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Breve storia del gingham e di come è diventato sexy

Dal glamour della old Hollywood alle casalinghe e alle influencer: come i quadrettini sono diventati la fantasia dell’estate.

di Silvia Schirinzi

Jeanne Damas in bikini a vita alta, Emily Ratajkowski con un top arricciato e la parrucca corta che fa il verso a Jean Seberg, le influencer taggate sul profilo (da un milione di followers, mica scherzi) del marchio “eco-fast fashion” Reformation, un hashtag da quasi cinquecentomila post: arrivati agli ultimi giorni di luglio possiamo serenamente assegnare il titolo di fantasia dell’estate al #gingham o, per chi preferisce la nomenclatura europea (e l’approssimazione), ai quadrettini Vichy. Parte integrante dello stile ispirato a quelle mitologiche creature acchiappalike che sono le ragazze francesi – uno stereotipo piuttosto redditizio, come aveva raccontato bene Eliza Brooke su Racked l’anno scorso – ormai piuttosto popolare anche da noi, la fantasia più instagrammata del 2018 ha attraversato in realtà un percorso curioso sin dalla sua prima apparizione in Occidente. In principio c’era il ginggang (“a righe” in lingua malese), un tessuto che, come scrive Tahirah Hairston su Lenny, veniva importato in America e in Europa dall’India e che, già nel diciassettesimo secolo, subì la sua prima importante trasformazione. È nelle filande occidentali, infatti, che le righe diventano quadratini, versione rivisitata della fantasia check.

Bisognerà aspettare l’era dell’oro di Hollywood (quella delle grandi dive e del glamour) perché il gingham, utilizzato tanto per gli abiti da donna quanto per le camicie da uomo, finisca per incarnare un preciso idealtipo di bellezza femminile che saprà riformularsi con i tempi che cambiano. La prima a sfoggiarlo è Clara Bow in Cosetta, film muto del 1927 diretto da Clarence G. Badger, ma è Katharine Hepburn nei panni della ricca ereditiera Tracy Lord di Scandalo a Philadelphia (di George Cukor, 1940, con Cary Grant) a rendere l’abito a quadrettini sinonimo di eleganza signorile e perfezione, se non aristocratica, sicuramente alto-borghese. Un anno prima, Judy Garland nel Il mago di Oz (di Victor Fleming) aveva sdoganato il grembiulino bianco e blu come simbolo di un’innocenza allo stesso tempo scanzonata e misteriosa. Che sia un vestito con la gonna a corolla che stringe il punto vita o un tailleur come quello di Lauren Bacall in Acque del Sud (di Howard Hawks, 1944), la fantasia ricompare imperterrita per tutto il decennio successivo, grazie anche allo straordinario lavoro di Adrian, il costumista delle star, che disegna sia l’abito di Hepburn che quello di Garland. La indossano anche Joan Crawford, Ingrid Bergman, Deborah Kerr: interpreti eccezionali di un’epoca, che le casalinghe del secondo dopoguerra vogliono disperatamente emulare, se non nello stile di vita sregolato di alcune (ah, Joan), quantomeno nel look. Il gingham, intanto, diventa perciò sinonimo della bellezza a stelle e strisce, composta e radiosa: non è un caso che i designer americani lo avessero sin da subito rivendicato, approfittando del declino di prestigio dei colleghi francesi durante la guerra.

Finita la guerra, i grembiuli e le gonne a corolla, tanto più nell’accezione quadrettata e non in quella glamour del New Look di Christian Dior, tornano a significare quello che erano sempre stati: la divisa delle donne rinchiuse, volontariamente o meno, fra le mura domestiche, come Betty Draper e Mrs. Meisel insegnano. Per fortuna a un certo punto arrivano le ragazze francesi, quelle vere: nel 1958 è Jean Seberg in Bonjour tristesse di Otto Preminger, con la sua bellezza adolescenziale e il suo straparlare di “parigini perversi”, a ridisegnare la fantasia per casalinghe nell’immaginario collettivo, ma sarà Brigitte Bardot a rendere sexy, una volta per tutte, i quadrettini bon ton. Accantonata la pudicizia, il gingham/Vichy, dal nome della cittadina francese dove il tessuto si produce sin dall’epoca elisabettiana, viene abbracciato anche dalle nuove generazioni. Nei primi anni Sessanta, la designer Barbara Hulanicki, insieme al marito pubblicitario Stephen Fitz-Simon, fonderà la Biba Postal Boutique, vendendo vestiti a basso costo per corrispondenza e inventandosi un fenomeno sociale: il loro primo best-seller è proprio un abito gingham rosa, simile a quello che Brigitte Bardot aveva indossato al suo matrimonio con Jacques Charrier, nel 1959.

Nel 1996, Rei Kawakubo disegna una delle collezioni più celebri di Comme des Garçons, Body Meets Dress, Dress Meets Body, e nelle sue mani il motivo frou frou diventa il pretesto per costruire bizzarri rigonfiamenti (e ragionamenti) sul corpo femminile che non seguono le curve consolidate della silhouette, ma al contrario le ribaltano e ne inventano di nuove. Oggi che il gingham è sdoganatissimo, dalle passerelle (vedi le collezioni recenti di Miu Miu, Adam Selman e Rosie Assoulin fra gli altri) agli Instagram-brand come Reformation e Rouje, c’è da riconoscerne finalmente quella sua capacità tattile di vestire donne così diverse fra loro: che siano francesi o finto tali, non ci libereremo così facilmente dei dannati quadrettini.

In apertura: una casalinga nel 1955 (Hulton/Archive/Getty Images); nel testo: due modelle presentano la collezione Primavera-Estate 1972 di Dior (M.McKeown/Daily Express/Hulton Archive/Getty Images); Jeanne Damas (Instagram).