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Storia di una fake news che ha fatto danni

Anni dopo la strage di Sandy Hook, i complottisti minacciano i parenti delle vittime. Che ora hanno chiesto a Zuckerberg di bloccare le bufale.

di Luca Serafini

fake news sandy hook

NEWTOWN, CT - OCTOBER 04: Reflections spread onto the street as dozens of people attend a vigil remembering the 58 people killed in Sunday's shooting in Las Vegas and calling for action against guns on October 4, 2017 in Newtown, Connecticut. The vigil, organized by the Newtown Action Alliance, was held outside the National Shooting Sport Foundation and looked to draw attention to gun violence in America. Twenty school children were killed at the Sandy Hook Elementary School shooting in Newtown on December 14, 2012. (Photo by Spencer Platt/Getty Images)

Quando in Italia si è diffusa la fake news su Josefa, la migrante salvata dalla Open Arms e unica sopravvissuta del naufragio del 16 luglio, i bufalari di casa nostra hanno improvvisamente colmato l’ultimo “gap” che li separava dai complottisti della alt-right statunitense. Josefa, secondo loro, altro non era che “un’attrice”, circostanza provata dalla foto che mostrava le sue unghie laccate di rosso, un particolare che avrebbe smascherato la recita del naufragio dimostrando come la donna fosse in realtà in più che buone condizioni. La bufala era partita dall’account Twitter di Francesca Totolo, blogger vicino a CasaPound specializzata in fake news e che, come s’è venuto a sapere, viene spesso ritwittata da Macello Foa, il candidato alla presidenza Rai di Salvini e Di Maio. Si inserisce in un genere, ancora poco utilizzato dalle nostre parti, che da anni spopola negli Stati Uniti: un vero e proprio filone complottista secondo cui varie disastri e tragedie sarebbero inventate e inscenate da crisis actors, persone che recitano la parte delle vittime, pagate da fantomatici potenti che le utilizzano per fini politici.

All’interno di questo filone, l’episodio più macroscopico riguarda la strage di Sandy Hook, la scuola elementare del Connecticut dove, il 12 dicembre 2012, venti bambini e sei insegnanti furono uccisi da un uomo armato, che poi si è tolto la vita. Fu il più terribile massacro in una scuola americana, e finì per innescare un dibattito sulle armi da fuoco. In questi giorni, la vicenda è tornata di attualità perché i genitori di uno dei bambini uccisi,  Leonard Pozner e Veronique De La Rosa, hanno scritto una lettera aperta a Mark Zuckerberg: «Dal giorno della strage abbiamo subito molestie online, telefoniche e di persona, abusi e minacce di morte. Uno dei molestatori è stato condannato al carcere perché le sue minacce di morte sono state ritenute credibili».

La strage di Sandy Hook ha infatti attivato un’assurda macchina complottista secondo cui sarebbe stata tutta una messa in scena per fare propaganda contro la libera circolazione di armi da fuoco. I bambini e gli insegnati uccisi? Erano tutti crisis actors. In questo delirio, i parenti delle vittime sono additati come complici della farsa, e perseguitati di conseguenza. C’è chi ha ricevuto minacce e chi ha visto l’indirizzo e le foto della propria abitazione postate online, venendo costretto da quel momento a vivere in clandestinità. Gene Rosen, un uomo che viveva nei pressi della scuola Sandy Hook e che aveva dato rifugio ad alcuni bambini che fuggivano, è stato perseguitato per anni dai complottisti.

Ma perché? L’estrema destra americana temeva che il massacro potesse portare a una stretta legislativa sull’acquisto di armi. Così la macchina negazionista si attivò: a meno di un mese dal fatto, su Youtube venne caricato il video “The Sandy Hook Shooting – Fully Exposed”, che nei primi nove giorni raggiunse oltre otto milioni di visualizzazioni. Analizzava in maniera maniacale tutte le circostanze della strage per sottolineare presunte incongruenze. Numerosi siti di fact checking hanno dimostrato l’infondatezza di quelle ricostruzioni.  Un esempio? Il video mostrava Obama con alcuni parenti delle vittime, tra cui sarebbe comparsa anche Emilie Parker, una dei bambini uccisi. Secondo i complottisti il video dimostrava però che era viva, dunque era tutto una messa in scena. Peccato però che la bambina in questione non fosse Emilie Parker, ma sua sorella.

Il video divenne presto popolare tra l’alt-right. In particolare InfoWars, sito di proprietà di Alex Jones, guru del complottismo mondiale, fece da megafono, aggiungendo particolari su particolari. Alex Jones però non è un Carlo Sibilia qualsiasi, e un massacro di bambini non è lo sbarco sulla Luna. Propalare panzane su un argomento simile ha l’effetto immediato di eccitare frotte di haters.

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Ma perché la lettera scritta in questi giorni dai due genitori è indirizzata proprio a Zuckerberg? Perché Facebook è stato il principale amplificatore delle teorie paranoidi e, di conseguenza, la principale causa dell’ulteriore incubo che, per questi genitori, si è sommato alla tragedia di aver perso un figlio. Il social network, inoltre, è la piattaforma principale su cui viaggiano gli incitamenti contro i genitori di Sandy Hook. Gli inviti all’azione contro i parenti delle vittime da parte dei gruppi complottisti «sono divampati come un incendio e, nonostante le nostre richieste, sono stati protetti da Facebook», si legge nella lettera. «Ciò che rende l’intera situazione ancora più orribile è che abbiamo dovuto intraprendere una battaglia quasi inconcepibile con Facebook per fornirci le protezioni più basilari per rimuovere i contenuti più offensivi e incendiari».

La linea di Facebook su questo è chiara: le fake news non si cancellano, perché il social censura esclusivamente post che incitano alla violenza o che discriminano determinate categorie protette. Per tutto il resto, la penalizzazione avviene rendendo il post incriminato meno visibile sul Newsfeed. Il ragionamento però fa acqua da tutte le parti: attualmente, poiché i fact checkers di Facebook non sono in grado di controllare tutto, il meccanismo della rimozione dei post si basa in misura sostanziosa sulle segnalazioni degli utenti. E tuttavia, come gli studi sul tema hanno negli anni ampiamente dimostrato, sui social la gente tende a considerare vero ciò che le viene mostrato più spesso. I contenuti più virali sono proprio quelli che, come i post complottisti, hanno un altissimo potenziale di eccitazione, condivisione e diffusione. Se a questo aggiungiamo che, ad esempio, in Italia l’82 per cento degli utenti non è in grado di riconoscere una bufala, è evidente come questo meccanismo basato sulle segnalazioni dal “basso” non solo non penalizzi la visualizzazione delle fake news, ma finisca anzi per accrescerla.

Anche di questo parlavano i due genitori nella lettera a Zuckerberg: «Lei ha fatto capire che la sua idea di combattere i messaggi incendiari era quella di relegare le fake news più in basso nei risultati di ricerca. Naturalmente, questo non ci fornisce alcuna protezione. Sarebbe necessario che le persone scrivessero articoli e messaggi veri sulla nostra famiglia e sul massacro nella stessa quantità di quelli falsi, e che la diffusione tra contenuti veri e falsi fosse almeno uguale. Ma in pochi ormai scrivono di una sparatoria in una scuola avvenuta sei anni fa, anche perché sono seguite altre sparatorie di massa. Il risultato è che solo le informazioni sulla bufala di Sandy Hook appaiono e si diffondono, dando maggiore credibilità a contenuti pieni di odio».

 

Nelle immagini una commemorazione di Sandy Hook, una protesta contro le armi da fuoco (Getty)