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Aggiustare Facebook? No, meglio inventare nuovi social network

Aggiustare Facebook, insomma renderla più rispettosa della privacy, a questo punto è impossibile, meglio creare nuovi social network: questa è la proposta di Tim Wu, esperto legale che insegna alla Columbia ed editorialista del New York Times, nella sua ultima column. Wu, ovviamente, parte dal caso di Cambridge Analytica, sostenendo che si tratta solo dell’ennesimo episodio di un trend e che il problema sta proprio nel modello Facebook: «Non stiamo parlando di un po’ di errori qua e là. I problemi sono centrali e strutturali, conseguenze dirette del modello di business. Dal giorno stesso in cui ha cercato profitti, Facebook ha messo la crescita davanti ad ogni altro obiettivo, massimizzando la raccolta dei dati e dell’attenzione».

Facebook è senza speranza di redenzione, però, ammette Wu, dei social network non possiamo fare a meno. Dunque occorre trovare un successore. La priorità, scrive, è che non sia un “data-hoarder”, un’altra creatura il cui obiettivo principale è raccogliere in massa i dati dei suoi utenti, il che significa che vanno scartati Google Plus e affini: «Se abbiamo imparato qualcosa nell’ultimo decennio, è che i modelli basati sulla pubblicità e raccolta dati sono incompatibili con un social network di cui ci si possa fidare. I conflitti sono enormi, e la pressione ad accumulare dati e promettere di tutto agli inserzionisti è irresistibile persino per chi ha buone intenzioni».

Facebook headquarter

Allora come costruire un social network con obiettivi diversi? Wu propone due modelli. Il primo è un social network a pagamento, in cui gli utenti paghino una piccola cifra, magari 90 centesimi al mese: in un’era dove sempre più cose sono gratis, scrive, può sembrare un’idea bizzarra, però un social network a pagamento sarebbe un incentivo per rispettare la privacy degli utenti. Wu non lo cita, ma il suo ragionamento rimanda al famoso adagio per cui, quando non paghi, la merce in vendita sei tu. Un altro possibile modello, prosegue, potrebbe essere un social network gestito da un’associazione senza scopo di lucro, come già succede con Wikipedia. L’intero editoriale può essere letto qui.

Foto Getty