Attualità

Le industrie del futuro

Per il nuovo numero (in edicola da mercoledì 9 marzo) abbiamo incontrato Alec Ross, uno dei massimi esperti di politiche tecnologiche. Dialogo sui prossimi vent'anni.

di Federico Sarica

Quest’intervista è tratta dal nuovo numero di Studio, in edicola da mercoledì 9 marzo, in cui troverete inoltre un dialogo esclusivo fra lo stesso Alec Ross e Federico Marchetti di Yoox-Net-A-Porter.

 

ROSSAlec Ross è uno dei massimi esperti mondiali di politiche tecnologiche. È stato consigliere dell’innovazione di Hillary Clinton, quand’era segretario di Stato nell’amministrazione Obama. Dopo aver lasciato il settore pubblico, si è dedicato alla consulenza per aziende e organizzazioni private e all’insegnamento universitario. Ha da poco dato alle stampe The Industries of The Future, libro che cerca di immaginare i prossimi vent’anni di innovazione tecnologica. Studio l’ha raggiunto al telefono per chiacchierare di questi temi.

Federico Sarica: The industries of the future è un libro di tecnologia con una caratteristica: è scritto per tutti. Aziende, governi, studenti, giovani, famiglie. Perché pensi sia importante oggi e come hai trovato un linguaggio comune a tutti per parlare di temi così specifici?

Alec Ross: Il mondo negli ultimi vent’anni è stato segnato in maniera significativa dalla digitalizzazione e da Internet, e le persone, i governi e le aziende che l’hanno capito per tempo, sono stati i vincitori, anche economici, di quest’epoca. Quelli che non l’hanno capito sono i perdenti economici. Penso anche all’Italia: una grande potenza agricola, una grande potenza industriale, non una potenza dell’Information Age. Questo perché ci ha messo troppo a capire il potenziale del digitale. Ho scritto questo libro proprio per provare ad allargare la comprensione di cosa succederà da adesso in poi. Ci sono campi nuovi che si aprono oggi e che avranno un impatto forse superiore a quello di Internet secondo me. Invece di parlare a élite ristrette, che controllano questi campi, volevo scrivere qualcosa di accessibile a tutti. È stato un processo difficile: alla prima stesura il libro conteneva circa 200 mila parole in un linguaggio molto tecnico, mi sono preso un anno e mezzo per ridurlo a 80 mila parole, usando storie per renderlo accessibile e divertente.

FS: Nel libro teorizzi che il nuovo dualismo politico e sociale è fra apertura e chiusura, che sono concetti che descrivono meglio la contemporaneità rispetto a destra e sinistra. L’immigrazione, i temi economici, il lavoro, la società: tutto passa da una scelta di apertura o di chiusura. Quanto l’innovazione, seguendo il tuo schema, può essere un elemento chiave in questo nuovo dualismo? Cosa l’innovazione può fare per la politica e viceversa?

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Una delle due cover del nuovo numero di Studio, da cui è tratta questa intervista

AR: La creazione di lavoro e di ricchezza nei prossimi vent’anni sarà guidata dall’innovazione. I Paesi che creeranno le precondizioni necessarie, un mercato del lavoro flessibile, una società più aperta, saranno la guida per i processi di innovazione. Puoi investire tutti i soldi che vuoi in tecnologia innovativa, ma se la tua società è chiusa, non funzionerà. Prendi la Russia: hanno speso molti soldi per implementare quella che pensavano sarebbe diventata la loro Silicon Valley, Skolkovo, ma il progetto non è decollato. Non sono mancati né i soldi né il sostegno del governo; è mancata una cultura, un ecosistema che consolidasse l’innovazione. Dall’altra parte, prendi la Corea del Sud, uno dei grandi innovatori del mondo; lì trovi un ambiente molto aperto che rende facile fare impresa in questi campi più avanzati.

FS: Parlando di innovazione, ci sono due grandi questione aperte: una è il rapporto fra i grandi colossi privati del tech, Google, Facebook, eccetera, e gli Stati nazionali; l’altra è il grande numero di posti di lavoro persi che, sostengono in molti, la disruption sta provocando come effetto tutt’altro che collaterale…

AR: Il rapporto fra le cinque grandi – Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft, le cosiddette platform company – e il governo americano, per il momento direi che è per due terzi buona e per un terzo cattiva. Una ricerca su Google, un download da iTunes, un post su Facebook: lavorare su un servizio o su un prodotto basato su un network globale e farlo coesistere con le regole di circa duecento Stati sovrani, non è una cosa facile. Devo dire che la maggior parte delle volte simpatizzo con queste aziende, ne capisco le ragioni; altre volte però è innegabile che stiano chiedendo troppo ai singoli governi dei singoli Paesi. Riguardo agli attriti fra Google, Amazon, per esempio, e l’Europa, credo che sia il classico caso in cui i legislatori a Bruxelles, o a Berlino, stiano sbagliando tutto, non conoscono le nuove esigenze del settore. È inutile punire i grandi disruptor globali; si chiedano piuttosto perché si fa fatica nei loro Paesi a far nascere dei competitor locali. Se ai tedeschi non piace Google, lavorino per far nascere la Google tedesca. Lo trovo un atteggiamento arrogante che finisce per danneggiare i cittadini. Per quel che riguarda il lavoro, il tema è complicato, non ci sono dati certi o prove evidenti. È una storia che si ripete: a inizio del ‘900 assistemmo alle proteste contro l’invenzione dei telai perché toglievano lavoro a chi intrecciava a mano; cent’anni fa, in America, il 40% dei lavoratori erano agricoli, oggi sono il 2%, ma i posti di lavoro totali sono di gran lunga aumentati, per non parlare di come è migliorato il sistema agricolo.

The Industries of The Future, Il libro di Alec Ross (che dovrebbe uscire in Italia prossimamente per Feltrinelli) è diviso in sei capitoli, che lo stesso Ross ci ha descritto brevemente così:

1) Here come the robots: I robot dei film e dei cartoni animati degli anni ’70 saranno realtà negli anni ’20 di questo secolo. Avranno fattezze più umane rispetto al nostro immaginario. Mancano una decina d’anni, ma ci stiamo arrivando.

2) The Future of The Human Machine: Siamo all’alba di alcune innovazioni in campo scientifico che ci permetteranno di vivere meglio e più a lungo. La sfida vera sarà rendere il più possibile accessibile a tutti gli avanzamenti in questi campi.

3) The Code-ification of Money, Markets, and Trust: L’applicazione del coding in campo economico spezzerà monopoli secolari, darà a tutti nuove opportunità di creare nuovi business da zero, e di ricevere, spendere, incassare, trasferire denaro.

4) The Weaponization of Code: Il coding applicato alle grandi sfide di politica internazionale. Da un lato creerà nuove opportunità, dall’altro potrà essere usato come arma, portando nuove sfide e nuove emergenze nel campo bellico e della sicurezza dei cittadini.

5) Data: The Raw Material of The Information Age: I campi erano la materia prima dell’era agricola, il ferro di quella industriale, i dati sono la materia prima di quest’epoca. Ci sono 16 miliardi di device connessi nel mondo oggi; entro il 2020 diventeranno 40 miliardi. Con pro e contro.

6) The Geography of Future Markets: Negli ultimi vent’anni alcune parti del mondo sono cresciute molto, altre sono andate molto male. Quali sono le caratteristiche per farcela nei prossimi venti? La questione femminile sarà centrale, così come un ambiente favorevole al fare impresa.