Attualità

Al Salone di Ginevra

Dal nostro inviato al celebre Motor Show svizzero: un'edizione post-gender, con meno donne e molti ganzi trasformati in steward, meccanici, elettrauti.

di Michele Masneri

All’ennesima volta, l’impressione del Salone è sempre quella: una grande spiaggia molto targettizzata, coi suoi stabilimenti bene e quelli meno bene, coi bar giusti e quelli meno giusti, una specie di Capocotta, con utenze e preferenze per tutti i gusti. L’architettura, in questo PalaExpo ginevrino, è balneare; come in spiaggia ci sono i poveri che hanno il lettino e i ricchi che hanno la tenda, e poi i ricchissimi che si fanno la barca. Ecco dunque stand semplici, come quello Tesla, senza ombrellone, o quello della Fiat (la Lancia non c’è più, è la prima volta), poi invece i tendoni, e sono tensostrutture architettoniche anche ardite, ecco una costruzione costosa e materassata che sembra l’epicentro Prada a Tokyo di Herzog e De Meuron e invece è lo stand della Aston Martin; e su, al primo piano, tra artigiani delle pelli e open bar, tanti maschi che parlano soprattutto in tedesco bevendo vino del Reno; altra barca importante è quella Rolls Royce, con un vero sarto inglese dall’accento cockney che intrattiene i signori su volanti e “cieli” (cioè il rivestimento del tetto); pare d’essere in qualche club inglese importantissimo o allo Yacht Club di Portofino; ma poi si scende ed ecco uno stabilimento di eleganze nordiche tipo spiaggia di Amburgo dove servono tartine al salmone e kren, su parquet di betulla (è la Volvo).

Geneva Motor Show 2016

Il Salone è piccolo, sono tre grandi stanzoni con luminarie al massimo, sta praticamente dentro l’aeroporto di Ginevra, ci si va a piedi non uscendo mai all’aperto, si passa una galleria commerciale che offre molti negozi di parrucche (lasciando sospetti su mali di vivere ginevrini). Dopo un po’ ci si accorge di una strana sensazione, non sono i neon né l’odore di kren che si mischia alla plastica dei cruscotti: è un posto di corpi.

Corpi sessuati, femmine soprattutto, come non se ne vedono se non in televisione, tipo playa desnuda, e qui dal vivo, però, legati a carrozzerie, fanno un po’ strano, tutti questi corpi, come vedere la gente che fuma al cinema. Quest’anno però il corpo-femmina pare relegato a nicchie, marchi un po’ di seconda, componentistica. Allo stand Yokohama (gomme) una “miss Yokohama”, con coroncina in testa viene bullizzata da dei clienti dell’est Europa che si fanno le foto con lei, si chiama Roxane Baumann, con tiara e fascia, sorride molto, si vede che il copertone chiama l’ormone, ma pare più una cosa da camionisti nostalgici. Da Skoda, gruppo pauperistico Volkswagen, due modelle con abito succinto bianco intonato alla tinta della nuova Superb, appoggiate a cofani e bagagliai, offrono sorrisi a clienti e buyers soprattutto cinesi.

Alla Lamborghini due more in tubino nero di pelle guardano, aggressive come il brand che le stipendia, nell’obiettivo, appoggiate a una Aventador Sv, e una ha uno sguardo di tale frustrazione e odio che probabilmente sta pensando di aprire una filiale Isis a Chiasso o Pontresina. Forse affitterebbe molti uteri piuttosto di stare qui appoggiata alla lamiera.

Dai marchi mainstream e occidentali la femmina però non c’è più, è chiaro; resiste presso i preparatori, dunque grandi body e bikini buttati su Mercedes serie G modificate  in veicoli per oligarchi russi, con interni in pelle bianca e schermi da 40 pollici; e presso gruppi anche importanti ma parvenu (ecco il privé Techrules, marchio cinese arrembante, e forse loro avranno il diritto di avere le loro signore scosciate ancora per vent’anni, come di inquinare col carbone, chi siamo noi per giudicare).

Però gli addetti ai lavori lo dicono apertamente: «Quest’anno, meno donne», e paiono passate proprio di moda, niente ragazze che simulano orgasmi su cofani alla Toyota, dove la nuova Prius sta lì e si prende tutta l’attenzione; niente ragazze all’Audi, dove in scena deve stare il nuovo suv Q2. Tanti la buttano piuttosto sull’ambosessi, e con strategie forse subliminali: Peugeot a fianco delle sue macchinette mette adolescenti “barely legal”, maschi e femmine con lunghi ricci, alcuni anche con brufoli adolescenziali e succhiotti sul collo forse ad arte; Dodge (gruppo Fca) affianca ai suoi pic-up teenager un po’ goth, ragazzine in leggins di pelle nera e cappello a larga falda e chiodo, e ragazzi un po’ Emo con pelli e camicie candide (non proprio utenti finali tipici di questi Suv, ma ci saranno degli studi a monte, mah).

Geneva Motor Show 2016

La verità arriva dopo ore di osservazione dei riti del salone: i pr delle case automobilistiche omaggiati come politici Dc all’hotel Ergife (il mercato è in ripresa, sono comunque gli unici ad avere i soldi), e il bello di quest’anno è scalciare molto sotto i bagagliai perché i modelli appena un po’ ganzi hanno questo sistema che ti apre il portellone se scalci, presumendo che tu abbia le mani occupate da shopping. La novità di quest’anno sono gli uomini, tanti, bellissimi, sia sul lato dell’offerta che della domanda. Maschi etero vestiti benissimo si infilano in berline e Suv a constatare la finitura e il “gioco” e le radiche e i devioluci, e i vetri si appannano: pare d’essere in una grande boutique Abercrombie, salvo che l’odore nell’aria, forte, non è quello ormonale e chimico della nota catena, ma un misto di Vétiver  e Eau Sauvage e Penhaligon’s (profumi da maschi seri e veri, con patente), insieme all’anilina dei cruscotti.

È chiaramente il primo salone post gender, e a un certo punto la cosa diventa tormentone, arrivano messaggi «vai alla Mazda, guarda quello di destra, di steward», ed effettivamente accanto alla bellissima nuova Mx5, dei puttini forse ginevrini con dei papillon e pantaloni molto strizzati certamente non indossano nulla sotto, e dev’essere in linea col concept di libertà della spider e dell’aria non solo nei capelli.

Geneva Motor Show 2016

Ce n’è per tutti i gusti: alla Jaguar-Land Rover, dietro gli stemmi del principe di Galles e della Regina cui forniscono le macchine, tanti piccoli Sean Connery o Daniel Craig giovani non alti ma rocciosi, in completi carta da zucchero o fumo di Londra, lentiggini, occhio azzurro o grigio, ti spiegano tutte le trazioni integrali e posteriori (l’anno scorso c’erano delle Chelsea girls bionde, invece, le avranno rottamate). È il Pitti del carburatore, un Pitti però senza babbucce né borse e borsette, non ci sono uomini in gonna ma neanche tante barbe (anche Gian Luca Pellegrini, direttore di Quattroruote, l’uomo più fico di Milano sud, l’ha tagliata). Pantaloni stretti ma non strettissimi, lunghi il giusto, scarpe inglesi, calze, tanti calzettoni a righe e pois, è la settimana della moda dei Normcore, probabilmente con tendenze molto importanti che gli stilisti dovrebbero venire subito a osservare (e non ci sono neanche i blogger).

In questo tripudio di eleganze, verso le diciotto, in orario di chiusura, scendono dei vecchi signori scicchissimi, con dei completi di flanella antichi e occhiali di corno, e mocassini lisi, e saranno dei fondamentali banchieri o trafficanti, con in mano biglietti avorio, “l’invitation di Monsieur le president”, è l’after per i fichissimi, e uno di questi si avvicina alla Maserati Levante, nuovo Suv italico, si toglie l’occhialetto d’osso e dice, stortando la bocca, «mais c’est tout petit», è così piccolo, molto deluso, si girano e se ne vanno. Mentre per andare in bagno si scendono 4 piani sottoterra con luce al neon rossa, e lì davvero ti pare d’entrare in qualche dark anche molto pericolosa, ma poi incontri solo omoni che parlano di sospensioni e raggi di sterzata, ma forse ci vuole qualche parola d’ordine o chiave, non può finire così.

Geneva Motor Show 2016

Tornando su altre tipologie tipo Youporn: alla Volvo, steward biondi con camicie di jeans invitano a ricaricare telefoni in appositi dock, bevendo champagne. Da Porsche, legioni di ragazzotti bavaresi forse discendenti degli amici del caro re Ludwig II, però niente Dirndl, e neanche alla Bmw, che pure ha lo stemma di Baviera nel logo, bensì completi un po’ Brooks Brothers con pantaloni khaki e blazer blu, come al padiglione americano dell’Expo. Alla Tesla, accanto a un nuovo Suv con ali di gabbiano che lascia perplessi, giovanotti nerd con brufoli e occhiali spessi da Silicon Valley appoggiati a prese di corrente elegantissime tipo aspirapolvere Dyson. Mentre alla Renault, ragazzi riccetti e preraffaelliti dall’aria “à bout de souffle”, tanti piccoli Louis Garrel con bolerino arancio e un’aria molto ibrida come l’auto che reclamizzano. Da Volkswagen, accanto a una nuova Golf Gti Sport, fanciulli quasi minorenni con strani costumi tipo Arlecchino o Pierrot Lunaire bianchi e grigi con pinocchietti, ‘na tragedia, si sa che i tedeschi con la moda non hanno un gran feeling. È ora di smontare, e passa un amico, di questo Pierrot, che ha già staccato, passa con una borsa porta abiti, e gli dice come va, e Pierrot risponde, in francese, «dai, fino alle sei, manca poco, ce la posso fare», però soffre, glielo si legge in faccia, ed è chiaro che non sono abituati, questi maschi, a stare se non sui, nemmeno accanto ai cofani: servono educazioni generazionali.

Dunque i più astuti, nell’automotive, evitano renzianamente forzature e hanno trasformato splendide creature in meccanici, elettrauti, lavavetri, tappezzieri, che ti sorridono chiedendo che pelle vuoi e che radica vuoi, ed è questo naturalmente il segreto per non far sturbare né lo steward né il cliente o concessionario, che però una volta l’anno dirà alla moglie «vado a Ginevra, al salone», tutto contento. Dunque alla Ferrari, dove hanno capito tutto, ecco un millennial sontuoso con vasta chioma e codino e camicia attillata, che spolvera molto ammirato con un piumino d’oca ammiccante una 488 Gtb, che nessuno guarda.

Poi il Salone chiude, e tutti questi compratori, venditori, concessionari, scompaiono, e in città non li trovi proprio più, forse sono a fare dei chemsex bestiali o forse sono dalle mogli, che si immaginano come le ragazze appoggiate sulla nuova Fiat 124: signorine-bene, tipo fiction di Rai1 o Lavinia Borromeo, bionde, con lo chignon; e infatti, dice molto chiaramente la brochure, è un’operazione nostalgia.

 

Foto Harold Cunningham (Getty Images).