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Glamour Alitalia

Le divise del personale di bordo della nuova Alitalia saranno disegnate da un talento emergente della moda made in Italy. Un'occasione per rinfrescare il mito chic delle hostess e di riportarci nella condizione in cui diamo il massimo: la modernità.

di Silvia Vacirca

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«Questa è la storia del tempo irripetibile delle professioni nuove, stilizzate prima da un sorriso sicuro, poi dalle divise e dal trucco leggero e perfetto, nonché dall’acconciatura impeccabile, quando le ragazze più volonterose e brillanti annunciavano che avrebbero fatto le hostess, fra gli sguardi di intimorita ammirazione della famiglia», scriveva Edmondo Berselli su Repubblica, il 30 marzo del 2008, quando per Alitalia si temeva il peggio. La nuova Alitalia, che alle ore 2:35 italiane del primo gennaio 2015 ha spedito il primo volo intercontinentale dall’aeroporto JFK di New York a Milano Malpensa, entro l’estate avrà una nuova immagine e sui social, la conversazione sullo stilista chiamato a disegnare le uniformi dello staff – capitani e assistenti di volo – è già partita.

Il volo in notturna, Expo 2015 all’orizzonte, le luci di Manhattan, lo skyline di Milano. Gli ingredienti del mito ad alta quota della “jet-age” ci sarebbero tutti se non fosse che viviamo nell’epoca giallo blu del volo di massa: servizi così-così a prezzi stracciati. Si risparmia per sperperare tutto in volo con l’acquisto di dieci gratta-e-vinci, ansiosi di essere risucchiati nel mulinello della sorte. E la professione dell’assistente di volo, a preminenza femminile, conserva a stento l’eco del glamour che la caratterizzò, sin dalla nascita. Non so se mi spiego: le calze dieci denari tortora un filo smagliate, il bottone allentato, il trucco tipo Jem e le Hologram, le scarpe della nonnina. Per questo le hostess preferisco osservarle nei momenti di transizione. Trolley alla mano e un po’ discinte sulla navetta, la divisa scombinata, lo sguardo perso nella pista. Se sei bella così, vuol dire che sei bellissima.

Quando succede, attraverso le loro figure trasluce il passato iconico dell’assistente di volo. Quando Via Veneto non finiva a hostess-alitaliaVia Veneto, ma all’aeroporto di Fiumicino. E anche se il corridoio centrale dell’aeromobile è il prototipo della passerella di moda, la vera sfilata cominciava sulla scaletta mobile che, nell’Italia miracolosa degli anni cinquanta, ha fatto scendere Cary Grant, James Stewart, Richard Burton, Bette Davis, la Lollo, Mastroianni, Sordi, Andreotti. «Tutti i divi volevano fare la scena dell’arrivo» spiega Rino Barillari nel documentario di Antonello Sarno Hollywood sul Tevere. Dal 1973 in poi, anno dell’attentato terroristico di Settembre Nero a Fiumicino, che significò la chiusura dell’accesso alle piste e alle terrazze degli aeroporti, i divi andarono e venirono a nostra insaputa, finalmente liberi di viaggiare in infradito, se così gli pareva. Prima di allora le star femminili da scaletta ammiccavano tondeggianti dall’alto ai paparazzi accorsi a immortalarne la bellezza, ignari di uno stardom più piccolo ma anche più moderno, che rompeva con l’immagine casareccia della mondina cinematografica: le “ragazze volanti”, mannequins alate che indossavano divise disegnate da celebri stilisti italiani. Ad aspettarle all’arrivo non c’erano i paparazzi. La loro femminilità si esibiva sul campo, al lavoro: professionale e domestica insieme, sicura e gentile, tecnica e sorridente.

Secondo Cesare Falessi, autore con Gherardo Lazzeri di Le “ragazze volanti”. Cinquant’anni di hostess Alitalia: 1950-2000, la prima compagnia a imbarcare personale femminile fu l’americana Boeing Air Transport negli anni trenta, con 125 dollari mensili. Si chiamavano stewardess. Da allora questa professione ha una storia che è arduo districare dal mito che gli si tesse all’intorno. L’Italia ci arriva con un po’ di ritardo. Le prime hostess o “ragazze volanti”, se preferite, innalzeranno i tacchi al cielo negli anni cinquanta, quando l’aerodinamica Alitalia apriva il mondo ai primi viaggiatori facoltosi, sotto l’augurio di una stilizzazione non di maniera.

La prima divisa è il frutto dell’estro delle Sorelle Fontana. Da allora, tra Alitalia, moda e glamour si stabilisce un’aria di complicità.

È grazie alla creatività degli stilisti italiani e alle tecniche sartoriali d’alta moda apprese e applicate alle divise delle hostess, curate nel minimo dettaglio e unite alla tecnologia del volo aereo, che si pongono le basi del “made in Italy” e dell’immagine di una femminilità italiana nuova. La prima divisa è il frutto dell’estro delle Sorelle Fontana. Da allora, tra Alitalia, moda e glamour si stabilisce un’aria di complicità, dato che sono sempre le Sorelle Fontana a vestire i divi di Hollywood sul Tevere, specie dopo aver disegnato l’abito da sposa dell’attrice Lynda Christian per il matrimonio con Tyrone Power, l’evento mediatico del 1949. Le divise, confezionate su misura, sono dei tailleur bon ton blu dalla silhouette tipicamente anni cinquanta, eleganti e composti ma briosi. Il cappellino è piccolo e in tono.

Dopo le modifiche apportate da Delia Biagiotti e Tita Rossi negli anni sessanta, con Mila Schön, nel 1969, è tempo di rivoluzione: nei colori, nelle forme e nelle linee. Solo due anni prima le era stato conferito il Neimann Marcus Fashion Award, l’Oscar americano della moda per il colore. La progettazione delle divise diventa parte integrante dell’immagine coordinata studiata per il rilancio del marchio: il nuovo logo è geometrico e colorato – verde e rosso – come la collezione di Mila. La forma stessa della divisa riproduce la A stilizzata del logo Alitalia. Dal 1972 al 1973 sceglie il rosa e il foulard come copricapo. Il tema classico verde e blu è invece introdotto nel 1980, da Lebole. Ma negli anni ottanta le star della moda Alitalia saranno Renato Balestra, che sceglie il rigato del primo logo per una mise sofisticata, e Giorgio Armani, che punta su una divisa morbida e informale – meno rassicurante – giacca destrutturata e toni terrestri mimetici, tanto che la sua si è guadagnata il nome di divisa-non divisa.

I look del presente sono di Mondrian, quelli del futuro chissà. Anche se, contrariamente a quanto si vocifera nelle conversazioni dell’Internet, non saranno il frutto dell’estro di Giorgio Armani. Il simbolo della rampante moda italiana, legato a Milano e agli anni ottanta, e la sua aura di prestigio e conservazione, lasceranno il posto, così pare, a un giovane emergente in forte crescita sul mercato internazionale. Una scelta che senza rinnegare l’heritage del marchio lo proietta sul mercato globale, coerente con il nuovo corso dell’azienda. Si tratterebbe di una soluzione coraggiosa, benvenuta e significativa di una nuova idea di italianità di nuovo aperta e rivolta al futuro.

Le divise Alitalia non si limitano a essere lo specchio di mezzo secolo di moda italiana, ne sono protagoniste. Mentre si standardizzavano passando dalla confezione al pronto moda, anche gli italiani del cielo si andavano standardizzando, nella lingua e nei gesti, lontani da regionalismi e dialetti. Il capitano elegante e cosmopolita, la dimostrazione che da moderni siamo irresistibili. Peccato che nel 1967 il 40% delle volte l’hostess Alitalia si sposi prima di ultimare il primo anno di servizio e abbandoni il lavoro. Come dice Rocco Papaleo a proposito di Craco, il paese fantasma di Basilicata Coast to Coast: «Non ha retto la modernità, anche se a me piace pensare che l’ha rifiutata».

 

Immagine in evidenza via Alitalia