Attualità

Studio fa tre anni. Che fatica, ma che bello

Il consueto bilancio breve e istintivo in occasione del compleanno di questo giornale. Un rapido bilancio delle sfide all'orizzonte e di alcune soddisfazioni già tolte. C'è di che essere ottimisti, nonostante tutto.

di Federico Sarica

Il 16 marzo del 2011, tre anni fa giorno più giorno meno, usciva il primo numero di Studio.
Bilancio veloce, istintivo: che fatica, ma che bello.

Che fatica creare da zero una piccola impresa in un posto come questo, dove chi fa impresa è quotidianamente lasciato solo a combattere contro un mostro nonsense impastato di burocrazia, paletti multipli, residui ideologici, elogi della lentezza e della decrescita; un mostro alimentato culturalmente da uno zoccolo duro ultra garantito, scollato dai bisogni del presente, disinteressato a quelli del futuro, uno zoccolo duro sempre molto progressista a parole, ma nella sostanza profondamente conservatore. Immobile e per questo refrattario al movimento di chi si mette in proprio e ci prova.
E che fatica creare da zero una piccola impresa in un settore come quello dei media italiani, per il quale vale in gran parte la descrizione del mostro nonsense di cui sopra, cui si aggiunge una sensazione di paura diffusa di un intero comparto industriale di essere giunto al capolinea.
Una sfida durissima che gran parte della categoria giornalistica, di cui mi onoro di far parte, non capisce, non avendo mai fatto impresa e pensando di essere sempre immune dalle regole del mercato che regolano il resto della nostra vita; una sfida durissima che gli editori nostrani spesso non capiscono a loro volta, non avendo compreso che non è la merce (sì, la merce, i contenuti sono merce) che producono a non avere più un mercato, ma è il modo in cui questa merce viene pensata, prodotta, confezionata, proposta e venduta.
Insomma, che fatica inventarsi un giornale, dargli le gambe per andare in giro e provare a imporsi, e poi venderlo, difenderlo, far convivere allo stesso tavolo la sua anima contenutistica e il suo senso commerciale.

Però che bello. Che bello vedere che dopo tre anni, non solo Studio c’è ancora, ma è cresciuto, si è imposto e affermato, è cambiato col passare del tempo, è migliorato col migliorare dell’apporto dei tanti che ne hanno contribuito al piccolo successo. Che bello constatare che quella che era solo un’intuizione naïf – cioè radunare e mettere in contatto alcune intelligenze appartenenti a mondi diversi e che all’epoca non si parlavano – sia oggi una voce riconosciuta, più matura, molto migliore di come noi siamo stati in grado di metterla insieme. Tre anni fa Studio era più solo, ed erano più sole – negli intenti professionali si intende – le persone che accettarono di collaborare con noi. Oggi Studio non è più solo: sono nate una serie di cose interessantissime intorno a noi, le nostre firme sono state chiamate a dare il loro apporto a sfide altrettanto ambiziose, alcuni dei collaboratori della prima ora hanno dato vita ai loro piccoli progetti.
Sì, pensiamo di aver contribuito, nel nostro piccolo, a innescare un cambiamento nel panorama mediatico italiano. Basta pensare, ad esempio, a qual era l’offerta di media culturali (definizione che boh, forse ormai è stretta) quel 16 marzo del 2011 e qual è oggi. Basta pensare a quanti esperimenti embrionali cui abbiamo dato vita nelle nostre pagine cartacee e elettroniche sono oggi diventati un dato di fatto per alcune nicchie di lettori.
Basta questo per farci essere ottimisti? Sì. Nonostante i mostri di cui sopra, le cose migliorano.

Auguri a lettori e collaboratori, e sempre grazie per la fiducia.