Attualità

Il Salone e i giovani

Dialogo con Marva Griffin, da quasi vent'anni ideatrice e curatrice di Salone Satellite: nessuno più di lei sa cos'è la nuova creatività.

di Mattia Carzaniga

Marva Griffin mi accoglie nel quartier generale del Salone del Mobile al Foro Buonaparte, tanti tavoli e poltrone da ufficio e niente arredi firmati da archistar, forse è giusto così. Anima storica dell’evento, tessitrice della rete di relazioni che ogni primavera fa di Milano il polo internazionale del design, da diciannove anni è pure ideatrice e curatrice di Salone Satellite, il talent ante-litteram che premia i giovani creativi venuti qui da tutto il mondo. Venezuelana d’origine ma ormai più milanese dei milanesi, Griffin svela il suo carattere sudamericano un poco alla volta.

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Marva Griffin

ⓢ Come sarà questo Salone?
Pieno di cose, come sempre. Il 2016, poi, è un anno importante: compie 55 anni.

ⓢ Si sentono?
Per niente. Non si ripeterebbe altrimenti quello che avviene ogni anno, se lo spirito non fosse eternamente giovane.

 Come i ragazzi del Satellite…
Quest’anno il tema è “New Materials, New Design”, se ne discuterà il 14 aprile alle 15 all’Arena Salone Satellite, nel padiglione 15 della Fiera. Il polo destinato ai giovani designer diventerà una materioteca, un punto di raccolta dei campioni più innovativi studiati dai grandi centri di ricerca sui materiali d’Europa.

ⓢ Cosa vuol dire cercare il nuovo oggi?
Significa seguire sempre la direzione in cui va il mondo. Oggi abbiamo in mano strumenti che sono telefoni ma anche computer, macchine fotografiche, televisori. Però questo scenario non deve fagocitare la creatività. Il designer deve avere la consapevolezza del progresso tecnologico, ma si definisce sempre per quello che fa, non perché il contesto che ha attorno è più vecchio o più nuovo.

ⓢ Perché, almeno nella settimana del Salone, il design parla a tutti?
Innanzitutto, è un campo dove regna la soggettività: esistono delle regole, ma di base c’è sempre il gusto personale, che è anche il mio principale metro di giudizio. E poi è stata resa chiara una verità molto semplice: che tutto è stato disegnato, ogni cosa che abbiamo, vediamo, tocchiamo. Che dunque non è materia per iniziati, ma un tema di tutti.

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Undergrowth, di Alcarol

ⓢ Perché Milano?
Perché è ancora il motore dell’innovazione. Tutto parte da qui, poi arrivano gli altri appuntamenti, New York, Colonia, Stoccolma, e via così, sfogliando tutta la lunghissima agenda annuale. Ma il lavoro inizia al Salone, le novità sono esposte nei nostri padiglioni, l’industria italiana resta il riferimento per chiunque: perché non copia, perché è fedele alla propria storia ma sa rinnovarsi, sempre.

ⓢ È merito anche dei giovani?
Il Satellite nasce per questo, l’ho creato perché nel circuito ufficiale non esisteva un’istituzione per le nuove leve, che invece rappresentano il futuro del design. Da quasi vent’anni ragazzi di tutto il mondo vengono a Milano a mostrare i loro prototipi, e sanno che dall’altra parte c’è chi è pronto ad accoglierli. Il produttore italiano non si sposta per natura, ma recepisce e sfrutta gli stimoli esterni. Oggi, guarda caso, il Satellite è copiato ovunque.

ⓢ Qual è la soddisfazione più grande?
Vedere giovani talenti raggiungere un obiettivo. Che non è per forza il design. Un tedesco con cui sono rimasta in contatto – resto in contatto con tutti, tutti continuano a scrivermi anche dopo anni – si è fatto notare al Satellite anni fa e oggi fa il musicista. Altri, come Lorenzo Damiani o Oki Sato, saranno probabilmente i maestri di domani, essendo nomi di primo piano già oggi.

ⓢ I nuovi mercati premono?
Ieri è stata l’epoca d’oro di Europa e Stati Uniti, che continuano ad essere il modello per tutti, oggi è indubbiamente il turno dei Paesi emergenti. L’anno scorso tra i vincitori del Satellite c’era anche un giovane studio cinese: lo Stato sta attuando una politica importante per sfatare il mito della Cina che sa solo copiare, sempre più spesso si vedono visiting professor internazionali invitati nelle scuole di design nazionali per rendere più consapevoli gli studenti dell’importanza di trovare la propria voce. A novembre il Salone del Mobile si sposterà per la prima volta a Shanghai, per dialogare da vicino con quel mercato in espansione. E per il dodicesimo anno saremo in Russia, dove abbiamo esportato con successo anche il Satellite.

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Woodie, una station di ricarica universale

ⓢ Anche i giovani, altrove, sono diversi?
I giovani sono gli stessi ovunque, hanno sempre voglia di fare. Bisogna solo saperli ascoltare.

ⓢ Lei come ha incontrato il design?
Da bambina tenevo da parte la paghetta settimanale per comprarmi le riviste di interior design come House & Garden, dove poi ho anche lavorato: mia madre sorrideva sempre di questo destino. Ma la strada era evidentemente segnata. Ho iniziato come assistente e traduttrice per i più grandi imprenditori del mobile italiano, Cesare Cassina e Piero Busnelli, da loro ho imparato tutto. Poi sono entrata in Condé Nast e, quando mi hanno chiamato al Salone, lì mi sono fermata.

ⓢ Ha scelto Milano.
Ho studiato all’università per stranieri di Perugia, conoscevo Roma, ma Milano mi ha conquistata subito, è un luogo che ha una sua musica inconfondibile. Lavoro qui, mio figlio è cresciuto e ha studiato qui, continuo a sceglierla con convinzione. La chiamo la ciudad escondida, la città nascosta. Non è sfacciata come le altre città italiane, non ti sbatte la bellezza davanti agli occhi. Ma, dopo più di quarant’anni, ancora non c’è giorno in cui non scopra qualcosa di nuovo appena volto l’angolo.

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Undergrowth, di Alcarol

ⓢ È stata una delle ambasciatrici di Expo. L’onda lunga del 2015 resterà?
Lo spero, perché è stato un successo clamoroso. La città non è mai stata così viva e aperta al mondo, ha saputo accogliere chiunque, dai capi di stato ai semplici curiosi, venuti qui apposta da ogni parte. All’estero i commenti che ho raccolto erano tutti entusiastici.

ⓢ Lei da anni è anche membro del MoMA di New York. Dire «Questo pezzo è esposto al Moma» ormai è quasi una battuta…
È un posto che va meritato. Faccio parte dell’Architecture and Design Committee, ci si incontra ogni tre mesi per stabilire se e come ampliare la selezione. Le aziende ci mandano i loro pezzi, a noi sta valutare se possono figurare nella collezione di architettura più importante del mondo.

ⓢ Non si ferma mai?
Sono stata da poco alle terme, dopo due mesi in giro per tre continenti. E tre volte l’anno torno a Caracas, che è casa mia.

ⓢ Ha ancora un sogno?
Uno sta finalmente per camminare sulle sue gambe. Il primo Caracas Design Weekend, una tre giorni di vetrina internazionale per promuovere i giovani creativi venezuelani. Userò casa mia come base, dovremmo riuscire a organizzarlo in autunno.

ⓢ Anche il Sudamerica sarà il futuro del design?
Si sta risvegliando, è pieno di giovani competenti e talentuosi, il Cile per esempio ha una spinta verso l’innovazione incredibile. Forse il nostro segreto è uno: la natura. È facile trovare ispirazione quando a un passo dalla città hai la foresta con i suoi colori, oppure fiumi sterminati come l’Orinoco, che sembra un mare. È un altro mondo.

ⓢ Come i suoi ragazzi del Satellite, anche lei aveva un obiettivo e l’ha raggiunto.
Sono fortunata: tutti i miei sogni si sono avverati.

Nell’immagine di testata, il Milan Chess Set di Idea Factory Store: il centro di Milano decostruito e trasformato in un set da scacchi. Tutti i progetti saranno presentati al Salone Satellite 2016.