Attualità

Passera fra la gente

Mite tecnocrate passato all'attacco "securitario" e "gentista"; chi è, in breve, l'ex manager che si candida a Milano senza l'appoggio dei partiti.

di David Allegranti

Continuiamo la nostra serie di ritratti brevi dei candidati alle elezioni amministrative del prossimo giugno. Dopo Giorgia Meloni, candidata a Roma di Fratelli d’Italia e della Lega, tocca a Corrado Passera, candidato a Milano “senza l’appoggio dei partiti”.

A un certo punto, quando sono spuntati Beppe Sala e Stefano Parisi, la “candidatura del manager a sindaco di Milano” non è più parsa una sceneggiatura troppo originale. Ma soprattutto, per Corrado Passera si sono chiuse le porte del centrodestra. Fino all’ultimo ci sperava, l’ex amministratore delegato delle Poste; sperava che Berlusconi desse il via libera. In fondo, uno poteva metterci i soldi, l’altro i voti, che Passera non ha, anche se al suo comitato elettorale sono soddisfatti perché i sondaggi interni lo danno al 10 per cento. Aveva persino tappezzato Milano, quando il Cav. e i suoi erano ancora in stato confusionale, con manifesti securitari pronti ad accogliere, anzi, ad aggredire l’elettore. Quando torni a casa la sera hai paura? Non c’è sicurezza, basta con la sinistra! Quanti negozi hanno chiuso nella tua via? Non c’è lavoro, basta con la sinistra! Hai paura che ti rubino in casa? Non c’è sicurezza, basta con la sinistra! Erano divisi a metà, da una parte la domanda – scritta bianca su sfondo rosso – dall’altra la risposta, l’offerta, la “proposta” – sfondo bianco, scritte nero e azzurro che ricordano i manifesti di Alleanza Nazionale e di Giorgia Meloni.

Pareva una campagna elettorale di “destra”, per toni, colori e contenuti, e aveva un suo perché: mentre il centrosinistra stava facendo le primarie, dall’altra parte della barricata Forza Italia e Lega erano ancora in cerca d’autore. Solo che sembrava azzeccarci poco con Passera, mite tecnocrate «un po’ democristiano», come lo definì l’ingegner Carlo De Benedetti, che lo ebbe come «eccellente assistente» alla Cir (mai definizione fu più perfida per uno, Passera, convinto di possedere potenzialmente lo standing dello statista).

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Adesso a guardare la campagna elettorale di Passera c’è da restare perplessi. Si capisce che il manager ha ceduto allo spirito populista del tempo. C’è la disoccupazione? «Io so come fare. Basta con questa politica. + Sicurezza – burocrazia. Agli incontri di Partito preferisco gli incontri con 80 persone in Via Mecenate». Il “gentismo” insomma pare abbia colpito anche lui. Ma un “gentismo” anche moderato: «Milano deve ritrovare la sua spinta liberale. Senza cedere a facili estremismi». Messaggio recapitato a Matteo Salvini. Se non fosse che di estremismi non se ne vedono proprio perché i due manager stanno trasformando la campagna elettorale milanese in un combattuto ma tutto sommato tranquillo Cda aziendale, nel quale non c’è spazio per i leghisti. E quindi, via all’operazione io-sono-uno-di-voi. Le passeggiate fra la gente, il pranzo servito alla mensa dei poveri, le bordate ai partiti distanti dalle richieste dei cittadini. Quasi a far dimenticare che mandi i bambini alla scuola inglese in Lambrate, che hai la «mitica tata Fiorella» in casa, che per anni hai frequentato la Milano delle prime al Teatro alla Scala, e «ci crede che adesso porta i jeans», dice Giovanna Salza, la moglie quarantenne, nelle interviste.

Alla fine pare essere lei la chiave di tutto, per capire perché Passera da banchiere, manager, si butta in politica e si fa convincere di poter sfidare Matteo Renzi, salvo poi capire che non c’è trippa per gatti e che bisogna ripiegare su una candidatura locale, per quanto nell’autorevole Milano. In un’intervista si è lasciata scappare il plurale, «la nostra candidatura è una candidatura indipendente». Nostra, ma forse avrebbe voluto dire “la mia”, come se Giovanna Salza in Passera non stesse studiando semplicemente da first sciùra, ma da candidata. Dicono che sia stata lei a convincerlo a buttarsi, e che lui in realtà non fosse troppo convinto. Consigliera, candidata ombra? Lei rifiuta le etichette, dice semmai che è una «compagna di vita».

In un’altra vita, sua e della recente storia repubblicana, Passera è stato ministro dello Sviluppo economico con Mario Monti. Come l’ex premier della Bocconi, anche lui ha pensato che dopo la parentesi di tecnocrazia, i professori e i manager prestati al salvataggio dell’Italia potessero essere gli uomini giusti per guidare il Paese dopo regolari elezioni. Monti ne era fortemente convinto, il suo movimento un po’ meno, a vedere che cosa ne è stato di Scelta Civica. Quando era ministro, Passera mise in piedi una task force che aveva «il compito di analizzare e individuare in tempi brevi le misure da attuare per creare in Italia un ambiente favorevole alle start up innovative». Dentro c’erano Paolo Barberis, fondatore di Dada e oggi consigliere di Matteo Renzi a Palazzo Chigi; Selene Biffi, Giorgio Carcano, Annibale D’Elia, Luca De Biase, Andrea Di Camillo, Riccardo Donadon, Mario Mariani, Massimiliano Magrini, Enrico Pozzi, Giuseppe Ragusa, Donatella Solda-Kutzmann. Il coordinatore del gruppo era Alessandro Fusacchia, che oggi è capo di gabinetto del ministro dell’Istruzione Stefania Giannini. Molti dicono che la scelta di quelle persone fu la cosa migliore fatta da Passera, a partire da quella di Fusacchia, giovane e competente, e di Stefano Firpo, mente del Decreto sviluppo del governo Monti, torinese, nipote del giornalista e scrittore Luigi Firpo, economista specializzato alla London School of economics.

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Nella task force spuntava anche il nome di Pozzi, sconosciuto ai più. Psicoanalista, psicologo sociale, imprenditore. «Ovviamente, è ateo», così si descrive Pozzi, il guru di Passera (condividono peraltro la stessa passione per Sabaudia), che parla di sé in terza persona: «Vive tra identità diverse, e teme oltre ogni cosa l’averne una sola. O avere una sola lingua madre. O avere una sola professione. O un solo Paese amato. È affascinato dai traditori, anche se poi, visti da vicino, sono così deludenti. Ha due grandi categorie di nemici: il gigione, e l’impiegato weberiano, “sine ira et studio”. Le due categorie si condensano nell’intellettuale: angelo sempre risentitamente decaduto, povero essere dilaniato tra l’impotenza di fronte alla realtà e l’onnipotenza del segno, piccolo borghese intrinseco, tutto testa che sogna con la testa di essere tutto pancia. Questo male culmina nel prof, il cui tratto distintivo è “la carnagione moralmente rosa” (Kracauer)».

Con Passera lavora anche Riccardo Puglisi, docente universitario e responsabile economia di Italia Unica. Puglisi è un secchione, nel senso migliore del termine, è abituato a leggersi 200 pagine di pdf e a fare le pulci sull’economia. «Mi sto divertendo molto», dice a Studio. «Corrado è uno che lavora sul dossier, ed è una differenza fondamentale rispetto a Matteuccio nostro (Renzi). Due-tre volte la settimana, verso le nove di mattina, mi scrive un’email per affrontare il tema del giorno o del mese. Si vede il piglio di uno che ha fatto il Ceo per un sacco di tempo e non prescinde mai da un metodo fatto così, cioè dall’analisi concreta del tema. E io sto imparando un casino. Ormai sarà il sesto Def sui conti pubblici che vedo e che studio». Puglisi, per esempio, è andato, per conto di Passera, a parlare con chi si occupa della spending review, suo vecchio pallino, in Inghilterra: Stuart Glassborow. «Sono andato a trovarlo con l’idea di confrontarmi e di imitare le cose migliori fatte. Loro hanno tagliato per un periodo il 2 per cento all’anno, ora sono all’un per cento all’anno. George Osborne (il ministro delle Finanze di David Cameron) nel tagliare la spesa tiene fermi alcuni settori da tutelare, che sono protected. Insomma, da loro c’è da imparare». Dagli inglesi c’è da imparare e con Passera ci si diverte, dice Puglisi. «Lui ha sempre in mente l’idea di una start up, anche in politica. Pensa che ciò che non viene giusto alla prima botta, poi s’aggiusti. Ha un approccio pragmatico, volitivo. Dice sempre: se si può, si deve. È una fissa».

 

In copertina foto di Alberto Pizzoli (AFP/Getty Images). In testata: Passera alla Scala, 2013 (Corrado Zunino Celotto/Getty Images). All’interno: Passera parla con Elsa Fornero in parlamento del dicembre 2012 (Alberto Pizzoli/AFP/Getty Images); con la moglie ancora alla prima della Scala, 2012 (Giuseppe Cacace/AFP/Getty Images).