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Gli uomini antichi non conoscevano il blu

La vista dell’uomo riesce a percepire uno spettro molto ampio di colori: grazie a tre tipi di fotorecettori presenti sulla rètina dell’occhio, sono milioni le combinazioni cromatiche che possiamo distinguere. Eppure, alcuni studi riportati su Business Insider nel 2015 e recentemente riproposti da Science Alert rivelano che non è sempre stato così. I nostri antenati (parliamo di antichi Greci, Arabi ed Ebrei) sembra che non conoscessero il colore blu. Le ricerche sulla percezione dei colori lo avevano già notato nel 1800, quando lo studioso William Gladstone notò che nell’Odissea si parla di un oceano “scuro come il vino” e di altre sfumature lontane dalla definizione di blu. Gli studi sono continuati ad opera del filologo Lazarus Geiger, che studiò le lingue antiche hindu, cinesi ed ebraiche, non trovando alcuna menzione del colore. La prima civiltà a parlare del blu fu quella degli Egizi, che usava tinture blu per trucchi e affreschi.

Il fatto che non ci sia una parola per il blu non vuol dire però che gli antichi non potessero vederlo affatto. La questione è stata sollevata dallo psicologo Jules Davidoff, che nel 2006 condusse degli esperimenti cromatici all’interno della comunità Himba, in Namibia. Davanti a un serie di 11 quadrati verdi tra cui uno blu, gli indigeni non riconoscevano l’intruso immediatamente. Neanche loro riescono a descrivere il blu: semplicemente, la loro lingua non designa in maniera univoca quella che per loro è solo una sfumatura del verde. Un altro studio del MIT nel 2007 ha mostrato che la lingua russa usa due parole diverse per il blu chiaro (“goluboy”) e per il blu scuro (“siniy”), portando chi parla la lingua a riconoscere le due sfumature più velocemente. Tutte queste ricerche ci portano a pensare che l’uomo, finché non ha avuto una parola per descriverlo, non si è accorto del colore blu. Se ci pensiamo bene, non è così assurdo: a parte il cielo, è raro trovare in natura elementi di quel colore.

Foto: affresco di Karl Friedrich Schinkel per il “Salone delle stelle nel palazzo della Regina della Notte”, 1815; affresco per la tomba di Amon-er-khephesef, Valle delle Regne, Luxor