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Una domenica alla Città della Domenica

Racconto di una giornata padre-figlia nel più antico parco divertimenti d'Italia, costruito nel 1963 dalla famiglia Spagnoli come luogo di svago per i dipendenti della Baci Perugina.

di Roberto Carvelli

Negli anni Ottanta il mondo sembrava infinito. Almeno, per noi che eravamo piccoli negli anni Ottanta tutto appariva gravido di possibilità. All’inizio di quegli anni potevi immaginare tutto realizzabile e realizzato, allo stesso tempo. Senza soluzioni di continuità, passato e futuro ti brillavano nelle mani senza esplosioni o cadute troppo precipitose. I film di fantascienza o fantasy erano una possibilità e non una minaccia. Tra E.T. l’extraterrestre (1982) e Fantaghirò (1991) si consumava un futuro di possibili amicizie aliene a un passato bellicoso ma nell’incanto. Se ci pensate è quell’atmosfera che, più recentemente, ha provato a ricostruire in vitro Stranger Things. E c’era già stato – quasi una ventina d’anni prima – Umberto Eco a rappresentarci che Apocalisse e Integrazione dovevano essere le Scilla e Cariddi in mezzo a cui far passare il buon senso di intellettuali alteri e invaghiti di mass media e narrazioni di genere.

Ho pensato a queste microdifferenze tra quella infanzia e questa odierna visitando con mia figlia cinquenne quello che scopro in questo 2023 in cui ha festeggiato il suo sessantesimo compleanno – celebrato peraltro degnamente – essere il primo parco divertimenti italiano: la Città della Domenica di Perugia. Se esiste un modo per sentirsi vecchi in una domenica – nomen omen – eccola lì a portata di mano. Ma anche uno struggente transfert: io e mia figlia, Miki, che a distanza di un cinquant’anni guardiamo le stesse – non tutte ma molte – attrazioni. Come un pervicace destino da settimana lunga e mentre il mondo cerca di parcellizzare ed esorcizzare l’ufficio con i quattro giorni e lo smart working, sgravando le famiglie da quel refrain “papà (e oggi anche mamma) torna tardi dal lavoro”, sono proprio di domenica nel parco creato dalla Famiglia Spagnoli per l’intrattenimento dei bambini in un recinto molto grande (45 ettari). Gardaland e Fiabilandia sono di là da venire e con loro l’intero distretto del divertimento romagnolo: il 21 aprile 1963 viene inaugurato su questo Monte (Pulito è il nome per l’assenza vegetativa, è anche qui c’è un destino filologico) che guarda Perugia quello che è a tutt’oggi il primo parco per bambini e ragazzi in Italia.

La Città è pensata e realizzata, in realtà, alla fine degli anni ’50 da Mario Spagnoli, il figlio di Luisa Spagnoli. Ed è incredibile che nello stesso dna di questa azienda umbra ci siano i Baci Perugina e una maison di moda. Una concentrazione perlomeno sospetta ma anche una esuberante visione “rosea” del mondo. Con mia figlia giriamo tra ambientazioni western di cowboy e nativi americani – due maschere fuorimoda e fuoritempo, mi sembra, nonostante il reload di Tarantino – e castelli fiabeschi pericolosamente attuali. La “Principessa”, capisco con mia figlia fanatica di Frozen ma pure di Belle e Aurora, è un simbolo redivivo se non, addirittura, mai morto, mentre i prìncipi – anche quelli azzurri, peraltro – non se la passano bene tra lotte di famiglia e biografie (ricatto o verità) sugli intrighi di palazzo.

Il sito le chiama “attrazioni senza tempo” e, infatti, come in un’ucronia ci muoviamo tra libri magici scolpiti nel bosco e ponti sospesi mentre attorno vediamo pascolare i tautologici asini dell’Asinara, mucche e capre, daini e cervi da libro di fiaba. Qualche anno fa il sociologo Vanni Codeluppi, ordinario alla Iulm di Sociologia dei media, aveva curato (con Stefano Calabrese), il saggio Nel paese delle meraviglie. Che cosa sono i parchi di divertimento (Carocci). Giorni dopo la mia visita, l’ho raggiunto al telefono e gli ho chiesto qualcosa sui parchi di prima e di dopo. O, meglio, se c’è un prima e un dopo e dopo cosa e quale sia stato il cambiamento più rilevante.

«Credo che il cambiamento più forte – mi spiega Codeluppi – avvenuto negli ultimi anni sia un processo di “brandizzazione” dei parchi. Vale a dire che oggi siamo entrati in una fase matura della vita dei parchi e non è più sufficiente offrire dei divertimenti, ma per attirare molti visitatori è necessario legare il parco a brand di successo, come Disney, Universal, Lego, Harry Potter, etc.». E, in effetti, lo conferma anche la Tea/Aecom, che ogni anno redige un rapporto mondiale sui parchi divertimento o tematici, il “Theme Index and Museum Index: The Global Attractions Attendance Report”. L’ultimo uscito è quello del 2022 con dati 2021. Come potrete immaginare in vetta agli sbigliettamenti ci sono gli Usa seguiti dal Giappone. Il primo in assoluto è il Magic Kingdom Theme Park Walt Disney World in Florida con 12.691.000 biglietti strappati nel 2021 contro i 20.963.000 del 2019.

Il primo europeo – nella top 25 troveremo solo un tedesco e un olandese – arriva alla posizione 14 e, neanche a dirlo, è Disneyland Paris, Marne-La-Vallee, con 3.500.000 ingressi nel 2021 in leggera ripresa dai 2.620.000 del 2020 ma ancora lontani dai 9.745.000 pre-pandemia. Anche la Città della Domenica fa i suoi buoni ingressi. E da subito – quando, sessant’anni fa, appunto – Mario Spagnoli aveva creato questo parco per lo svago dei dipendenti della Perugina, come mi racconta Alessandro Guidi, figlio di Mariella Spagnoli, figlia di Mario. «Quasi da subito – mi dice l’attuale direttore della Città – nasce l’area dei villaggi di Pinocchio e Biancaneve. Anche il trenino che porta in giro per il parco ha la sua antichità. La cosa curiosa è che quando è nato era considerato un parco futuristico, ora lo è ancora di più perché si situa in quella zona in cui il moderno chiede di essere attento ai consumi, agli sprechi e all’ambiente, alla sostenibilità».

Rivedere il parco perugino – in questo suo aspetto vintage e km 0 – mi ha messo addosso una certa dose di malinconia: un incrocio tra dolcezza e autocompatimento di cui mi sono sentito un po’ in colpa. Il fatto, penso, non è che negli anni Ottanta tutto sembrasse infinito. È che dopo gli anni dell’infanzia tutto sembra finito. Lo racconta molto bene Natalia Ginzburg in uno dei racconti di Vita immaginaria: «Le immagini e le illusioni della nostra giovinezza dovrebbero essere per noi una visione tenera e cara, ma noi non siamo in grado di posarvi gli occhi senza repulsione». Penso a questa ammissione di colpa della scrittrice mentre sto mostrando a mia figlia qualcosa che forse mi avrà entusiasmato e poi spaventato. «Ci sentiamo feriti come da una sciabolata e distogliamo lo sguardo» al rivederci piccoli e io forse con coraggio spudorato cerco di non spostare lo sguardo dalle case nel bosco con gli eroi della mia infanzia che ora, in buona parte, lo sono ancora di mia figlia, salvo gli aggiornamenti Walt Disney ma molti repechage che ci vedono ancora vicini: Pinocchio, Cenerentola e la loro sempiterna mitologia a cui basta aggiungere un po’ di Cgi ed è tutto come nuovo ma che qui, a Perugia, torna alla sua confortante versione 2D.

Ma a mia figlia non è mancato il divertimento, ha più volte voluto correre sul ponte del villaggio indiano con tanto di tepee e tornare agli scivoli, ascoltare gli alberi parlanti l’ha incantata, accarezzare il gufo reale le è piaciuto un bel po’, l’hanno incuriosita le animazioni situazioniste degli attori mascherati e non voleva uscire nonostante il crepuscolo e il freddo. Natalia Ginzburg, in quel brano che citavo, dice che all’immagine di noi bambini «non abbiamo perdonato e non siamo disposti a perdonare nulla. Il rapporto che abbiamo con essa è amaro e confuso». Forse sono qui a Perugia alla Città della Domenica per perdonare qualcosa al me bambino più che per offrire un’occasione di divertimento a mia figlia. Per non provare più vergogna di «quel passo imprudente, quelle parole incaute e quei pensieri incauti e quelle illusioni» ma sì nello stesso tempo anche per nutrire quella commozione di «memorie indistruttibili e care» e permettere a lei di rifarlo fra qualche anno.