Ogni anno torna in mente il nome di alcuni giornalisti italiani che, in quanto stampa estera negli Stati Uniti, votano per i Golden Globe, e dunque ci si ricorda che non bisognerebbe prendere troppo sul serio quelle sferette dorate. Finisce che comunque li si guarda, li si commenta, li si posta (stavolta meno, il day after ci si è svegliati con la morte di David Bowie). Lo si fa un po’ perché va così da sempre, e non vorremo mica cambiare le abitudini, un po’ perché si confida nella civiltà altrui che ci ha appena raccontato Checco Zalone: esisterà pure un giornalista norvegese che sa l’inglese, vede i film e vota assennatamente.
Va poi sempre come da previsione per ogni annata che dio manda in terra, senza alcun margine di sorpresa. Ci sono i monologhisti irriverenti, come scriveranno poi i commentatori, che aprono lo spettacolo: anche stavolta c’era Ricky Gervais, che ha irriverentemente (appunto) citato el Chapo e Caitlyn Jenner e le fregole sulla parità di salario a Hollywood. Ci sono i vestiti sempre brutti, i siparietti brillanti, i globi a film scarsi, i telefilm premiati che sono sempre i più sopravvalutati (quest’anno Mr. Robot, miglior serie drammatica) ma che al contempo fanno sentire gli americani ogni volta un po’ più colti, e se glielo dice qualche europeo o terzomondista sono ancora più contenti. C’è sempre la stessa roba, ma i Golden Globe cadono così strategicamente, nel pieno della cosiddetta Awards Season (“stagione dei premi”, tradotto per la nostra stampa a Los Angeles) e a pochi giorni dall’annuncio delle candidature ai successivi premi Oscar (questo giovedì; la cerimonia sarà il 28 febbraio), da meritarsi tutti i fondi, i blog, i tweet, la fashion police di questa terra.
L’importante è sospendere per qualche ora l’incredulità, dimenticare che in passato sono stati candidati ai Globe titoli ignobili
L’importante è sospendere per qualche ora l’incredulità, dimenticare che in passato sono stati candidati ai Globe titoli ignobili pur di aver garantito un buon red carpet. Nulla batterà il caso The Tourist, nominato come miglior film commedia/musical (la doppia categoria – l’altra è «drama» – e di conseguenza il doppio numero di star candidabili spesso a muzzo è un altro dei nonsensi del premio) e per le interpretazioni di Johnny Depp e Angelina Jolie. Che, siamo tutti d’accordo, bastano da soli a rendere rilevante qualunque tappeto rosso, ma The Tourist era, senza troppi giri di parole, un film di merda.
L’importante è sospendere l’incredulità, dimenticare che quest’anno Lady Gaga ha vinto come «miglior attrice in una miniserie o film tv» per il tremendo American Horror Story: Hotel, maledetto il giorno che Hollywood ha incontrato Ryan Murphy. La signorina è volenterosa, ha detto nel discorso di ringraziamento che il suo sogno era fare l’attrice e non la cantante/autoinstallazione, ma si capisce che il premio vale più per le foto e i titoli generati a catena che per il vero contributo alla storia della televisione, altrimenti da noi Manuela Arcuri avrebbe dovuto vincere tutto.
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