Attualità

Microsoft e le orecchie da asino

E se il colosso tecnologico diventasse cool alle spese di Apple e Google?

di Pietro Minto

Steve Jobs aveva molti nemici. Al di là della concorrenza e delle sfide, però, molti di loro sono stati utili al fondatore della Apple nel creare il mito della piccola società nata in un garage e finita a duellare con i Giganti Cattivi per Il Bene dell’Umanità Tecnologica. L’epica jobsiana era tutta qui: siamo dei ribelli che lottano contro grandi corporation per salvare il mondo. Lo scontro doveva essere totale: Apple doveva vincere non per ragioni di mercato o per il bene degli azionisti ma per evitare quel «Medioevo dei computer» nel quale il mondo sarebbe scivolato negli anni ’80, se la Mela non fosse riuscita e resistere al Gigante Cattivo del tempo, IBM.

La guerra tra aziende non è cosa nuova: Pepsi contro Coca Cola e McDonald’s contro Burger King sono solo due dei tanti esempi che potremmo citare. La novità di Apple è la visione del Nemico (che non è mai un semplice concorrente, un avversario: è il dragone da uccidere per salvare la Principessa) e lo zelo con cui i suoi acquirenti hanno sempre vissuto l’acquisto di un computer dell’azienda di Cupertino. Si compra un Mac non solo perché lo si ritiene migliore o più adatto alle proprie esigenze; non perché tutte le persone più cool del pianeta hanno un laptop bianco con mela morsicata. No, chi compra Mac lo fa anche per dire no a Microsoft, il Nemico preferito da Steve Jobs e i suoi adepti; per dire di no al Mostro a tre teste Windows e al browser dell’azienda, il famigerato Internet Explorer. Per anni il colosso fondato da Bill Gates è stato l’avversario perfetto ed è diventato involontario protagonista della fortunata serie di spot televisivi prodotti da Apple, Mac vs Pc. In quei brevi filmati c’è tutto: il computer Windows è un simpatico cicciotello con gli occhiali, goffo, lento, noioso e lacerato dall’invidia nei confronti del bellissimo e snellissimo Mac, un giovane smart e piacente, che non manca di sfotterlo sadicamente per i suoi difetti.

Un giovane Steve Jobs dice la sua al suo acerrimo nemico di allora (1983)

 

Gli ultimi anni sono stati quelli del trionfo di Apple: dal 2007 (anno d’uscita dell’iPhone) ad oggi, Cupertino non ne ha sbagliata una. È diventata più cool che mai e ha saputo diffondersi al di fuori della cerchia di professionisti e hipster, conquistando il mercato mainstream grazie a prodotti nuovi che hanno creato un vasto business dal nulla (oltre al già citato smartphone, iPad, l’AppStore). Questo è il lieto fine della Fiaba di Steve Jobs, geniale imprenditore che nel 1984 sconvolge il mondo con un prodotto rivoluzionario, il Mac, e lotta contro i Cattivi fino a quando non viene estromesso dalla sua stessa azienda. Segue un lungo esilio (durante il quale fonda la NeXT e la Pixar), poi il ritorno a casa Apple, società in crisi profonda che salva prontamente, rendendola in pochi anni la più profittevole del mondo. Questa è la Fiaba. La realtà invece è andata diversamente: Jobs è morto l’anno scorso lasciando milioni di persone orfane di un quasi-guru (“Il Cristo dei computer” come lo definì al tempo Claudio Cerasa sul Foglio) e – soprattutto – senza il protagonista Buono della storia. Da allora rimangono solo corporation avide e potenti e d’un tratto anche i più accaniti adepti della Mela si sono dovuti rendere conto di un dettaglio: Apple è un Gigante, forse non proprio Cattivo come la IBM che fu ma comunque una società che fa produrre i propri gioielli in Cina, negli stabilimenti della Foxconn, dove migliaia di giovani cinesi assemblano manualmente prodotti di lusso, mentre dalle loro minuscole abitazioni sventolano le mostruose reti anti-suicidio, come ha testimoniato, tra le altre cose, un recente reportage del New York Times.

Brave New World

In un mondo senza Buoni, rimangono solo i cattivi – o, per asciugare il discorso dalla retorica jobsiana, semplicemente gente che fa affari. E mentre Apple fa i conti con Google – un nuovo Cattivo che, ironia della sorte, si era dato come motto la frase Don’t Be Evil – Facebook e gli altri protagonisti del settore, ecco il ritorno sulla scena cool di quell’azienda che avevamo quasi dimenticato: Microsoft. In tutti questi anni l’ex Nemico è cambiato radicalmente: Bill Gates ha lasciato ogni ruolo da dirigente aziendale nel 2008 per usare i suoi miliardi allo scopo di salvare (veramente, si potrebbe aggiungere malignamente) il mondo con la sua Fondazione. Da allora il CEO del gruppo è Steve Ballmer, che sta riuscendo in un impresa impossibile: riportare l’azienda nel club dei più belli della classe.

Sull’Atlantic Wire la blogger Rebecca Greenfield ha messo in fila le ultime mosse di Microsoft, e il quadro è piuttosto chiaro: mentre gli ex Grandi sono alle prese con scandali e problemi di vario tipo (la già citata Foxconn, le nuove – e già odiatissime – regole sulla privacy di Google) l’omino goffo dei Pc ha presentato il nuovo Internet Explorer, che ha ricevuto recensioni tra l’incredulo e l’entusiastico ed è stato accompagnato da una campagna promozionale che gioca proprio sull’aura da terribile sfigato che l’ha sempre accompagnato (“Il browser che amavi tanto odiare”); ha prodotto la consolle Xbox con Kinect, un sensore per il movimento che sembra destinato a rivoluzionare il videogaming; e si è regalata un nuovo logo, che – guardare per credere – la rende sexy, ricercata. Una quasi-Apple. Che è successo? Secondo Greenfield, la concorrenza sta semplicemente vivendo la trafila di critiche, cause legali e problemi d’immagine che l’azienda di Gates ha già vissuto anni orsono (l’antitrust statunitense, l’Unione europea), che l’ha costretta per lungo tempo a stare in un angolo della classe indossando le orecchie da asino.

Ballmer si sta godendo lo spettacolo, insomma. Pochi mesi fa il magazine Bloomberg Businessweek gli ha dedicato la copertina tessendo le lodi di molti prodotti Microsoft, soprattutto il servizio di cloud computing, considerato ottimo ed essenziale per il futuro della società. Certo, il brand è ancora sinonimo di CTRL+ALT+CANC, schermi blu, clessidre che durano un’eternità e crash continui (come ha spiegato Jeremy Howard di Kaggle, una start up di San Francisco: «Quando dico agli altri imprenditori che stiamo usando il servizi cloud di Microsoft, mi guardano come avessi la lebbra»), ma le cose stanno cambiando. L’immagine è ancora traballante ma le nubi sopra il cielo del colosso si stanno diradando. E -particolare che rende Ballmer & Co. particolarmente sorridenti – pare si stiano spostando sopra le teste di Google, Apple e gli altri marchi che tanto si davano arie.