Attualità

Di Ugo Fantozzi ne nascono tre o quattro in un secolo

Il primo film tratto dal libro di Paolo Villaggio esce nel '75, l'anno in cui muore Pasolini: affinità e divergenze tra il ragioniere e il poeta.

di Michele Masneri

Era il 27 marzo 1975 e Fantozzi esordiva sugli schermi, riunendo e condensando i racconti di due libri già bestseller di Paolo Villaggio. Nello stesso anno, anche, moriva Pasolini: tempo dunque di bilanci, forse scomodissimi. Anche location sovrapposte. Nell’Eur non più distretto dell’alienazione ma già luogo di corporation e noccioli duri, con l’Eni del Caso Mattei (1972) lì pronta per un Petrolio, si faceva letteratura su potere e azienda, con manoscritti forse perduti tra il laghetto e il Fungo. E però, in Fantozzi, i «cari impiegati» di una vicina Megaditta non si interrogavano molto su struttura e sovrastruttura, ma vivevano live una rappresentazione aziendale e manageriale subito “classica” e iperrealistica con gli acquari e le poltrone in pelle umana forse più esplicative di tutti gli articoli corsari sull’imborghesimento italiano (mentre all’Eur, oggi, progetti di interi quartieri per lucciole, evidentemente non scomparse).

Lì, nella Megaditta, una piccola borghesia per niente riflessiva, e un’alta borghesia aristocratica e analfabeta, tra «uffici bustarelle e tangenti» e «consigli dei dieci assenti» poco rispondenti a best practice internazionali, ma già con denunce implicite di mafie capitali e tangentopoli. Tutto molto più giusto e più efficace, forse, dei complicati plot per un Petrolio letterario, con un protagonista borghese sdoppiato tra i salotti di giorno e i pompini forestali di notte. Però anche sul tema petrolio e Sette Sorelle, forse funzionava meglio la parata di un ministro estero in cabriolet, prima delle primavere arabe. Lì, difficile stare «coi poliziotti», che fustigavano Fantozzi e Filini per un tamponamento, e anche nelle battaglie a valle Giulia, Fantozzi superava a sinistra Pasolini: la scalinata della rivolta e dei sampietrini è poi la stessa che Fantozzi percorrerà in carrozzina nella primaria “Scena della madre” della Corazzata Kotionkin rifatta dopo i disordini dal manager cinefilo Guidobaldo Maria Riccardelli.

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Anche tanto amor materno vessatorio, in entrambi, però. E per una «supplica a mia madre», contenuta nelle Poesie in forma di rosa, c’era la adorata madre del dirigente conte Diego Catellani cui era dedicato un famoso busto da omaggiare nell’atrio della Megaditta (come poi il busto del fondatore nei locali Rizzoli a Crescenzago, che produssero i primi libri di Fantozzi). La madre del Poeta non scapperà con un ragioniere, e però la signora Susanna aveva sposato il conte colonnello Carlo Alberto Pasolini dall’Onda, figlio di Argobasto, con un’onomastica molto Serbelloni Mazzanti Viendalmare. Mentre, in casa, interni della miglior piccola borghesia. Altro che «un attico pieno del sole antico / e sempre crudelmente nuovo di Roma / costruirei sulla terrazza una vetrata / con tende scure, di impalpabile tela», secondo le intenzioni del Poeta. Per la casa dell’Eur, forse voluta da questa mamma, tappezzerie e centrini e tinelli non dissimili da casa Fantozzi.

In tema motoristico, invece, non c’era gara: la Bianchina fantozziana contro la Alfa Romeo Gt Veloce, con destino impari anche a livello di case costruttrici. L’Autobianchi scomparsa da tempo, inglobata dalla Lancia poi a sua volta in abbandono; mentre l’Alfa del poeta, targa RM K69996, addirittura poi esposta con motore e fari accesi e tutto in un’installazione di Elisabetta Benassi. E però la Maserati Ghibli su cui Fantozzi scappava inseguito dal dobermann padronale Ivan il Terribile XXXII, oggi viene rieditata con successo e fa ri-assumere maestranze (una grande metafora della classe lavoratrice italiana?).

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Però sulla stessa tangenziale Est sopra la via Casilina e il non ancora rivalutato Pigneto, Fantozzi spesso ecologicamente prendeva il «77 barrato», con minori emissioni di CO2, guardando giù da quella highline in quei«giorni stupendi, in cui l’estate ardeva ancora purissima, appena svuotata un po’ dentro, dalla sua furia. Via Fanfulla da Lodi, in mezzo al Pigneto, con le casupole basse, i muretti screpolati, era di una granulosa semplicità». Mentre il ragioniere andava in ufficio e il Poeta a fare i sopralluoghi che avrebbero poi fatto salire le quotazioni del quartiere, la signora Pina ci provava col panettiere, prototipo del playboy culinario à la Cracco, prima della temperie alimentare nazionale, e dei panini gourmet che sarebbero sorti più in là con vasto uso del brand pasoliniano.

Però si potrebbe immaginare allora una grande sliding door sulla Casilina. Assassinio tragico di Fantozzi, funerale con Moravia che dice «di ragionieri ne nascono tre o quattro in un secolo», e invece buona e lunga salute del Poeta, oggi placido No Tav in una villa sull’Appia Antica. Prenderebbe parte pro o contro Dolce & Gabbana, firmerebbe appelli sulla fusione Mondadori-Rizzoli, si aggirerebbe forse ancora in cerca di pischelli pur in presenza di legislazioni molto mutate. In quartieri non pasoliniani ma “fantozziani” in senso però serissimo. Ma forse non cambierebbe molto. In fondo il Paese rimane molto più fantozziano che pasoliniano. In fondo, lo sappiamo tutti,  «io so i nomi» ci ha sempre rappresentato molto meno di «io sono stato azzurro di sci».

Nell’immagine, una scena di Fantozzi (1975)