se per noi, gli spettatori, il calcio è sinonimo di domenica, di novanta minuti, forse di qualche ora il giorno prima o il giorno dopo per accumulare tensione o smaltire la gioia e la delusione e gli sfottò, per un protagonista il calcio è tutto: passione, lavoro, vita pubblica e, troppo spesso, vita privata.
Intorno al calciatore misterioso c’è molta morbosità e molto marketing, e il segreto del successo della rubrica sta tutto qui: gli scommettitori alzano e abbassano le quote sulla sua reale identità, le interviste in radio sono una vetrina per captare il più piccolo dettaglio (ma la voce è sempre modificata), il Guardian stesso ha pubblicato video ammiccanti e provocanti per eccitare la curiosità. Curiosità e non sgomento (pare che l’ex Liverpool Danny Murphy sia attualmente il candidato numero uno, ed è verosimile: il calciatore misterioso è a fine carriera, ha giocato certamente in Premier League, in Nazionale, ha vinto dei premi come calciatore dell’anno, è stato uno dei migliori giovani della sua generazione e ha sprecato buona parte del suo potenziale talento) dominano nella lettura del libro, perché i retroscena svelati non sono le sconvolgenti dichiarazioni di un pentito che finalmente porta agli occhi del mondo su un vassoio d’argento un panorama fatto di droghe, doping, anti-depressivi, prostituzione d’alto bordo, partite truccate, vendute, aggiustate.
Gli anti-depressivi, per un venticinquenne in grado di affittare un jet privato per volare a Las Vegas e spendere centomila sterline, sono perfettamente normali.
Aspetta, aspetta un attimo. Il calciatore misterioso effettivamente parla di prostituzione d’alto bordo, di anti-depressivi, di partite aggiustate, di colossali bevute e follie collettive (non di doping, però). E allora perché non scandalizza? Perché le fondamenta del mondo del calcio o della società civile che intorno al calcio ruota non sono scosse da un terremoto di rivelazioni? Perché presenta tutto questo per quello che è nell’ordine della vita di un essere umano, possibilmente ricco e giovane e molto libero: la normalità. Non fate quelle facce: la prostituzione, vale a dire offrire parecchi giri di champagne a quella ragazza giovane e carina e lasciarle una generosa mancia la mattina dopo (quando non è lei a prendersela dal portafogli, di sua iniziativa e senza chiedere il permesso) è perfettamente normale. Le droghe sono normali. Le colossali bevute collettive e le conseguenti follie, ragazzate, sciocchezze: normali. Le partite aggiustate, se per aggiustate intendiamo regalare la prima rimessa laterale della partita all’avversario (è una delle scommesse tra calciatori più diffuse) o l’applicazione molto poco scandalosa del detto, invece, molto saggio e veritiero “meglio due feriti che un morto”: normali. Gli anti-depressivi, per un venticinquenne in grado di affittare un jet privato per volare a Las Vegas e spendere centomila sterline quando fino a due anni prima non si sarebbe potuto permettere nemmeno un paio di scarpe nuove per sostituire quelle Nike bucate con si ostinava a giocare a calcio nei dintorni di casa: normale, normale, normale. E anche un tantino cliché.
Io sono il calciatore misterioso è in definitiva una raccolta di aneddoti di vita vissuta su un campo da calcio e fuori, tra pressioni di media scandalistici, tradimenti e scappatelle, vacanze a Dubai, scommesse ippiche milionarie, Ferrari distrutte e scazzottate con colleghi e tifosi. È il miglior manifesto da sbattere in faccia al moralismo che vuole i calciatori come esempi di etica pubblica (la morbosità mediatica per ogni azione di un Mario Balotelli, ad esempio), come eroi nazionali, guide comportamentali. È un’esaltazione dell’ordinarietà, del relativismo monetario, uno smascheramento dell’invidia che si nasconde dietro ogni indignazione. Cosa deve scandalizzare di più: un ventenne che passa la notte con tre ragazze, su una macchina di lusso e in un hotel a cinque stelle, o un presidente pronto a versare quarantamila sterline a settimana a un mediocre impiegato della fascia destra, mandando alla lunga un club (che, non dimenticatelo, è una società, una ditta, un’azienda, con un azionariato popolare soltanto emotivo e non economico) in bancarotta? Perché il calcio è la panacea di sfogo dell’opinione pubblica per le disuguaglianze sociali del mondo occidentale? Il calciatore misterioso, come me, non lo sa. Ma dice chiaramente: non è giusto. E, nella sua straordinaria normalità di essere umano, domanda a tutti gli ipocriti lettori, suoi simili: voi, al mio posto, cosa avreste fatto?