Attualità

Dove sta andando Twitter

Ha davvero senso continuare a paragonarlo a Facebook? Più che come social network classico, il futuro della piattaforma è altrove.

di Andrea Daniele Signorelli

La crisi di Twitter sta diventando una saga talmente ricca di colpi di scena che qualcuno potrebbe pensare di ricavarci una serie tv sullo stile di Halt, Catch and Fire. Il problema è che per il momento manca il lieto fine, e sono sempre di più gli analisti (e gli investitori) che pensano che un “happy ending” potrebbe proprio non vedersi. Difficile immaginare che Twitter arrivi a chiudere, come se fosse un MySpace qualunque, ma al momento le notizie che arrivano sono tutto tranne che positive e la luce in fondo al tunnel è lontana dall’apparire.

L’ultima novità riguarda l’addio di alcuni dei principali manager: Kevin Weil (vicepresidente della sezione sviluppo e design), Katie Jacob Stanton (capo della comunicazione), Alex Roetter (vicepresidente della divisione ingegneria) e Skip Schipper (responsabile delle Risorse umane); ai quali si aggiunge il manager di Vine, Jason Toff, che torna a Google per occuparsi di realtà virtuale. Nonostante le voci circolate in un primo momento, non si tratterebbe di una cacciata, ma di una decisione volontaria da parte di alcune delle figure chiave, che lasciano la società in cui hanno lavorato negli ultimi 5/7 anni con la volontà di prendere un po’ di respiro e “passare più tempo con la famiglia”.

Twitter Goes Public On The New York Stock Exchange

Messa così, sembra quasi una coincidenza. Ma è davvero difficile credere che quattro dei principali manager di Twitter decidano di abbandonare la nave in contemporanea per un puro caso. Tanto più che tutto ciò avviene dopo una terribile settimana per la società di Jack Dorsey, il Ceo che nell’ottobre 2015 ha fatto il suo ritorno nell’azienda che aveva contribuito a fondare. Una settimana in cui nello stesso giorno, il 19 gennaio, Twitter  ha subito prima un down durato quasi due ore, e poi ha visto il prezzo delle sue azioni scendere al minimo storico di 16,69 dollari. Circa un terzo di quello raggiunto nel giorno del debutto a Wall Street, il 7 novembre 2013, e valore molto lontano dal massimo storico di 66 dollari. Queste, però, sono le conseguenze del problema che Twitter continua a trascinarsi dietro senza che nessuno abbia capito come risolverlo: la mancata crescita degli utenti e la conseguente delusione degli investitori pubblicitari.

Twitter si trova in una situazione di stallo: nei primi tre trimestri del 2015 gli utenti attivi sono cresciuti di soli 5 milioni di unità, passando da 302 a 307 (l’obiettivo dichiarato era di raggiungere 400 milioni entro la fine dell’anno passato). In percentuale, si tratta di una crescita irrisoria, soprattutto se si considera che nello stesso lasso di tempo gli utenti attivi di Facebook sono aumentati di oltre 100 milioni di unità, raggiungendo la cifra stratosferica di un miliardo e 545 milioni (dati Statista). Un altro aspetto importante riguarda la percentuale di utenti attivi mensilmente sul complesso degli utenti registrati. La società non fornisce questo dato, ma si stima che ci siano 1,3 miliardi di utenti registrati, almeno all’agosto 2015 (Dati DMR); il che significa che meno del 25% delle persone che nel corso del tempo si sono iscritte a Twitter lo usa almeno una volta al mese. Anche in questo caso, si tratta di numeri decisamente sconfortanti, soprattutto se si guarda al rivale Facebook, per il quale la stessa percentuale (secondo le stime) sale tra il 40 e il 50%.

utenti twitter

Ma ha davvero senso continuare a paragonare Twitter a Facebook, come se fossero acerrimi rivali che si contendono colpo su colpo il mondo dei social network? Difficile credere a una rappresentazione del genere, quando ormai i social media (compresi i servizi di instant messaging) che hanno superato Twitter in utenti attivi sono moltissimi. Come detto, Facebook ha un miliardo e mezzo di utenti; al secondo posto c’è WhatsApp, peraltro di proprietà di Facebook, che ha raggiunto i 900 milioni. Segue il “WhatsApp cinese”, QQ, che arriva a 860 milioni di utenti. Dopo ancora troviamo WeChat (650 milioni) e Instagram, anche questo di proprietà di Facebook, che ha recentemente raggiunto i 400 milioni di utenti; molto al di sopra di Twitter, quindi. E per il social dei cinguettii, i rivali si fanno agguerriti anche alle spalle: Baidu Tieba (300 milioni), Skype (300 milioni), Viber (249 milioni) e via così.

A questo punto viene da chiedersi quale sia il problema di fondo di Twitter, la vera ragione per cui gli utenti non crescono e troppi di questi non lo usano mai. E probabilmente il motivo va ricercato negli aspetti strutturali di Twitter, che lo hanno reso un social network particolarmente ostico per l’utente medio. Per chiunque non abbia una fonte di visibilità altra rispetto allo stesso social network – televisione, musica, cinema, giornalismo, ecc. – riuscire a conquistare followers è una missione ardua; l’unica eccezione tra i “comuni mortali” sembra essere rappresentata dalle cosiddette fandom: gruppi di adolescenti appassionati delle boyband del momento che riescono, seguendo i vari hashtag ideati ad hoc, a crearsi un proprio seguito in quell’ambiente. Per tutti gli altri rischia di scatenarsi un circolo vizioso, in cui i pochi followers conquistati fanno seguire ai propri tweet un desolante “zero retweet e zero like”, a cui a sua volta segue un minore desiderio di postare su Twitter, riducendo ulteriormente la possibilità di conquistare nuovi seguaci. In questo, non aiuta il fatto che i tweet siano ordinati in senso rigidamente cronologico, aspetto che rende estremamente probabile che i tweet dell’utente comune si perdano nella marea.

Twitter rischia quindi di scatenare frustrazione nell’utente, laddove Facebook è architettato in un modo (a suo modo geniale) pensato per far sentire chiunque un vip, un influencer all’interno della propria cerchia. Innanzitutto, ponendo in primo piano la reciprocità (se si accetta l’amicizia di qualcuno, entrambe le persone coinvolte vedranno i contenuti postati), secondariamente perché il meccanismo dell’algoritmo premia con una facilità estremamente maggiore di Twitter chi pubblica contenuti che hanno generato una qualche interazione, aumentandone drasticamente la visibilità. Gli unici che sfuggono a questa logica impietosa sono le persone che godono di una certa notorietà, ragion per cui si è spesso parlato di Twitter come del “social network dei vip”. Un aspetto che gli ha dato grande visibilità in determinati momenti (l’esempio più clamoroso è rappresentato dal profilo del Papa), ma che rischia di diventare un’arma a doppio taglio nel momento in cui la preoccupazione della società non è tanto la “qualità” degli utenti, ma la loro quantità.

Il vero punto di forza di Twitter è la facilità con cui si possono seguire le breaking news e i grandi eventi del momento con l’utilizzo del corretto hashtag

Come se ne esce? Per il momento il lavoro di Jack Dorsey non sembra avere ancora una strategia precisa: da una parte si parla sempre più spesso della possibilità che venga eliminato il limite dei 140 caratteri, cosa che però rischia di snaturare completamente la piattaforma; dall’altra si sta iniziando a sperimentare una modifica dell’algoritmo, che ordini i vari tweet non più in senso esclusivamente cronologico (è il caso dell’esperimento del “mentre non c’eri”, visibile a molti utenti anche in Italia). Le tante difficoltà, e la mancanza di una chiara idea su come far evolvere una piattaforma, che è rimasta sostanzialmente identica dal momento del lancio a oggi, preoccupano però gli investitori, cui sembra che (come dicono gli anglosassoni) Jack Dorsey stia “lanciando idee contro il muro per vedere cosa resta attaccato”.

In verità, quale sia il vero punto di forza di Twitter è chiaro a tutti: la facilità con cui si possono seguire le breaking news e i grandi eventi del momento con l’utilizzo del corretto hashtag. Un aspetto che sta venendo ulteriormente implementato grazie alla funzione “Moments”, ancora non disponibile in Italia, che fondamentalmente permette di seguire gli eventi più importanti attraverso una collezione di tweet, link, video e foto. La schermata iniziale, di fatto, assomiglierà moltissimo a quella di una app di news, divisa tra le classiche sezioni. Un modo, insomma, per rendere molto più facile la fruizione delle news su Twitter, consentendo sempre la classica interazione (retweet e like) con i diversi elementi che compongono i vari “moments”.

Se la strada del social network classico non sta funzionando come dovrebbe, quindi, si cerca di trasformare Twitter in una sorta di “social news medium”. E in molti, tra cui Ben Thompson di Stratechery, sono pronti a scommettere che quando Moments sarà adeguatamente diffuso (già, ma quando?) riuscirà a rimettere in piedi la baracca. A questo punto si potrebbe anche pensare di svincolare sempre di più l’utilizzo della piattaforma dalla registrazione dell’utente (che già adesso può navigare anche senza essersi iscritto, ma stranamente non a partire dalla homepage), in modo da spostare l’attenzione degli investitori e degli azionisti dal numero degli utenti a quello, per esempio, delle pagine visualizzate e dei visitatori unici. Una strada che la società ha già iniziato a percorrere nell’ottobre 2015, quando ha annunciato di aver raggiunto il miliardo di visualizzazioni ai “siti con tweet incorporati” (per quanto riguarda i visitatori unici, invece, ci sono dati molto discordanti e mancano quelli ufficiali). Puntare sempre di più sulle news e attirare la pubblicità ponendo l’accento sui visitatori mensili invece che sugli utenti attivi: potrebbe essere questa la strategia per risollevare i destini di Twitter.

Immagini: in copertina e testata, la sede di Twitter a San Francisco (Justin Sullivan/Getty Images); all’interno, l’Ipo alla Borsa di New York nel novembre del 2013 (Andrew Burton/Getty Images).