Attualità

L’uomo del miracolo

di Matteo Lenardon

Il 6 giugno Steve Jobs è salito sul palco per il meeting annuale degli sviluppatori Apple al Moscone Center, in California. Si è presentato come sempre; un maglione nero di cachemire, dei jeans blu chiari da mamma e il suo solito swag—o, meglio, la sua versione nerd, il Reality Distortion Field, questo particolare potere che avrebbe esclusivamente il CEO Apple, capace di convincere della straordinaria bontà dei propri prodotti chiunque ascolti una sua presentazione. Basta ascoltare gli aggettivi usati da Jobs e dal reparto marketing dell’azienda di Cupertino. Telefoni, computer, tavolette, monitor, mouse, tastiere, calendari sono tutti magici, rivoluzionari, indispensabili e ad ogni aggiornamento annuale “Questo cambia tutto. Di nuovo.”

Anche quest’anno il canovaccio è stato rispettato. L’unico imprevisto ha riguardato la salute di Jobs, perseguitato ormai da un cancro che si pensava sconfitto e che invece si è ripresentato lo scorso anno. La Apple è ormai una delle aziende più potenti e ricche al mondo, la sua capitalizzazione supera Microsoft e Intel messe assieme; siamo ormai ben lontani dal 1997, anno in cui Steve Jobs è stato richiamato a guidare l’azienda da lui fondata e da cui era stato cacciato per via di un consiglio di amministrazione ostile.Ora la sua presenza è così determinante che il titolo in borsa è capace di perdere e guadagnare miliardi di dollari al variare dei pettegolezzi sulla sua salute fisica. Quando lunedì è uscito,  il solito costume da Steve Jobs è apparso gli stesse 3 misure più largo. Molti praticanti del Culto Apple sono andati in panico su Twitter. “Benvenuti all’ultima presentazione di Steve Jobs,” ha commentato uno degli analisti più noti. Ma il keynote è un vero show, centinaia di blogger riscrivono in tempo reale ogni parola di Jobs, vengono scattate foto di grafici e di demo di prodotti. A casa, milioni di persone aggiornano il proprio browser per seguire i reportage dalla prima linea. Qualcuno si ritrova addirittura in pub e circoli per seguire l’evento.

Quest’anno le novità presentate sono state oggetto di speculazioni lunghe mesi. Di soffiate, foto rubate, falsi. La Apple non smentisce o conferma mai, come la CIA quando tratta con i rapitori di cittadini americani in zone di guerra. È arrivato l’aggiornamento del sistema operativo che regge i portatili e desktop, ora chiamato  Lion e soprattutto l’update per iPhone e iPad, iOS 5. Prodotti che non esistevano prima del 2007 e che ora rappresentano per l’azienda californiana oltre il 70% del proprio fatturato. È arrivato un sistema di notifiche, simile a quello proposto dai concorrenti che montano il sistema operativo di Google, Android. Un sistema di backup online di documenti e foto, simile a Dropbox. Un’applicazione per scambiare messaggi fra utenti iPhone, proprio come accade con il Messenger per Blackberry. Gli utenti che hanno investito finanziariamente e, a giudicare dall’interesse e dalla violenta passione, anche emotivamente nella guerra fra telefonini hanno gridato allo scandalo. “Apple copia,” dicono. Apple non innova.

In realtà questi prodotti sono perfettamente in linea con la filosofia aziendale. “Il design non è come il prodotto appare,” dice Jobs. “È come lo si usa.” I software esistenti da cui Apple avrebbe preso spunto sono troppo complessi per un’adozione di massa, sono utilizzati da una élite arrogante e gelosa dei proprio segreti. Infastiditi che qualcuno stia insegnando ai peones a leggere e scrivere.

Nessuno, si azzarderebbe a rinfacciare questo all’Uomo del Miracolo, almeno in suo presenza. Gli sviluppatori fedeli alla linea applaudono.

Il giorno dopo Jobs si presenta nel piccolo consiglio comunale di Cupertino. Si siede su una panca di legno, prima di lui ci sono affittuari con problemi di perdite. Altri che vogliono il permesso di ampliare il giardino. Poi tocca al CEO della più grande società informatica del mondo. Presenta il progetto di un nuovo quartier generale. Una enorme arena di vetro ecosostenibile, con al centro migliaia di alberi, vagamente aliena. Via i parcheggi che c’erano prima. Ora solo campi di grano. “La Nave Madre è atterrata,” dice. E poi se ne va senza sorridere.