Perché le elezioni francesi, olandesi e tedesche ci riguardano tutti
Fra una settimana si vota in Olanda, fra un mese e mezzo in Francia, fra 6 mesi in Germania. Quali sono gli schieramenti da cui dipende il futuro dell’Europa.
Basta aprire le homepage o guardare le prime pagine di gran parte dei media globali, grandi e piccoli, specializzati e non, per capire che le elezioni politiche di alcuni fra i principali Paesi europei che si svolgeranno nel 2017 travalicano la sfera dell’interesse politico nazionale e assumono lo status di vere e proprie consultazioni elettorali in cui ci si gioca una buona fetta del destino dell’Unione europea e quindi, di conseguenza, degli equilibri globali futuri. La prossima settimana si vota in Olanda, fra un mese e mezzo in Francia, a settembre in Germania. Con le differenze e le peculiarità dei singoli Paesi e le sfumature delle relative proposte politiche – che raccontiamo più avanti – si scontrano nelle diverse urne, ancora più che in passato, due visioni del mondo contrapposte e in antitesi: una che vuole ridare forza a parole come apertura, globalizzazione, Unione europea, e una che crede che il futuro dei cittadini europei debba saldamente tornare in mano a poteri, confini ed economie nazionali. È un discorso che ci riguarda tutti e mai come oggi il risultato di un paese può influenzare la vita dei cittadini degli altri. Sarà un tema che seguiremo con particolare attenzione anche e soprattutto per questo motivo. Di seguito trovate una prima descrizione in tre punti degli schieramenti in campo in Germania, in Francia e in Olanda.
Merkel contro Schultz contro Peutry, i tre schieramenti globali si sfidano in Germania
I primi a votare, il prossimo 15 marzo, saranno i cittadini olandesi. Qui il sistema politico ed elettorale è di tipo proporzionale e, fra partiti tradizionali e nuovi movimenti, sono almeno 13 le forze politiche che possono aspirare a un posto in Parlamento. Il protagonista assoluto, declinazione locale dello schieramento nazionalista e populista globale nonché in qualche modo suo precursore (ha fondato il suo partito nel 2006, Politico l’ha definito «l’uomo che ha inventato il trumpismo»), è quel Geert Wilders capace di portare il suo Pvv in testa a tutti i sondaggi. Il sistema politico, come dicevamo puramente tradizionale, difficilmente gli permetterà di arrivare al governo, anche perché il principale partito conservatore, il Vvd del premier uscente di Mark Rutte, il quale si gioca il primo posto alle elezioni col Pvv, ha dichiarato più volte la sua totale indisponibilità ad appoggiare un governo con Wilders e i suoi. Da registrare la crisi del Pvda, il maggior partito del centrosinistra, dato ai minimi storici dai sondaggi.
Il tema, però, è più largo dei singoli destini del governo nazionale olandese: un’affermazione larga di Geert Wilders in un Paese storicamente europeista come l’Olanda (uno dei fondatori dell’Ue), metterebbe in discussione i principi sui quali si fonda l’Europa in un luogo simbolico, e molti pensano che a quel punto potrebbe tornare in auge la possibilità di chiamare ad esprimersi i cittadini in un referendum sulla permanenza nell’Unione europea. Sarà dunque l’Olanda, la settimana prossima, il primo termometro dello stato di forma degli schieramenti globali in campo. La prima tornata elettorale di una serie mai come oggi decisiva per il nostro continente.