Attualità

Giorgia e i draghi

Coraggiosa e insicura, protégée della destra, parricida. Giorgia Meloni, femminista atipica con una passione per il fantasy, secondo chi la conosce.

di Davide Piacenza

Con questo articolo iniziamo una serie di profili dedicati ai protagonisti delle prossime competizioni elettorali comunali a Roma, Milano, Napoli e Torino.

 

«Vorrei dalla vita tutto il possibile (e mi sembra abbastanza…) e vorrei aiutare gli altri, cercare la comunità di intenti che da qualche parte esiste». Nel 1998, fatta l’Italia e forse già parzialmente fatti gli italiani, di certo la realizzazione del web era ancora in corso d’opera e Khy-ri, «la draghetta di Undernet», all’anagrafe Giorgia Meloni, aveva ventuno anni e un grande interesse per i draghi e la letteratura fantasy («naturalmente Il Signore degli Anelli di J.R.R.Tolkien è il mio libro preferito»). Una scarna pagina Geocities su fondo fucsia dava il benvenuto nel mondo virtuale (all’epoca si sarebbe detto così) di Giorgia, assidua frequentatrice del network Irc al tempo impegnata a imparare «a suonare la chitarra da autodidatta», con risultati a suo dire «per ora pessimi», e cantare pezzi di Chieftains, Sinéad O’Connor e Cranberries.

Il repèchage di pagine personali dell’archeo-Internet, finito come da prassi sui principali media nazionali, non deve ingannare: la non ancora sorella d’Italia, oltre ai draghi e a Sauron, sul finire degli anni Novanta doveva già occuparsi di un ruolo da consigliere provinciale, dopo aver vinto le primarie di Alleanza nazionale per il XI Municipio di Roma, e faceva politica dal ’92, quando conciliava le mattinate al liceo linguistico coi pomeriggi a stringere legami nel Fronte della gioventù. Nata nel quartiere medio-borghese della Camilluccia, a tre anni con la sorella dà fuoco alla casa di famiglia. I Meloni, Francesco, commercialista, e sua moglie Anna Paratore, decidono quindi di trasferirsi nella più popolare Garbatella, il quartiere che segna la vita di Giorgia. Francesco va via di casa, trasferendosi alle Canarie su una certa barca “Cavallo pazzo”, trama à la Lina Wertmüller che insegna che ogni famiglia tradizionale è infelice a modo suo.

Comunque Giorgia si rimbocca le maniche, inizia quel cammino di inconfessabile femminismo missino che la porterà, giusto la settimana scorsa, a replicare a un candidato Guido Bertolaso che le consigliava di «fare la mamma» che «nessun uomo può dire a una donna ciò che deve o non deve fare». Nella Capitale della fine degli anni Novanta la ventenne Giorgia Meloni sbarca il lunario facendo la baby sitter seriale, accudendo tra gli altri la figlia di Fiorello (ma è di destra, Fiorello? «Non ne ho idea. So solo che ci siamo sempre stati simpatici», dice lei), la si può trovare dietro il bancone del Piper a versare birre e cocktail, passa le domeniche ai banchetti di Porta Portese. Destra sociale del fare, insomma, ulteriormente inquadrata da citazioni come «quel che mi ha insegnato fare la cameriera non me lo ha insegnato fare la parlamentare» e certi recenti spot euroscettici girati in mercati rionali del quartiere San Paolo («bambole, qua se compra c’aa lira, se compra come ‘na vorta»).

A Giorgia Meloni non piace essere compatita: «Non mi si dipinga come la piccola fiammiferaia che è diventata di destra dopo l’abbandono da parte del padre comunista: ho avuto comunque un’infanzia bellissima e non mi è mancato niente», ha dichiarato in passato. Cresce nella storica sezione missina di Colle Oppio, in un mondo da poema cavalleresco unito alla letteratura fantastica. «Vedeva e vede ancora una terra da salvare dal Sauron di turno», rivela a Studio Alessandro Giuli, co-direttore del Foglio, che la conosce bene. «È stata iniziata in un contesto di rituali e olografie fantasy, in una corrente politica, quella dei Gabbiani, che era praticamente una setta», dice Giuli, che fa riferimento ad alcuni rituali non esoterici ma con nomi quali «richiamo del corno», adunate solenni per mobilitare i militanti in cui Fabio Rampelli, primo scopritore di Giorgia e oggi capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, era venerato e sacralizzato come una specie di stregone pagano. «Il contesto aiutava», aggiunge Giuli riferendosi alle mura antiche di Colle Oppio, «era un Cuib di Codreanu».

«In qualche modo Gianfranco Fini aveva l’idea di replicare con Giorgia lo schema che Almirante aveva messo in atto con lui»

Fatto non marginale, oggi è lo stregone Rampelli a prendere ordini dalla sua ex sacerdotessa-protégée. Ho contattato una firma importante della destra romana, che preferisce non comparire col suo nome e cognome, che mi ha detto: «In qualche modo Gianfranco Fini aveva l’idea di replicare con Giorgia lo schema che Almirante aveva messo in atto con lui: costruire un dirigente giovanile a cui affidare il partito». Nel 2004 Meloni vince un congresso di Azione giovani, la sezione giovanile di Alleanza nazionale, partendo da sfavorita, ma è la prediletta del delfino di An già almeno dal 2001, quando viene nominata coordinatrice nazionale. Nel 2006 Fini taglia il nodo gordiano delle lotte interne tra le correnti del suo partito nominandola vicepresidente della Camera: a 29 anni è stata la più giovane di sempre, fino al recente insediamento del ventiseienne grillino Luigi Di Maio. «È una coraggiosa con l’insicurezza di una persona presa e gettata nella mischia da tutti i suoi mentori», secondo il profilo che ne traccia Giuli, «ma in larga parte è come la vedi in pubblico».

La ragazza del Piper, l’altra, può avere rivali a Roma? A quanto riporta Giuli sente di aver «più da perdere che da guadagnare». E l’altra voce ascoltata da Studio chiosa che, in effetti, un mancato approdo al ballottaggio per il Campidoglio potrebbe segnare il punto più basso della parabola politica della ex missina. Per anni Giorgia Meloni è stata il simbolo di una destra per certi versi nuova, “una promessa” nel gergo giornalistico, nonostante quel «rapporto sereno con il fascismo» brandito nel 2006 e poi, col passare degli anni, nascosto e poi smentito. Ma la nostra fonte anonima, esperta osservatrice dell’ambiente, ne parla in toni diversi: «Nel racconto mediatico generalmente la si associa all’espressione delle periferie, alla fedeltà dei circoli locali, ma ci sono anche altri aspetti: è sempre stata portata in palmo di mano dalle classe dirigenti. Non dimentichiamo che la vecchia An era un partito fortemente gerarchico».

Eppure Meloni ha fatto del parricidio un’arte politica: si è separata con clamore prima da Gianfranco Fini e poi da Silvio Berlusconi, anche se con quest’ultimo i rapporti sarebbero «cordiali» e, anzi, nonostante l’affaire Bertolaso la trentanovenne ripeterebbe: «Non voglio litigare e isolarmi». «Il suo problema», spiega Giuli, «è che nel suo mondo di provenienza c’è un ribollire identitario che si è acceso per Salvini, e lei si è trovata scoperta a destra». Nel momento in cui il suo partito ha concesso l’appoggio a Bertolaso a Roma e Salvini ha trattato con Storace, lo storico rivale di Meloni nella House of Cards della destra capitolina, lei si è spaventata ed è corsa ai ripari. «Il meccanismo psicologico è sempre inseguire chi è più a destra di te, l’ho visto succedere per trent’anni, il corrispettivo di “nessun nemico a sinistra” è “nessun amico a destra”», dice a Studio la fonte vicina all’ambiente, ed è forse questa la chiave per capire il rapporto tra Meloni e Salvini nelle sue sfumature.

Press Conference With Minster Meloni - 6th International Rome Film Festival

La grande occasione di Giorgia Meloni era scendere in campo nella sua città qualche mese fa, quando la questione Roma era meno ingarbugliata, e lei era nella posizione di, per usare le parole del co-direttore del Foglio, «intestarsi il ruolo da federatrice». Chi avrebbe potuto dirle di no? Non c’erano mica loro la domenica a Porta Portese, d’altronde. Oggi invece è costretta ad andare a rimorchio di Salvini, ottenere la sua approvazione e temere che non basti («è sentire comune in città che i voti di una destra d’opinione possano andare alla candidata M5s Raggi», mi si dice). A Roma, comunque, contano ancora i simboli, «si vive di orgogli, e la metafora dei gemelli allattati dalla lupa per ammantare di mitologia la sua corsa al Campidoglio ha avuto il suo effetto», secondo Giuli.

Sul Foglio lo stesso Giuli ha di recente scritto una sorta di fenomenologia de «la donna di destra che può affermarsi soltanto come amazzone, per poi svanire nell’amore e, sperabilmente, nella maternità», chiedendosi se da quelle parti si riuscirà mai a uscire da questo vicolo cieco. Sopravvissuta a ruoli da eterna promessa capace di smarcarsi con tempismo quand’era sotto le ali protettive dei Fini, Berlusconi e Alemanno di turno, oggi Meloni ha perso ogni figura paterna a cui rendere conto. Magari esiste un modo tacito e segreto di essere femministe, anche a destra, anche sotto le mura magiche di Colle Oppio, anche a capo di un partito schierato su posizioni omofobe e populiste. In un’intervista al Corriere della sera già citata in precedenza in questo articolo, a Giorgia Meloni era stata posta un’innocua domanda sulle serate di babysitting a casa di Fiorello. Faceva vedere Cenerentola alla bimba di cui si prendeva cura? «Orribile, mettitela te la scarpina di vetro! Io odio il rosa, le principesse e tutta quella roba lì».