Stili di vita

Tovagliette — Carciofi alla giudia

Un esercizio di tolleranza verso i francesi: friggere i carciofi nel burro, anche se detta così sembra una cosa abominevole.

di Tommaso Melilli

Alain Passard è uno dei più grandi chef contemporanei. Il suo ristorante, L’Arpège, aperto nel 1986, ha ottenuto le tre stelle Michelin nel giro di qualche anno, e le mantiene (tutte e tre) da più di venti. Ogni cuoco ha le sue specialità, i suoi piatti forti e i suoi ingredienti feticcio, e fino alla fine degli anni Novanta, Passard era considerato il più grande rôtisseur di Francia: nessuno, si dice, cucinava la carne come lui. Fin qui, è la classica storia di un grande chef francese, fatta di successo, abnegazione, sacrificio e carni rosse. È anche, a dirla tutta, una storia un po’ noiosa. Finché, nel 2001, succede qualcosa: alcuni maligni raccontano di un furibondo litigio col macellaio, altri parlano di malinconia, di un’ispirazione svanita che necessitava di un colpo di mano.

Nel 2001, Passard ritira le carni dal menu dell’Arpège e decide che, a partire da quel giorno, la sua cucina sarà esclusivamente vegetale. Una scelta scandalosa, soprattutto per la tradizione gastronomica francese, basata sulla sacra triade “viande / sauce / accompagnement”, carne, salsa e accompagnamento. Togliere la carne era come togliere il sole al sistema solare. Naturalmente, è stato un successo, e una storia normale è diventata la storia di una rivoluzione: quindici anni dopo, tutta una generazione di chef lo considera il proprio nume tutelare, e i suoi piatti fanno il giro del mondo: sushi di barbabietola, carpaccio di asparagi, fragole al cipollotto. Tra le altre cose, c’è un piatto in cui, tanto per cambiare, se la prende con la cucina italiana. La tradizione gastronomica italiana, dice Passard, è meravigliosa, ma ha un limite: l’uso del pomodoro. In Italia il pomodoro si usa solo nei piatti salati, tanto che il mondo intero lo considera una verdura. Mentre invece, dal punto di vista biologico, il pomodoro è un frutto. Da qui nasce il pomodoro caramellato, che è fondamentalmente un pomodoro cotto in padella, intero, per un’ora, annegato in un caramello al succo d’arancia: è un dessert.

La “rivoluzione vegetale” di Passard si basa quindi su operazioni del genere, che mostrano a tutti verità nascoste che avevamo sempre avuto sotto agli occhi: contaminando origini e usanze, pervertendo tradizioni. Ma annegare un pomodoro nel caramello non sarebbe bastato a sostituire maiali, piccioni e entrecôtes. Infatti, come molti rivoluzionari, il ragionamento di Passard è anche giocosamente conservatore: cucinare la frutta e la verdura facendo finta che sia carne. Quindi con cotture attente e cerimoniose, brevissime o lunghissime, dando a una melanzana il rispetto che, fino a quel momento, avevamo riservato solo al petto d’anatra.

Ecco, tutto ciò, per un grande chef francese, si riassume in una cosa sola: un sacco di burro. Per esempio, io i carciofi alla giudia li friggo nel burro. Lo so che, detto così, sembra una cosa abominevole. Scusatemi, ma alzi la mano chi, a casa, è disposto a fare tutte queste cose qui: riempire una pentola con due litri di olio d’oliva bollente, fare una prima frittura a 140 coi carciofi puliti e asciugati, per circa 20 minuti, per cuocere l’interno. Rimuovere poi i carciofi, asciugarli, aspettare che si raffreddino, salarli all’interno e rifriggerli a 180 gradi circa affinché le foglioline diventino croccanti e dorate. Tutto ciò, ovviamente, porta con sé puzza di frittura, l’acquisto di un termometro da cucina, olio dappertutto, schizzi incandescenti e mani sporche, senza parlare delle conseguenze ecologiche di un inaccurato smaltimento dell’olio di frittura.

Secondo me, Alain Passard li farebbe così: riempite una ciotola con acqua e abbondante succo di limone, e cominciate a pulire i carciofi (se trovate le mammole bene, altrimenti qualunque carciofo andrà bene). Strappate i primi due giri di foglie esterne, tagliate il gambo tenendone due centimetri e “sbucciate” il gambo e la base de cuore con un pelapatate. Sempre col pelapatate, “affilate” la punta del carciofo, avendo cura di tagliare le punte con le spine: dovrete vedere tante piccole scanalature, come una piccola scaletta. Non impazzite a togliere la parte pelosa nel cuore: è inutile. Svolgete tutta l’operazione vicino all’acqua limonata, bagnandoci il carciofo ogni tanto per non farlo annerire.

Quando avete finito, mettete tutti i carciofi in una padella dal fondo spesso, accendete a fuoco lentissimo, e cominciate a mettere due grossi cucchiai di burro. Lo so che avete paura del burro, ma questa ricetta è un esercizio di tolleranza verso i francesi: ne serviranno almeno 100 grammi. Quando il burro comincia e schiumare e a “cantare”, inclinate la padella, raccogliete una grossa cucchiaiata di burro e rovesciatela su un carciofo. Ripetete l’operazione per ogni fiore, molte, molte volte. Dopo venti minuti cominciate a “spampanare” i carciofi sulla padella, a testa in giù, affinché il fiore si apra e i petali diventino croccanti. Mantenete i carciofi in piedi, a testa in giù, e continuate a scucchiaiare fino a quanto raggiungerete la correntezza desiderata. Non c’è un tempo definito, vi basti sapere che è tanto. Toglieteli quindi dalla padella, asciugateli sulla carta assorbente e mangiateli: sapranno di biscotti alla liquirizia. Se volete, potete aggiungere della scorza d’arancia grattugiata. Non so se Alain Passard abbia mai cucinato i carciofi alla giudia, ma ogni volta che li cucino in questo modo mi viene in mente la storia di un altro leggendario chef francese, oggi ingiustamente dimenticato.

Alla fine degli anni Quaranta, correva voce che il più grande chef al mondo fosse un certo Fernand Point: si narra che fosse impossibile prenotare al suo ristorante, perché se telefonavi diceva sempre che non c’era posto. L’unico modo per mangiarci era presentarsi con una lettera di raccomandazione di un signore inglese, un veterano della Seconda guerra mondiale che, a quanto pare, un giorno aveva salvato la vita dello chef. Joseph Wechsberg, reporter del New Yorker, aveva quella lettera. Una volta entrato nelle sue grazie di Monsieur Point, ebbe persino diritto a una visita guidata della cucina, accompagnata da qualche battuta fulminante e qualche segreto inconfessabile: «Du beurre , du beurre! … This is the secret of the grande cuisine: the finest butter, and lots of time».

DSCF2760