Attualità

30 anni di Velluto Blu

Mentre a New York si celebra il trentennale del capolavoro di Lynch, un estratto che fa capire come si parlava del film quando uscì.

di Jeffrey Ferry

Dal 25 al 31 marzo al Film Forum di New York viene proiettata, in occasione dei 30 anni dall’uscita del film (il 19 settembre 1986), una versione restaurata di Velluto Blu. Qui di seguito pubblichiamo un pezzo estratto dalla raccolta di articoli Perdersi è meraviglioso (minimum fax 2012), firmato dal giornalista Jeffrey Ferry e pubblicato nel 1987 su The Face

Nessun film recente ha diviso così tanto l’opinione pubblica. Velluto blu, in cui Isabella Rossellini è sottoposta a scene di sconvolgente degradazione sessuale, si preannuncia come il film più discusso, e per alcuni morboso, degli ultimi anni. Il regista David Lynch non smette mai di provocare.

Al New York Film Festival, lo scorso ottobre, nella cacofonia cosmopolita dell’hotel (un lussuoso orrore in stile rinascimentale) che per una settimana fungeva da quartier generale non ufficiale dell’industria cinematografica, vengo fermato bruscamente da una delle agenti più importanti della città. «Devi assolutamente vedere Velluto blu», mi sibila, affondandomi nell’avambraccio gli artigli rossi per meglio rimarcare il concetto. «Ne stanno parlando tutti. È il film più discusso degli ultimi anni». Poi si ritrae di scatto, indubbiamente per partecipare all’ennesima riunione e firmare un altro contratto milionario.

coverNessun altro film moderno ha diviso l’opinione pubblica statunitense quanto il sorprendente thriller a basso costo di David Lynch. A ogni proiezione di questa scioccante storia di omicidi, violenza e sadomasochismo ambientata nella bucolica provincia americana, almeno un pugno di spettatori esce dalla sala a metà del film.

Altri lo adorano. Secondo Newsweek, a Chicago un cardiopatico che guardava Velluto blu è svenuto, è stato portato di corsa in ospedale per farsi regolare il pacemaker, e poi riportato al cinema in tempo per il finale. I critici Roger Ebert e Gene Siskel, che recensiscono i film in una sorta di numero alla «poliziotto buono e poliziotto cattivo» durante il Tonight Show, si sono trovati in disaccordo più che mai. Ebert ha definito Velluto blu «uno dei film più morbosi mai realizzati», mentre Siskel lo ha decretato uno dei dieci migliori dell’anno.

Velluto blu è un film di formazione. Narra la storia di un giovane che scopre le forze e le emozioni nascoste appena sotto la superficie nella sua famiglia, fra i suoi amici e nel vicinato. Secondo il regista e sceneggiatore David Lynch tali forze comprendono l’amore, l’odio, l’omicidio, la perversione, la corruzione e la degradazione. Velluto blu è una sorta di viaggio interiore nella terra del Peccato Originale.

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«L’unica cosa da dire riguardo a tutte le polemiche», dichiara Lynch, cedendo finalmente alle mie insistenze, «è che la gente dovrebbe chiedersi se ho inventato tutto quanto o se ci sono esempi di cose del genere nella vita reale. E ce ne sono un’infinità. Quindi perché ci si scandalizza tanto vedendole in un film?».

Con un ciuffo di lucenti capelli castani che gli ricade sulla fronte, occhi tondi e penetranti, una camicia bianca abbottonata con cura fino al collo e una voce nasale dal tono perennemente stupito, Lynch è americano fin nel midollo. Basta guardarlo per trenta secondi per capire che il giovane protagonista del film – il giudizioso, curioso, intelligente studente universitario Jeffrey – è una creazione assai autobiografica.

Lynch difende il suo personaggio più controverso, la sadomasochista Dorothy. «La gente si caccia in ogni genere di situazioni strane e, per quanto possa sembrare incredibile, ci prova gusto. Potrebbe tirarsene fuori, ma non lo fa, per un sacco di motivi che appartengono alla psichiatria».

Dennis Hopper nei panni di Frank ci regala uno dei più raggelanti, terrificanti maniaci omicidi mai visti sullo schermo. Relegato per anni a ruoli da «ubriacone drogato» (parole sue), Hopper ritorna con un’interpretazione destinata a fare la storia del cinema tanto quanto il Norman Bates di Tony Perkins.

«Un giorno mi ha chiamato Dennis Hopper», racconta Lynch, «dopo aver letto il copione. Mi ha detto: “David, devi darmi la parte di Frank, perché io sono Frank”. La cosa mi ha spaventato a morte». Parlando di Frank ci sembra di cogliere una delle possibili motivazioni di Lynch nel realizzare Velluto blu.

«Per me Frank è un tipo che gli americani conoscono bene», dichiara. «Sono sicuro che quasi tutti crescendo hanno incontrato qualcuno come lui. Magari non gli avranno stretto la mano né ci saranno andati a bere insieme, ma quando incontri una persona del genere basta scambiarsi uno sguardo per capire che tipo è».

Secondo Lynch, Frank non è tanto malvagio quanto deviato. «Frank è totalmente innamorato. È solo che non sa come dimostrarlo. Sarà anche in preda a passioni strane (sesso sadico con ruoli incestuosi, omicidi, sventramenti, inalazione di elio, spaccio di droga e omosessualità latente, solo per citarne alcune), ma è pur sempre motivato da sentimenti positivi. Velluto blu è una storia d’amore».

David Lynch ama rievocare il suo primo incontro con Isabella Rossellini. L’attrice gli era stata presentata al ristorante da un comune amico durante i casting di Velluto blu. Colpito dalla sua serena bellezza europea, le disse: «Potresti essere la figlia di Ingrid Bergman». «“Idiota”, mi fa il mio amico», ricorda Lynch, «“lei è la figlia di Ingrid Bergman!”».

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Tratto da David Lynch, Perdersi è meraviglioso. Interviste sul cinema (a cura di Richard A. Barney), minimum fax, titolo originale: David Lynch Interviews, traduzione di Francesco Graziosi © University Press of Mississippi, 2009 Published by agreement with University Press of Mississippi, 3825 Ridgewood Road, Jackson, MS 39211.
In copertina: il regista nel 1987 a Los Angeles (Hector Mata/AFP/Getty Images).
In testata: A Marrakech nel 2002 (Abdelhak Senna/AFP/Getty Images).