Attualità

Kevin Spacey e il mondo dopo Weinstein

Il coming out dell'attore, l'accusa di molestie di Anthony Rapp, Hollywood e il sesso come luogo del sospetto.

di Mattia Carzaniga

Due giorni fa Gwyneth Paltrow ha postato sul suo profilo Instagram il costume di Halloween più bello di sempre. Nella foto, lei ha la testa dentro una scatola con sopra scritto “fragile”, di fianco c’è il suo fidanzato (Brad Falchuk, di professione produttore televisivo) vestito con la classica tuta arancione da detenuto. Spiegato ai nati dopo il 1990: lei era se stessa – cioè la sua testa mozzata: spoiler! – in Seven di David Fincher, lui il serial killer interpretato nel film da Kevin Spacey. Senza sapere quello che sarebbe avvenuto il giorno dopo, ho pensato (giuro): ah, Kevin Spacey in Seven! Ah, che bei ricordi! Ah, quante cose ci sono state prima di Frank Underwood!

Il giorno dopo, cioè ieri, Kevin Spacey ha postato l’idea per un altro costume di Halloween: il presunto molestatore che, per smarcarsi da infamie retroattive, fa coming out. No, non era un costume di Halloween. L’avrete letto: in un’intervista a BuzzFeed Anthony Rapp, attore misconosciuto oggi quarantaseienne, ha accusato Spacey di averlo molestato quando aveva quattordici anni. Spacey all’epoca ne aveva ventisei, i due si erano conosciuti sui palcoscenici di Broadway, poi c’era stata questa festa a casa di Spacey, sembrerebbe finita male. Spacey ha twittato un lungo post (140 caratteri in questo caso non bastavano, come dargli torto) che diceva più o meno: mi scuso per quel che è successo, era trent’anni fa, ero ubriaco. Ne ha pure approfittato per dire: sono gay, e da oggi vivrò la mia omosessualità apertamente.

Che Spacey fosse gay era noto a Beverly Hills come a Cernusco sul Naviglio, e nessuno gli ha mai chiesto di rendere conto della cosa. Nella lunga sequenza di grandi attori omosessuali mai dichiarati – Spencer Tracy, Cary Grant, Montgomery Clift, Rock Hudson, andate avanti voi – lui si inseriva in una chiave che era un po’ più contemporanea, quantomeno relativamente agli anni (i Novanta) in cui è diventato una star. Era sempre meglio non dire niente, ma non c’era neanche bisogno di nascondersi dietro matrimoni finti, pseudo fidanzate da vendere ai cronisti sui tappeti rossi, album di famigliola eterosessuale con il golden retriever accoccolato ai piedi del divano. Kevin Spacey era un cane sciolto, al cinema come nella vita. Nessuno prima di lui recitava come lui, con quel misto di naturalismo New Hollywood e prosa scespiriana insieme.

Netflix's "House Of Cards" Washington DC Screening

Spacey era la grande star dell’intrattenimento d’autore, l’assassino di Fincher ma anche quello – spoiler! – dei Soliti sospetti di Bryan Singer (1996, primo Oscar come miglior attore non protagonista), il detective di L.A. Confidential di Curtis Hanson (1997), il padre di famiglia che corre dietro alle ragazzine – ruolo che oggi nessun attore accetterebbe mai – in American Beauty di Sam Mendes (1999, secondo Oscar, stavolta da protagonista). Etero, gay, buoni, bastardi, andava bene qualunque cosa, forse perché fuori dallo schermo non c’era niente a confermare o smentire quei personaggi. È del ’97 anche un film di Clint Eastwood, ingiustamente dimenticato, in cui Spacey si sarà divertito moltissimo a recitare: Mezzanotte nel giardino del bene e del male, dov’era un ricco antiquario omosessuale fané e omicida, dopo un party nella sua villa di Savannah. Gli accusatori col ditino veloce oggi su Twitter scriverebbero: tutti i cerchi si chiudono.

Le cose cambiano nel 2013, quando arriva la televisione, e cioè House of Cards. Dal grande pubblico derivano grandi responsabilità, dalle grandi responsabilità grandi problemi, a volte. Lo diceva qualche mese fa Nicole Kidman a proposito del successo di Big Little Lies: è la prima volta che così tanta gente mi ferma per parlarmi di una cosa in cui ho recitato (e stiamo parlando di Nicole Kidman, non dell’ultima comparsa dei Legnanesi). Lo stesso dev’essere capitato a Kevin Spacey. Il deputato – poi presidente: spoiler! – Frank Underwood è diventato in una sola stagione il paradigma della politica di ieri e di oggi, il metro attraverso cui leggere gli scandali e scandaletti dalla Casa Bianca a Montecitorio: da noi, per dire, hanno montato i suoi discorsi insieme a quelli dell’allora premier Matteo Renzi. Underwood è pure tacciato di essere omosessuale, altra sfumatura che Spacey si sarà divertito moltissimo a mettere nel personaggio. Dai grandi protagonisti delle serie televisive derivano anche le photogallery sui quotidiani online, le esegesi di costume, le gif da condividere sui social: quelle di Underwood che guarda nella macchina da presa chiamavano a gran voce l’aggettivo “virale” fin dalla prima inquadratura. Kevin Spacey, l’attore già premiatissimo in film oscarizzatissimi, non era mai stato così pop. Anche per questo l’epilogo, ora, è brutale: dopo sei stagioni, Netflix ha deciso di cancellare la serie sull’onda della vicenda Rapp: «Siamo profondamente turbati dalle rivelazioni». I turbamenti sono arrivati fino agli Emmy, che non daranno più a Spacey l’International Founders Award, premio assegnato (sintetizzando) a fighi che hanno fatto figa la Tv. La botola è stata aperta, a Spacey non resta che cadere sempre più giù.

Le cose cambiano, ancora una volta, nell’ottobre del 2017. Un altro costume di Halloween: Harvey Weinstein in accappatoio di spugna bianco. A Hollywood ci sarà un prima e dopo Weinstein, non stiamo ad approfondire, è già sotto gli occhi di tutti. Nel “dopo Weinstein” appena inaugurato, la sessualità della gente di cinema sarà sempre più spesso misurata secondo il metro del bene e del male, dei giusti e degli sbagliati. Kevin Spacey ha fatto coming out solo perché accusato di aver importunato un ragazzino molti anni fa: da tutte le angolazioni secondo cui la si può leggere, resta comunque una storia molto triste. Era e rimarrà uno dei più grandi attori di tutti i tempi, probabilmente sarebbe rimasto in silenzio per sempre, in quella sua omertà mai mascherata da finta eterosessualità (le fidanzate sui tappeti rossi, il golden retriever, eccetera).

Il suo non è stato nemmeno un coming out funzionale, detto strumentalmente: Dan Savage, per quel che vale, ha fatto sapere via Twitter che Spacey non è gradito nella comunità gay, come se oggi ci fosse un esame per stabilire quali sono gli omosessuali giusti e quelli sbagliati, la gente giusta e quella sbagliata, appunto. La Hollywood liberal degli ultimi vent’anni sta cedendo il passo, in campo sessuale, al luogo del sospetto, dove anche una dichiarazione di omosessualità esiste solo come alibi per una molestia, come a dire che le cose vanno per forza insieme: pare di leggere i pezzi della stampa italiana, dove ogni incontro tra gay è sempre “un festino”. Ieri a Hollywood si stava zitti perché, secondo molti, era meglio così. Oggi, nell’epoca in cui tutti potrebbero serenamente parlare, è un attimo che si finisce tra i mostri, tutti pronti col loro bel costume per la prossima festa di Halloween.

 

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